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Storia triste, poi felice d'un sandoletto veneziano

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Venezia. È iniziato sabato 16 novembre il restauro in pubblico di un piccolo sandolo in legno. Una barca tradizionale veneziana con una storia particolare.



A Venezia, nel sestiere di Santa Croce era ormeggiato, di fronte alla chiesa di San Giacomo da l’Orio, un piccolo sandolo. La barca era la gioia dei due piccoli proprietari e dei loro genitori. Purtroppo però un giorno il sandoletto iniziò ad essere inspiegabilmente danneggiato da ignoti vandali.

I proprietari, dopo aver coinvolto anche le autorità, stavano per decidere di rinunciare a mantenere la barca che ormai era considerevolmente danneggiata e veniva quotidianamente imbrattata da rifiuti, quando conobbero i soci del Caicio. E cambiarono idea.




Assieme all’associazione i proprietari hanno infatti deciso di recuperare la barca e di avviare un progetto di sensibilizzazione sul patrimonio di imbarcazioni tradizionali veneziane, in particolare rivolto ai più giovani.

Il restauro aperto al pubblico del sandoletto tristissimo sarà un momento di aggregazione e il Caicio assieme all’ICI - Istituto culturale internazionale  (che mette gentilmente a disposizione gli spazi per l’impresa) sarà un'occasione per fare un percorso attraverso la millenaria cultura marinaresca tradizionale veneziana con una stimolante esperienza di condivisione di un bene culturale tradizionale e del suo mantenimento quotidiano.



I bambini, le scolaresche, tutta la comunità locale e i curiosi potranno seguire le fasi del restauro ed essere i protagonisti del suo ripristino.

Una volta restaurato, il sandoletto rimarrà disposizione della comunità: le persone che hanno partecipato ai lavori di restauro e gli abitanti del quartiere potranno utilizzarlo.

ICI inoltre ha organizzato una campagna di raccolta fondi sulla piattaforma Kissbank per assicurare un periodo di manutenzione della barca e per realizzare le principali iniziative didattiche con i più piccoli.



I lavori sono già a buon punto! I partecipanti possono scegliere di contribuire con una donazione a favore del progetto e provare l’esperienza di navigare accompagnati per Venezia con la barca restaurata!

Sei pronto a salire a bordo?

Le associazioni:


1935. I sistemi di pesca nella Iaguna di Orbetello

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Arturo Mengoni, La pesca nella laguna di Orbetello. Aspetti di un’industria marinara, "Le vie d'Italia, rivista mensile del Touring Club Italiano, organo ufficiale dell'Enit", annata 41, gennaio 1935, pp. 27-32.



Lo specchio d’acqua intorno ad Orbetello veniva, fino a pochi anni fa, ingiustamente denominato «Stagno». Laguna è, invece, come ci dicono le carte dell’Istituto Geografico Militare e quelle del Touring. Ha quattro canali in continua comunicazione col mare, e perciò le sue acque sono costantemente mosse.

L’Argentario ed il territorio che corre parallelo alla strada ferrata della linea Roma-Pisa opposti di lato - sono fra di loro uniti dai tomboli della Feniglia e di Giannella - lunghi ciascuno sette chilometri e larghi da 500 a 1000 metri. Quello della Feniglia, staccandosi in prossimità dell’Ansedonia, e l’altro della Giannella dalla foce dell’Albinia, si congiungono all’Argentario, il primo dalla parte di Porto Ercole, il secondo da quella di Porto S. Stefano, e precisamente alla rada di S. Liberata. Questi due tomboli, col loro ciclopico abbraccio, racchiudono negli altri due lati opposti la Laguna, come volessero difenderla dalle furie del Tirreno.


[Monte Argentario e laguna di Orbetello - stralcio dalla carta d'Italia TCI]

La Laguna, che ha una periferia di trenta chilometri circa, è divisa in due bacini da una diga artificiale (lunga un chiometro, con sei ponti per la comunicazione delle acque) tra la città e l’Argentario, e dal territorio sul quale corre la strada provinciale che conduce alla stazione ferroviaria di Stato. Col mare essa comunica, come abbiamo già detto, per mezzo di quattro grandi canali, larghi 25 metri ciascuno, a Massa Fibbia e Ansedonia.

Il bacino di levante (da esso spiccarono il duplice volo vittorioso le aquile di Balbo), è lasciato dal Comune alla pesca libera: in quello di ponente, dove sono situate le due peschiere comunali, quella di Nassa - la più importante col suo canale brevissimo in diretta comunicazione col mare, e quella di Fibbia (il cui canale, lungo tre chilometri, ha indiretta comunicazione marina per l’ultimo tratto del fiume Albinia) quindici pescatori, sorteggiati su sessanta circa, esercitano il mestiere al difuori dei limiti di bandita delle peschiere stesse, alle quali è adibito invece un personale fisso.

Nella Laguna non si praticano le semine: essa è ricca di pesci, dato il ripopolamento automatico di novellame che vi entra per i suoi canali comunicanti col mare, nei quali il dislivello – che normalmente è di 30/40 centimetri – di sei ore in sei ore, raggiunge anche gli ottanta centimetri quando infuriano i venti.

La bassa marea invita il pesce a rimontare le correnti e perciò ad entrare nella laguna attraverso i canali, senza poterne uscire.

Quando invece si inizia l’epoca della pesca, questi canali vengono attrezzati con strumenti di cattura, ed avviene allora che, durante i periodi ai alta marea, i pesci richiamati per il loro istinto direttivo verso il mare, risalgono la corrente rifacendo inversamente il percorso, per rimanere prigionieri nei canali stessi, costruiti in muratura (in termine locale: «bondanoni»), i quali, dopo una notte buia e burrascosa, possono popolarsi di dieci, venti e più tonnellate di pesce bianco di ogni specie, e anguille e capitoni che vengono spediti ai mercati di Roma, Napoli, Firenze e Genova, quando maggiore ne è la richiesta – come nelle vigilie – e quando le burrasche in mare impediscono la pesca.


[Un «lavoriero» della «cassa di morte» mentre si estrae il pesce con larghe reti fatte a borsa (coppi)]

Al giungere di un telegramma di ordinazione, si leva il pesce dai «bondanoni» ed ancor vivo si spedisce la sera per farlo giungere sui mercati la mattina seguente. Privilegio, come ognun vede, grandissimo, dal lato della quantità che si vuole spedire, per la sua freschezza, nonché da quello del maggiore prezzo ricavato nei periodi di scarsità.


[Si trascina la «rezzuola» o tramaglio lungo il canale che pone in comunicazione la peschiera comunale di Nassa col mare aperto]

La levata del pesce rappresenta uno spettacolo attraentissimo, sia che il personale addetto alla peschiera lo levi dalle «casse della morte» a mezzo di reti fatte a borsa (cóppi), sia che si trascini la «rezzuola » lungo i «bondanoni», fino alla spiaggetta. Il suolo allora è tutto un argento che al sole dà riflessi di specchio: saltano, le grosse spigole (labrax lupus), nelle contrazioni della morte, dilatando le branchie scarlatte e spalancando la bocca. Ve n’è di cinque e sei chili ciascuna. E così le orate (Chrysophoris aurata), pregevoli anch’esse, cui la furberia di appiattarsi sul fondo del lago, questa volta a nulla ha giovato. Ecco i «mazzoni» le «celete» le «goterosse» ed altre specie, tutte in tale comunione come in vita non lo furono mai!


[Levata del pesce dalle «casse della morte» con le reti a larga borsa dette «coppi»]

La ridda dura un pezzo; ma ora c’è da sbrigare il lavoro per fare in tempo per la partenza del treno; e così il personale provvede a sistemare i pesci nelle apposite ceste, dopo averli ripartiti per qualità, ponendo attenzione a non farsi pungere dalle spine, specialmente da quelle delle spigole, a volte pericolosissime. Ma ce ne sono molti che non vogliono morire, e , per quanto già incuneati uno accanto all’altro, danno sobbalzi e scompongono le file… Uno strato di ghiaccio ben triturato, sopra; legatura delle ceste, e domani, tutta quella grazia di Dio formerà la delizia di tanti ghiotti stomaci delle grandi città.

Come si è detto, il bacino di ponenete è riservato alla pesca del Comune, il quale gestisce direttamente le due peschiere, mentre per la pesca al largo – fuori della bandita – riceve dai pescatori vaganti (quindici) una parte del pesce pescato. Un gettito, quindi, assai rilevante (potremmo quasi dire: inesauribile) per le finanze del Comune stesso, dal quale attualmente ha la concessione di tutto il prodotto una ditta partenopea.


[La levata della «rezzuola» da uno dei canali in murata (bondanoni) della peschiera Comunale di Nassa]

Una storia che si perde nei secoli hanno le peschiere di Orbetello. Esse fornivano i pesci prelibati alle mense delle ville romane, molte delle quali - come quella di Domizio Enobarbo sull’Argentario – disponevano di vivai salsi per la loro conservazione. I ruderi di tali vivai sono tuttora visibili anche a chi viaggiando sul tronco ferroviario Orbetello Città – Porto Santo Stefano, mentre della villa tutto è scomparso, meno che alcune colonne interrate. Quei resti, in parte sommersi, ci documentano fino a qual punto fossero sviluppate venti secoli indietro, le cognizioni circa tale materia.

I vivai della villa domiziana erano alimentati dall’acqua dolce racchiusa in un grande cisternone posto sul colle, di dove scendeva a mezzo di condutture in altre piccole cisterne che servivano per aerearla, per poi affluire nei vivai stessi. Dei pesci in tal modo ingrassati, si faceva largo consumo nei frequenti conviti che si tenevano tra il fasto della villa e al cospetto della maestosità del mare.


[La pesca alle anguille col «bertavello» specie di rete a forma di cono, divisa in tre camere comunicanti che vien posta al termine di una siepata di cannicci selvatici disposti a V aperto]

Una pesca caratteristica e redditizia è anche quella fatta al largo col «bertavello» (specie di rete a forma di cono, lunga due o tre metri e divisa in tre camere comunicanti), posto al tremine di una siepe di cannicci selvatici intessuti dai pescatori stessi e foggiata a V aperto che, fermando il libero corso delle anguille e dei capitoni, li instrada verso la bocca del «bertavello» stesso. Anche per l’«arellone», che è di egual forma del «bertavello», ma che è lungo dodici metri e diviso in due camere, si pratica lo stesso sitema. Quando imperversa la burrasca, durante la quale le anguille e i capitoni vogliono migrare verso il mare per deporre le uova, si registrano pesche considerevoli: in una notte se ne possono catturare cinquanta ed anche cento quintali.

Quanto mai interessanti sono anche le cosidette «cinte» ai «mazzoni» (mugil capito).

Quando la flottiglia dei barchini - caratteristiche imbarcazioni a carena piatta, che da lontano ci rammentano le piroghe – muove all’assalto della preda, par di assistere ad una manovra militare in miniatura. Le vedette lanciate nel lago in direzioni diverse, appena scorta la compagnia dei mazzoni (durante i grandi freddi i pesci sì riuniscono per trovare ristoro sommando le loro eccedenze caloriche), chiamano a raccolta il grosso della «squadra» la quale, con rapide evoluzioni, la cinge circolarmente con reti per seicento o settecento metri, ponendo nel mezzo altre reti verticali («stanze») e, al difuori,lungo quella circolare, ancora reti (queste però in posizione orizzontale), dette «saltatorie» dove molti pesci, credendo di salvarsi col salto, rimangono invece catturati. È questo uno spettacolo pittoresco e pieno di attrattiva, tra il festoso vocio dei pescatori ed il movimentato lanciar di fiocine contro i pesci rimasti nell’interno della cerchia: spettacolo che dura più ore e che si conchiude col ritorno dei barchini al porticciolo, carichi di ben sessanta, ottanta ed anche cento quintali di pesce.

La pesca con la fiocina si esercita, inoltre, tanto di mattina presto («scoperta»), quanto nelle notti illuni, con luce a gas acetilene, (una volta si usava la fiamma delle «tede», piccolissimi pezzi di pino selvatico). Divertentissima sempre, e per la cattura dei pesci – anguilla specialmente – e per tutto ciò che circonda ed accompagna questa pesca, essa si fa col barchino, spinto da un rematore. Colui che ha la fiocina, sta in piedi sulla breve prua e dà gli ordini al compagno non appena scorge la preda. Molte volte la pesca si fa da soli, dirigendo l’imbarcazione con la fiocina stessa. E così pure alla «scoperta», nella serenità mattutina di uno scenario di incomparabile bellezza – pronubo l’Argentario sempre verde – che ha per sfondo le alte cime dell’Amiata.


[Trasporto del pesce pescato lungo il canale di immissione della peschiera di Nassa]

Il mestiere e la passione dei pescatori riemergono dal grande mare di internet

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Un video di storia

Sara Minciaroni per il Corriere dell’Umbria, venerdì 18 ottobre 2013, p. 25.

Castiglione del Lago. Ci sono delle perle che non stanno in fondo al mare. Anche dalle acque del Trasimeno riemergono a volte "cimeli" che vale la pena notare. Non si tratta di reperti archeologici ma di un pezzo di storia della vita e delle tradizioni del lago.

L’Arbit del Trasimeno (Associazione Recupero Barche Interne Tradizionali) ha pubblicato sulla propria pagina Facebook un video tratto da un vhs degli anni ottanta. Un po’ presto forse per essere dichiarato vintage ma osservandolo si coglie il sapore di un mestiere che oggi è sempre più difficile intraprendere: quello del pescatore.

Poco meno di 4 minuti di girato in cui due uomini Andrea Pagnotta e Nazzareno Buchicchio a bordo di una abrca da pescatori, partendo dalla vecchia cooperativa di Castiglione del Lago, “escono a pesca affrontando un lago particolarmente minaccioso” (come si legge nella didascalia). “Si può notare l'abilità di Andrea nel mantenere la barca remando, mentre soffia un forte vento. Intanto Nazzareno recupera dai tofi una notevole quantità di agone (latterini).” Il video spiegano dall’associazione è stato recuperato grazie a un socio ed è “un vecchio vhs girato sul finire degli anni ’80 a Castiglione del Lago. Ringraziamo Rita che ha girato le immagini e conservato la videocassetta”

Dal mare magnum di Internet ogni tanto salta fuori qualche boccone prelibato che vale la pena non farsi scappare, stavolta ci ha pensato l’Arbit un gruppo di lavoro aperto e un’associazione artistico-culturale che si propone di valorizzare, promuovere, sostenere e incrementare le barche tipiche del Tarsimeno.

Un vecchio barchino per la pesca nella lagua di Orbetello

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Le previsioni del tempo erano funeste, ma quando siamo sul tombolo della Giannella, tra gli eucalipti è tornato a splendere il sole. In viaggio da più di due ore, la nostra meta è Orbetello. Vanni ha deciso di passare dalla diga: una serie di ponti che taglia in due la laguna, oggi particolarmente bella.

Superato il paese vecchio, seguiamo le indicazioni ricevute al telefono e senza difficoltà troviamo la cooperativa dei pescatori. Non ci resta che lasciare l'automobile nel vicino parcheggio.

Ad aspettarci c'è Marco Aldi, un socio della cooperativa. È lui che ci scorta oltre il cancello, dove sono le rimesse dei pescatori. Oggi è festa, i barchini sono tutti ormeggiati. Anche qui a Orbetello le barche per il lavoro sono in resina: sono più leggere e richiedono poca manutenzione. Tra quelle in uso ne notiamo una soltanto in legno ma "ricoperta".



Nel frattempo ci ha raggiunto un altro socio, Giancarlo Lombardi, che ci parla delle imbarcazioni tradizionali e delle evoluzioni più recenti.
"I barchini in legno sono decisamente migliori, non c’è niente da fare, sono più stabili. Quelli in vetroresina, anche se hanno lo stesso peso, sono più "galleggioni" sono più alti dall’acqua e quindi sono più difficili da gestire per il nostro tipo di pesca; al contempo, avendo una distribuzione del peso migliore, scivolano meglio sull'acqua; ma per quanto riguarda la pesca alle anguille, per esempio, con il contenitore delle anguille, si sbilanciano molto facilmente. Il barchino in legno quando era in acqua si impregnava e aumentava il suo peso ed era molto più stabile, con il vento la pesca era più tranquilla. Quelli in vetroresina, naturalmente, permettono dei risparmi non solo nella manutenzione ma anche nei consumi di carburante. Si tirano fuori dall’acqua molto più facilmente rendendo più semplice le operazioni a terra".
Ci spostiamo ancora, seguiamo Marco che ci accompagna oltre le rimesse dei pescatori, qui possiamo vedere un vecchio barchino in legno, un po' malmesso ma perfetto esempio della tradizione locale.



Il barchino è azzurro all'interno e verde all'esterno, ha il fondo piatto, come gran parte delle imbarcazioni destinate alle acque con fondali bassi. Il nostro esemplare poggia sul cemento, è più facile notarne l’alzata (la curvatura longitudinale) che, come ci ricorda Giancarlo, rendere più stabile la barca durante le fasi di pesca.
"I nostri barchini hanno un’impostazione "a culla". I pescatori qui in laguna lavorano sempre a poppa, il barchino al centro è più largo e ha le sponde più alte e questo lo rende più stabile. Se non avesse questa forma a conca e questo peso starebbe sempre "appozzato" e piegato su un fianco. Grazie a questa forma, la prua non va mai troppo sott'acqua e si evita lo sbandare della poppa".
Il nostro barchino è stato costruito in pino: il materiale tradizionalmente utilizzato dai maestri d’ascia di Orbetello. Veniva usato anche il faggio ma più raramente. I barchini impiegati dai pescatori della cooperativa ormai sono in vetroresina ma a Orbetello ne sono stati costruiti di recente anche in compensato marino, destinati però alla gara dei barchini che si tiene in estate. Ci ricorda Marco:
"Per la costruzione dei barchini, il materiale era il pino, un legno resinoso resistente all’usura del mare. Per il fasciame, se possibile, veniva utilizzata una tavola sola, perché rendeva più stagna l’imbarcazione. Quando potavano gli ulivi i potini portavano al maestro d’ascia i legni curvi in modo che quest’ultimo li lavorasse per farci i mativi".
Il fasciame è spesso due centimetri. Il fondo è formato da tre tavole. Il barchino si allarga nella parte centrale per poi stingersi nello specchio di poppa. Ha una forma lanceolata, più squadrato nella zona di poppa.



Nella parte anteriore il barchino termina con il ceppicone di propa (dritto di prua) un elemento dalla forma triangolare con due tacche in cui vengono inchiodate le vanne (le sponde) e una tacca in cui viene fissato l'asse centrale del fondo.



L'ossatura dell'imbarcazione è costituita da 11 mativi (le ordinate) che collegano il fondo alle vanne e contribuiscono alla divaricazione di queste ultime. Ogni mativoè formato da quattro parti: le due sezioni con finale ricurvo che scendono dalle sponde; la parte centrale dritta che poggia sul fondo;  una ulteriore sezione che si affianca a quella sul fondo. Nella parte anteriore dell'imbarcazione, sulle ordinate è fissato un dormiente sul quale poggia la panca rimovibile, proprio in corrispondenza della scalmiera (vedi la foto sopra).



Nella foto sopra a sinistra si può vedere la tavoletta di prua (mezzo ponte di prua), un piccolo ponte triangolare che chiude la parte anteriore dell'imbarcazione, arrivando fino al ceppicone;in altri barchini, invece, il tavolato terminava prima, lasciano una  piccola apertura dove veniva fissata la campanella: un anello utile per l'ormeggio. Sul lato opposto della tavoletta di prua vi è un foro che ospitava l'alberetto che sosteneva la vela latina; questo prima dell'arrivo del motore fuoribordo.

All'estremità posteriore dell'imbarcazione vi è la tavoletta di poppa dove siede il pescatore. Dalla tavoletta di poppa parte il capodibanda che prosegue lungo il bordo superiore delle vanne ma non raggiunge la prua e, curiosamente, si interrompe subito dopo la scalmiera. Un paracolpi in legno, invece, corre lungo tutta la parte esterna del barchino come si può vedere nelle foto qui sotto.




Per manovrare il barchino si usano vari strumenti:
  • la struzza, lunga pertica in legno che il pescatore usa facendo pressione sul fondo della laguna, ma anche come palo per un temporaneo ancoraggio;
  • il motore fuoribordo, fissato a poppa con un brachet;
  • i remi per la voga a coppia detti anche remetti corti, ancora in uso, utilizzati sedendo sulla panca rimovibile;
  • i remi lunghi o remi da trigantino; venivano usati a coppia, fissati su una struttura rimovibile dotata di scalmi: il trigantino appunto;
  • la palella, remo corto usato singolarmente come pagaia dalla tavoletta di poppa, con funzione di timone.
  • la vela, non più in uso dagli anni '50 del secolo scorso (una foto del barchino con la vela latina è nel saggio di Melillo);

Sentiamo parlare del trigantino, ma cos'è un trigantino? Ne troviamo uno nel cortile all'ingresso del ristorante. Eccolo nella foto qui sotto.



Prima dell'introduzione del motore, il barchino di Orbetello veniva dotato di un buttafuori, una tavola di legno fissata alle sponde che spostava più in alto e in fuori gli scalmi. I remi erano più lunghi di quelli attualmente in uso.

Il trigantino che ci mostra Giancarlo è in ottime condizioni. Sono ancora presenti le chiavarde (due grosse viti in ferro) che servivano a fissarlo alle vanne dell'imbarcazione. Nella parte superiore dei blocchi si notano gli avvallamenti scavati in anni d'uso.
"Il trigantino è come una trave che aggetta in fuori i remi. Il trigantino veniva usato a poppa, non veniva usato a prua. Veniva usato a poppa perché, un tempo, quando andavano a "illuminare" a prua c’era quello che usava la fiocina con la lampara: la lanterna. Solo eccezionalmente si usavano due trigantini, uno a prua e uno a poppa, quando si pescavano i "lattarini", in quel caso vi era un carico eccezionale e si remava in due. Questa pesca è stata completamente abbandonata, io sono entrato in coooperativa nell’87 e già non si praticava più".
Nella foto sotto a sinistra si può vedere il modellino di un barchino con il trigantino montato nella zona di poppa.

Con il trigantino ma anche in altri tipi di voga, per collegare i remi allo scalmo si usava lo stropolo, una legatura circolare in corda.

Lunghezza del trigantinocm. 163
Larghezza del trigantinocm. 27,5
Altezza del trigantinocm. 47
Altezza dello scalmocm. 23,5
Spessore della tavolacm. 3,5




Tipo di imbarcazioneBarchino
LocalitàOrbetello
Lunghezzacm. 595
Larghezzacm. 116
Altezza a prua cm. 60
Altezza a poppacm. 48
Altezza al centrocm. 49,5
Sporgenza della pruacm. 19
Sporgenza della poppacm. 6
Larghezza del fondo piattocm.  95 (all'interno)
Numero ordinate11
Distanza tra le ordinatecm. 47 (media)
Spessore delle ordinatecm. 4
Numero delle traverse11
Spessore del fasciamecm. 2
Manovreremi, struzza (pertica in legno) e motore
Ancoraggiol'imbarcazione viene tirata in secca
Legnamipino e olivo
Coloreazzurro e verde
Pesokg. 230 - 240 circa
Portata4 quintali, e/o due persone
Impegnopesca
Data di costruzioneanni '70
CostruttoreOttorino Lacchini
ProprietarioCoop. La Peschereccia
LocalitàOrbetello
Data del rilevamento10 novembre 2013

Per approfondire:



Ringraziamo Marco Aldi e Giancarlo Lombardi per la straordinaria accoglienza. Un grazie a Claudio Del Re che, prezioso come sempre, ha fatto da tramite. Non ultimi, i ragazzi del ristorante che hanno reso la giornata veramente indimenticabile.

[E. F.]

La sghionguelata

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Nei mesi più freddi dell'inverno, durante il giorno o come attrazione durante le veglie, si usava fare dei fuochi vivaci nel grande camino di casa con i cappellini delle ghiande (ghiongolo).

Si creava così una suggestione particolare data sia dalla luminosa fiamma sia dal vistoso fumo bianco che usciva dal comignolo.

L'occasione era propizia per bere un bicchiere di vino e mangiare un budellino essiccato rinvenuto sopra la fiamma in compagnia di amici e vicini.



A Milano già la chiamavano happy hour.

[Guido e Remo]

Relazione sul prosciugamento del Trasimeno letta nell’adunanza generale del giorno 19 gennaio 1864

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Alla Società Economico-Agraria ed al Municipio di Perugia

Relazione letta nell'Adunanza Generale della Società Economico-Agraria del giorno 19 Gennaio 1864.

Lo incarico ricevuto di dare una Relazione sulla convenienza del prosciugamento del Lago Trasimeno è argomento assai vasto e complesso, e superiore alle forze di noi sottoscritti; e in contemplazione di ciò avremmo declinato dall'onore ricevuto, se l'urgenza di prender tosto una risoluzione non ci avesse fatto considerare, che il ritrarcene era un dimostrarci indifferenti per gl'interessi del nostro Paese.



Vogliano perciò i Committenti (il Municipio e la Società Agraria) giudicare in modo benevolo questa nostra incompleta trattazione, basata soltanto su ciò, che una generica conoscenza della località ne suggerisce e su ciò che i principi elementari della Geogenia ne insegnano, e gli scandagli eseguiti da altri confermano.

È da distinguere fin dal principio, che il prosciugamento dei Trasimeno può considerarsi o nella sua totalità o in parte soltanto, lo che avrebbe meglio di ogni altro il nome di ritiro. In ambedue i casi lo scopo ultimo potrebbe essere il prosciugamento totale, ma poiché diversi sono i mezzi, con i quali si andrebbe a raggiungere, e diverse le conseguenze che ne deriverebbero, quindi alla diversità di essi subordinato il nostro parere.

Giova premettere che l'acqua del Trasimeno copre una superficie di suolo di circa ettari 12,000 e la sua maggiore profondità non supera che di poco i sei metri, profondità assai leggermente modificata dall'epoca, nella quale fu scandagliata dal Borghi, e molto di poi da altri Ingegneri1. Il fondo è in gran parte, per quanto apparisce dalle sponde, formato da sedimenti sabbiosi.

Questo bacino è circoscritto in tre lati, da una catena di monti costituita da Levante a Mezzodì da rocce calcaree e silicee; al Nord da rocce arenarie durissime, e schisti argillosi. In quelli domina il bosco, in questi la coltura degli olivi. Solo al Ponente il Lago confina con pianura che si estende a costituire il Piano di Castiglione, nel quale prevale il terreno sabbioso classificato nel Catasto col nome di Segaleto, atto cioè alla coltivazione della segala.

Questi monti e confini del Trasimeno sono solcati da spessi fossi e torrentelli, che tributano al gran recipiente le loro acque, ma non havvene alcuno di seria importanza, sia per la quantità dell'acqua e delle torbide, sia per il lungo corso. È il Lago dominato precipuamente dai venti di Nord, che inclinano a trasportare gli avanzi galleggianti, o terriccio alle sponde del Sud.

Il liberare dalle acque una superficie di 1,000 ettari di terreno, esige un tempo abbastanza lungo, e forse non abbisogneranno meno di sei anni, a farlo con molta cura ed assiduità, e per tutto questo tempo almeno vi è pericolo che sviluppino delle malattie da spopolare tutte quelle contrade ove facciasi secondo l'interesse della borsa, e non con quelle scrupolose cautele, che molto volgano a diminuire i tristi effetti de' paduli, che per qualche tempo andrebbero naturalmente a formarsi. Ora se lo scopo del prosciugamento totale fosse il bonificare l'aria di quel territorio conviene affermare che, potendo dar luogo all'effetto del previsto impaludamento per tempo non brevissimo, ne conseguirebbe il peggioramento di condizione igienica agli abitanti attuali de' vicini castelli, sarebbe quindi un accrescere mali sopra mali, e in ragione fuori di proporzione.

D'altronde la causa attuale della mal'aria è l'impaludamento, che accade in tre punti principali di quel territorio, che sono il seno di Montebuono, di Borghetto e Castiglione. Gli avanzi organici che si trovano in questi seni palustri possono provenire da tre cause diverse.
  1. Dai detritus, che vi trasportano le acque discendenti dai vicini boschi. 
  2. Dalle materie galleggianti che vi sono spinte dalle onde. 
  3. Dagli avanzi che annualmente vi lascia la vegetazione spontanea delle piante palustri, delle quali molte muoiono affatto, altre lasciano la fronda allorquando l'acqua si ritira in estate. 
Ed a questa terza causa è più specialmente da attribuirsi quella quantità di humus, che si trova, poiché quando ai torrenti abbiam già notato che sono piccoli e di breve corso, ed anche i boschi, d'onde provengono, sono in gran parte costituiti da piante sempre verdi, che perciò non danno molta quantità d'avanzi organici. In questi luoghi palustri poi cercano a preferenza asilo e pascolo uccelli pesci ed altri animali acquatici, che vi lasciano spoglie ed avanzi di diverse materie le più facili a decomporsi e le più atte a produrre gaz perniciosi o miasmi. Così mentre questo terreno, ove fosse prosciugato, addiverrebbe assai produttivo, nell' attuale condizione perché invaso dalle acque, è solo alimentatore di cannuccie (arundo phragmitis) e di erbe palustri, e quando in estate rimane asciutto, aumenta a dismisura la sua azione malefica alla salute degli uomini. Visto come la mal'aria è effetto della condizione palustre di taluni lidi; e questa è prodotta del dilatamento invernale, e conseguente ritiro estivo del Lago, e visto ancora che la vegetazione delle piante acquatiche ed il deposito di sostanze organiche non avviene che sopra una ristretta superficie, e di più avendo dimostrato che il prosciugamento adoperato come mezzo unico per risanar l'aria, potrebbe fare invece aumentare temporaneamente la condizione palustre; possiamo concludere che la salute degli abitanti, e la pubblica igiene non reclama il totale prosciugamento, ma lo teme. Se reclama un meglio, questo conviene cercare e procurare di ottenere senza il pericolo, che per aver l'ottimo deperiscano per la via tutti i desideranti.

Passiamo ora a considerare la cosa sotto l'aspetto agrario, e vediamo se sia certo quel vantaggio che si ripromettono i fautori del prosciugamento completo. Che il prosciugamento del Lago non sia per lasciare un fondo il più acconcio alla coltivazione risulta da varie considerazioni nascenti dalla sua stessa natura.

È osservazione generale che ovunque le acque de' fiumi, o torrenti giungono a versarsi in un bacino, sia esso un lago, od il mare, perdono la velocità nel confondersi con quelle del bacino, e da ciò ne consegue che i materiali diversi che esse acque trascinavano sono abbandonati sia per rapporto al tempo, che allo spazio in ragione del loro peso. Quindi si depositano prima le ghiaie, poi le sabbie; e le sostanze argillose vi rimangono più lungamente, cagionando così la torbidezza dell'acqua per un tempo o spazio più o meno lungo; ma in fine ancor queste debbono, obbedendo alle leggi di gravità, precepitare al fondo. E da ciò deriva che presso ai lidi il deposito è prevalentemente ghiaioso e sabbioso, e verso il centro del bacino prevale invece l'argilla. Quanto poi alle sostanze organiche, essendo le più leggere, restano galleggianti finché le onde stesse non le spingono in secco. Dal che ne segue che né nella parte centrale, né in qualsiasi luogo, ove l'acqua si mantiene constantemente assai elevata può farsi deposito di detritus organici. Soltanto quando per naturale effetto dei depositi, o per artificiale sottrazione d' acqua, il Lago è divenuto palude, accade facilmente la mescolanza delle materie terrose, cui associandosi le organiche, si costituisce un terreno per lo più atto alla coltivazione.

Ora venendo al caso nostro, ed applicando al Trasimeno le sovraccennate leggi di Geogenia, siamo ragionevolmente indotti a concludere che i terreni formati per azione di deposito nel fondo del Lago debbono essere ove eccessivamente sabbiosi, e ciò specialmente nella periferia; ove costituiti da quasi pura argilla, e ciò specialmente nelle parti centrali; e quindi così nell'uno come nell'altro caso la troppo grande prevalenza dell'elemento o sabbioso od argilloso farà sì che que' terreni non risultino di buona composizione minerale, quale si esige affinché siano utilmente coltivabili.

Quanto poi alla fertilità, la quale è essenzialmente constituita da avanzi organici, non potremo in genere trovarne se non là dove possano formarsi depositi di sostanze di tal genere; ma noi abbiamo già dimostrato, trattando la questione igienica, che ben ristrette sono le località, ove que' depositi di terriccio si formano dando così origine alla mal'aria, e quindi abbiamo in ciò anche la prova che solo in pochi luoghi esistono terreni ricchi di materie organiche e dotate di natural fertilità, ma nel resto tutto ci fa prevedere, che scarsissimo sia di fertilità il fondo del Lago. Che se anche si voglia, che qualche frustolo di avanzo vegetale portato dalle torbide restasse sepolto ne' depositi, il movimento del Lago lo diseppellirebbe e porterebbe anch'esso a sponda. E ciò accaderebbe facilmente, perché frequenti vi sono le tempeste e queste sono sempre precedute da un movimento intestino delle acque, che agita la melma del fondo, e la porta fin quasi alla superficie anche prima che questa riesca agitata.

Questo fatto osservabile da chiunque vi presti attenzione porta a concludere impossibile la rimanenza di qualsiasi materia organica nel fondo del Lago, e quindi impossibile che da questo lato ne venga la minima fertilità.

Potrebbero esservi altre fonti di fertilità: potrebbe supporsi, che erbe acquatiche fossero nel fondo, e queste coperte dai depositi averli fertilizzali. - Ad eccezione delle sponde e dei tre precipui tratti palustri sopra accennati, in verun punto dei Lago il fondo ha erbe palustri; quindi è impossibile che siansi fertilizzati i depositi terrosi. Inoltre è fatto che la riviera di ponente fuori della diga, che chiude la palude, mentre è tutta di basso fondo, e perciò atta alla produzione di erbe palustri, è spoglia di ogni vegetazione, e non produce neanche la cannuccia, che è si abbondante ne' punti palustri summentovati. Ciò indica tanta pertinacia di tristo terreno da non permettere punto neanche la vegetazione delle inutili piante.

A conferma di questa sterilità starebbe
  1. l'autorità del Crispolti, e del Pascoli riportati dal Mariotti, che asseriscono, che «cinque delle sei parti del suo fondo sono di bianca arena, di ghiaia e di sassi, e la sesta parte è n palustre e limosa» V. Memoria del Mariotti pag. VI. 
  2. il fatto che l'arena del Lago è rinomata per la segatura del marmo, che esige come ognun sa, un'arena schiettamente silicia.
A coloro poi, che a sostegno del contrario parere portano ad esempio la fertilità del suolo che si è guadagnato nel prosciugamento di altri Laghi, noi replichiamo che in genere allorquando il buonificamento fu intrapreso, quelli erano paduli anziché Laghi, e tali ridotti per opera della natura stessa, la quale fa si, che ove i Laghi non siano attraversati da un fiume che ne tenga spazzato il fondo, vanno lentamente colmandosi. Quando per tal via sono addivenuti paduli è allora che sia per togliere la mal'aria, sia per guadagnare del buon terreno, diviene necessario ed utile il prosciugamento.

Anche il Trasimeno dopo secoli si ridurrà in quella condizione, ed allora sarà interesse il prosciugarlo, ma oggi è ben lontano dall'esserlo, e così è ben lungi dall'esser prudente il tentarlo.

Né dal sistema delle colmate artificiali, in altri luoghi tanto utilmente adottato, sarebbe a ripromettersi grandi vantaggi, poiché la scarsezza delle torbite apportate dai piccoli influenti nel Lago farebbe sì, che molti e molti anni dovrebbero trascorrere prima di giungere a buonificare con tal mezzo quella così vasta superficie.

Ove si trattasse semplicemente di un abbassamento dell'attuale pelo di acqua, i risultati sarebbero ben diversi, e le conclusioni verrebbero favorevoli. Le parti del Lago che resterebbero quasi scoperte sarebbero appunto i seni, già colmati dai relitti delle piene commisti all'erbe palustri infradiciate.

Una gravissima ragione di interesse diretto ha Perugia a conoscere ed influire nelle determinazioni che potesse prendere il Governo sul Trasimeno. È ricchezza fondamentale delle precipue famiglie del paese la corona di oliveti che lo circondano. Il prosciugamento altererà la condizione climatologica di quel territorio? E la condizione alterata porterà morte o solo detrimento a quelle ricchissime piante? Questa considerazione è di seria importanza, e troppo giustamente preoccupa tutti, e deve preoccupare anche il Governo. Tutti dobbiamo aspirare all'aumento della ricchezza dei territori, ma porre in pericolo una coltura ricca ed abbondante, per tentarne una povera od almeno problematica, non è certo savio consiglio, e mentre una Società Anonima tanto si adopera per tentare una speculazione, è conveniente che sì il Comune che i Proprietarii facciano forza onde allontanare questo pericolo. Questo asserto basa su considerazioni scientifiche ed osservazioni sperimentali, che se non danno certezza assoluta, danno quella morale certezza, cui per ordinario l'umanità nelle sue operazioni si acquieta.

La Geografia fisica ci fa conoscere che nei paesi temperati la presenza di un gran serbatojo di acqua è mezzo che mitiga come il calore estivo, così il freddo invernale, e favorisce colà potentemente la vegetazione.

L'olivo come pianta sempre verde e di climi meridionali risente più d'ogni altra il tristo effetto degli improvvisi passaggi di temperatura a tale che, ove questa si abbassi di qualche grado sotto lo zero coll'aria molto umida, avviene la così detta calaverna, o gelicidio, che porta lo morte dei rami o dell'intero fusto fino al colletto della radice.

Ora il prosciugamento del Lago toglierebbe la causa della mite temperie, e però fu sempre ragionevole il sospettare, che danno notevole ne avrebbero gli olivi. Che il timore non sia ipotetico ma ragionevole tanto in genere, quanto in specie stanno le autorità ed osservazioni seguenti.

Evitando di citare molti autori riportiamo i due seguenti passi del Brocchi Conchiologia subappennina, che riporta la massima come positiva.
È stato da molti fisici avvertito, che l'aria sovrastante a vasti tratti di acqua, è generalmente calda di più gradi all'inverno che non è quella sovrastante alla terra; e che quindi la vicinanza dei mari molto influisca sulla temperatura dei continenti. I paesi contigui al littorale sono perciò generalmente meno freddi di quelli che stanno nell'interno; e le isole molto meno ancora dei continenti, come è stato dimostrato da Kirvan con una numerosa serie di esperienze (An estimate of the temperat of differ. latitud., pag. 30. 38. 40.) Nelle isole Orcadi, che giacciano sotto il cinquantanovesimo grado di latitudine boreale, rarissime volte gela, e vi cade, durante l'inverno, più pioggia che neve ( Kant) [così nel vol. 1°. pag. 387, e nel vol. 2°. pag. 455.] …per dare a divedere quanto la vicinanza di grandi spazi di acqua contribuisca ad addolcire la temperatura dei paesi che sarebbero per se stessi notabilmente freddi, ho omesso citare un famigliarissimo esempio, che può tornare in acconcio al proposito quando si voglia adattarlo dal piccolo al grande. È noto che nelle vallate montane ingombrate da spaziosi Laghi, quali sarebbero fra noi il Verbano ed il Lario, suole essere il verno senza paragone men rigido di quello che lo sia negli altri luoghi adiacenti, e talvolta ancora nella pianura. Per la qual cosa lungo la costiera di questi laghi ottimamente riesce la coltivazione di piante fruttifere, che si potrebbero considerare esotiche per la montagna; e che di fatto cessano di vegetare a poca distanza, qualora più non si trovino sotto la immediata influenza della temperatura lacustre. Sulle rive del Lario per esempio, ossia del Lago di Como, prospera la vite fino ella estremità di quel vallone, che si insinua nel cuore delle montagne per la lunghezza di 40 miglia, e lussureggia questa pianta pel piano di Colico fiancheggiato da un canto dal gigantesco Legnone che ha 8132 piedi di altezza e dall'altro dalle rupi scoscese della Valtellina: così gli aranci vivono allo scoperto a Varenna, e senza difficoltà resistono gli olivi sulla spiaggia di Rezzonico. Or supponiamo che disseccandosi il detto Lago, tutto quel tratto di suolo si riducesse alla condizione degli altri paesi alpini sepolti per la gran parte dell'anno sotto i ghiacci, e la neve; figuriamoci ancora che quando fosse spenta ogni memoria dell'avvenimento, si rinvenissero nelle torbe foglie e ceppi di arancio e di olivi, se questo fenomeno non riuscirebbe ai naturalisti tanto strano, quanto quello di trovare in Italia ossa di elefante, darebbe certo motivo chi sa a quante dispute ed a quanti indovinamenti.
Quanto alle osservazioni locali il Mariotti narra che nella primavera del 1767 per effetto di freddo e brina in Valdichiana (valle contigua al Trasimeno) perirono molti alberi, e fu seccata la foglia dei gelsi completamente; nel contorno del Trasimeno tutto restò illeso. - Nel 1788 una calaverna danneggiò tutta la foglia dei gelsi del Perugino; solo restò esente il contorno dei Lago.

Le piante degli olivi grandi, intere e robuste Stanno là a provare come mai abbiano sofferto, e come siano per sé stesse testimoni pel tempo trascorso di quanto vedemmo coi nostri occhi nel decembre 1846 quando perì, o almeno grandemente sofferse il territorio della Toscana e dell'Umbria, e gli olivi del Trasimeno non sentirono affatto alterazione.

La osservazione della costanza di questi fatti è stata sempre causa dell'osteggiamento al prosciugare il Trasimeno, di cui molte volte sonosi intraprese le trattative, e sempre per questi fortissimi interessi posti a rischio, sono restate senza la sperata conclusione: che certo nessun ministero nessun principe potrà mai credere prudente rovinare o tentar di rovinare ricchezze esistenti, e ricchezze certe prodotte dall'industria degli uomini per scrutare e cercare ricchezze problematiche, e che riuscendo più abbondanti delle previste, assai difficilmente riuscirebbero a ragguagliare quelle che si pongono in pericolo. E dato che le ragguagliassero si condannerebbero forse quei colli alla vita sterile ed improduttiva, che tutti sanno gli scogli di calcare e di arenaria quanto sono acconci agli olivi, tanto sono inetti ad ogni altra specie di coltivazione.

Qualora poi si trattasse di un semplice abbassamento della superficie dell'acqua ossia di un ritiro, mentre si otterrebbero i vantaggi reclamati, nessun inconveniente avverrebbe alla zona olivata, che si ha tutta la cura di custodire, perché non si altererebbe che punto o poco la temperatura di quel territorio.

Ma quando anche il prosciugamento portasse degli utili sarà poi giovevole sotto l'aspetto economico territoriale? Vediamolo:

Considerando della Economia pubblica quella parte che riguarda l'Agricoltura, da cui principalmente dipende la condizione economica di tutti i paesi di questa provincia, i sottoscritti non esitano a rispondere che per un numero di anni andrebbe probabilmente a risentire un'alterazione dannosa la coltivazione di gran parte del territorio, e specialmente di quella, cui precipuamente la mano industre e sollecita rende produttiva. Lo sperar grandi cose dalla ubertosità del terreno prosciugato, la reale ubertosità delle sponde di talune parti, gli eccitamenti e le promesse della Società prosciugante inviterebbero ad accorrere colla lusinga di migliorar la lor condizione molte famiglie coloniche, ché la ubertosità abbenché apparente soltanto nell'animo di che per continuo lavoro e fatica non è giunto a migliorare la propria fortuna, è molla potentissima allo avventurarsi a qualunque impresa.

Il sorgere di 500 poderi reputati paradisi farà accorrere in fretta coloni da tutte parti, e intanto le terre prima colonizzate resteranno probabilmente deserte, e la classe dei proprietari, che da quelle traeva la sussistenza, sarà in breve rovesciata in condizione miserabile o certo assai deteriorata. Che questo non sia un vano timore, ma una conseguenza necessaria e ben previdibile, si potrebbe rigorosamente provare ove vi fosse una statistica delle colonie. In mancanza della medesima si potrà istituire un calcolo generale coi seguenti dati noti:
  1. la quantità della popolazione; 
  2. la quantità delle famiglie possidenti; 
  3. la quantità delle case; 
  4. la quantità delle famiglie.
Il territorio di Perugia e quelli dei paesi circostanti al Lago saranno i primi ad essere abbandonati. Nell'angustia di tempo in cui siamo trarremo le induzioni dai dati seguenti desunti dalle Nozioni statistiche sulla popolazione dell'Umbria raccolte per cura della Direzione di Statistica stampate nel 1862.


Superficie. EttariPopolazioneFamiglieProprietariiCase
Castiglione del Lago154039721159813611534
Panicale70733661959736599
Magione e Agello95806120974818888
Passignano e Castel Rigone55203151461291436
Lisciano35271915234177228
Tuoro36142278359356636
Fratta19860996715479211359
Perugia4362841891769619612259
Corciano62594016613573569
114464827201444171948508

Dalla qual tavola (tolto il numero delie famiglie proprietarie al numero delle case di cui ogni colonia ne ha necessariamente una, ed ammesso un tenue numero che possiede un terreno piuttostoché una casa) risulta che il numero delle famiglie coloniche nei comuni che circondano il Lago non eccedono il numero di 1314, e deggiono coltivare 114464 ettari di terreno, ossia ettari 87 per famiglia, meno il monte incolto che vi si riferisce. Risulta inoltre che si aumenterebbe più di un terzo il numero delle colonie. Egli è dunque troppo evidente che impossibile non resti alterata la condizione dei 1314 poderi colonizzati. E ciò tanto più si farà chiaro ove si rifletta, che i 500 poderi esigono 500 famiglie in breve giro di tempo, mentre la popolazione ha un aumento di 1/25 la più abbondante. Quando le colonie scarseggiano di uomini capaci della coltura, e sono assottigliate dai destinati alle armi, sarebbe un aggiungere miseria al bisogno di coloniche famiglie aumentare la estensione del territorio coltivabile.

Coll'aumento di prosperità crescerà certo la popolazione, e il ritorno delle reclute da una vita attiva e regolare darà una ricca abbondante e sana prole, ma pel momento invece di aumentare numericamente, convien che decresca sia per lo sperpero di un numero di sciagurati travolti alla fuga e allo esilio volontario, sia per i coscritti che sono legati per la leva alle armi. Questa circostanza è bene sia osservata da chi governa per persuadersi della difficoltà, in cui si trovano i possidenti per provvedere alla coltivazione. Alle presenti difficoltà accrescerne altre, non è certo prudente consiglio. Inoltre è da osservare che lo stato dell'agricoltura in questa Provincia non è prospero quanto dovrebbe essere, ed abbenché di natura più fertile della limitrofa Toscana, produce in proporzione meno di quella, ed i nostri coloni non perdono i giorni in ozio. È sentenza di un illustre economista (Cattaneo) che un terzo almeno della produzione nell'Umbria «giaccia nella terra sepolta per manco di operosità» se non può dirsi ozioso il nostro popolo della campagna, convien concludere, che è il suo poco numero che fa giacere questo terzo sepolto. Prima di ampliare materia agli agricoltori sarebbe bene, che questi raggiungessero la perfezione nella materia attualmente posseduta, e lasciar la terra nuova pel momento in cui l'attuale si rendesse insufficiente. Inoltre la natura montuosa del territorio umbro dà luogo alla necessità di sviluppare la coltura delle piante arboree e precipuamente della vite e dell'olivo, che esigono molti lavori manuali, e quindi gran numero di coltivatori, a cui non si può supplire colla meccanica Agraria. Aggiungasi che i nostri monti nudi, sia per effetto del freddo invernale, sia più ancora per l'aridità dalla state, quasi sterili e di poco conto hanno i pascoli e conviene quindi coltivarli nelle loro chine ad olivi cui assai si prestano. Volontà e mezzi vi sarebbero, ma mancano le braccia che vi occorrono.

Ora se a queste considerazioni si aggiungesse il fatto non molto dubbio, che la coltivazione nel fondo del Trasimeno fosse inefficace per la sua sterilità, come abbiamo detto, è indubitato prodursi uno scompiglio nell'andamento pacifico della vita di questa provincia per aver invitato un gran numero di coloni colla lusinga di esibire un Eden, ove non troverassi che fame e miseria. E porre in una quieta e spiritosa provincia i mali semi di disperazione e disperate intraprese, è assai tristo principio della vita nuova.

Né si dica che presto ritornasi alla normalità ove si verifichi uno sconcio di questa natura. Darebbe segno di conoscere poco gli uomini e le cose chi riputasse facile riporre tosto tutto allo stato pristino senza commozione e violenza. Come ancora non è da reputare che questa cresciuta popolazione per concorso di ogni parte, ove trovasse fallite le sue speranze, potesse portare il vantaggio cercato dell'aumento di braccia di cui la provincia abbisogna, perché ognuno conosce la condizione colonica e la sua miseria. Immedesimarsi gli estranei nella famiglia, è assurdo il pensarsi; starvi in qualità di operai cioè per il vitto e salario è impossibile, perché non vi giungono le forze coloniche, e qualora si pensi, che alle fatiche esagerate del coloni, corrisponde la terra un misero sostentamento di polenta ed acqua, si vedrà la impossibilità di pagare lavorieri giornatanti, e abbenché cresca il prodotto in proporzione delle braccia aumentate non sarà mai tale da migliorare al punto, che è necessario, la condizione dei coloni e loro aggiunti.

Ci siamo molto trattenuti sulla trattazione di questo argomento, perché più da vicino tocca gl'interessi dei possidenti di questo territorio, e perché sul territorio si riversa il danno di un imprudente esperimento.

Escluso il prosciugamento totale come condizione utile da trarsi dal Trasimeno, vediamo se il prosciugamento parziale avesse migliori risultati. Il prosciugamento parziale potrebbe tosto porre in secco le parti, che lo reclamassero al momento; ciò potrebbe ottenersi o coll'abbassamento dell'emissario o per via di colmate. Ove si volesse ottenere col solo abbassamento dell'emissario fatto annualmente, s'incontrerebbe il rischio di peggiorare la condizione igienica, perché ogni anno si formerebbero nuovi paduli. Ove per altro col mezzo delle colmate si andasse inalzando il terreno coltivabile attorno al Lago rimpiazzandosi all'acqua gradatamente ed in ragione della quantità dalle torbide che sogliono portare i piccoli influenti, si metterebbe a profitto utile tutto il buono che proviene dai monti circostanti, e mentre si eviterebbe lo impaludarsi di certe parti, che per essere naturalmente colmate avrebbero bisogno di tempo lungo, si porrebbero in salvo da ulteriori inondazioni quelle, che sono già molto elevate, ed in parte sono già coltivate, e così avanzando colle colmate lentamente, ma costantemente, dalla periferia verso il centro, si acquisterebbe ogni anno una zona di terreno coltivabile, e col correre dei tempi si raggiungerebbe alfine il prosciugamento completo senza danni o pericoli. Così regolando i corsi principali di acqua possono per ora condursi a colmare i tre seni principali, e questi benificati dalla colmata, e dalla regolarità data all'emissario, che impedisca lo inalzamento dell'acqua sopra un ordinario livello, verrebbe eliminata la triste condizione dell'aria.

In questa guisa operando il poco terreno, che si anderebbe annualmente acquistando in diminuzione della superficie dell'acqua, sarebbe in gran parte di buona qualità da compensare esuberantemente al danaro, che vi si anderebbe a spendere. L'economia territoriale non vi scapiterebbe anzi vi guadagnerebbe, giacché l'ampliamento della superficie coltivabile si farebbe lentamente, come lento è l'aumento della popolazione. Il terreno olivato per ora non scapiterebbe certamente, perché resi coltivabili i seni di Montebuono, Borghetto e Castiglion del Lago, la massa d'acqua rimanente sarebbe ragguardevole ed il clima non potrebbe provarne sensibile variazione.

Dal porre a profitto per colmare le torbide del Lago si avrebbe oltre la formazione dei terreni agrari, anche il vantaggio di eliminare la causa principale della sempre crescente diminuzione del pesce. Se poi tolta la causa del deterioramento si aggiungessero i mezzi artificiali per aumentarlo, si potrebbe avere un prodotto assai più rilevante. Da altri laghi dell'ampiezza del Trasimeno (ad esempio Fucino) circa 80 mila scudi di Dazio di pesce, e non vi si coltiva artificialmente; e non si potrà trarre questo vantaggio dal nostro?

Alle osservazioni suesposte che militano contro il totale prosciugamento istantaneo del Trasimeno, è da aggiungersi che con la ferrovia che si sta costruendo avvicinandosi le distanze, quel Lago si rende un luogo delizioso dato al passatempo dei paesani e forestieri che intendono godere di un allegro giorno di campagna. Da tutte parti si spende ad allestire luoghi decorosi e di divertimenti, Perugia può ben spendere a conservare una naturale delizia a pochi paesi concessa.

Fatte le ferrovie i paesi mediani debbono studiarsi d'incatenare i forestieri con la delizia, ponendo a buon partito tutti gli allettamenti, di cui sono capaci, se intendono evitare che quelle siano mezzi che tolgono il fermarsi del mondo, che si travasa da una ad altra ragione.

E Perugia paese collocato in luogo di aria purissima, in mezzo a pittoreschi colli potrà colle sue opere artistiche aiutate dalle delizie della natura, fermare i viandanti, ma ad ottener questo è necessario che le sue bellezze siano messe tutte a profitto a costo di spese e sacrifici.

La Commissione sottoscritta si propone di confermare con ispezioni locali e con scandagli e minuti esami quanto oggi ha esposto su quello, che ogni ragione di presunzione impone di ritenere. Intanto concludendo dichiara che è sua opinione che debbasi per ogni via opporsi a che il Trasimeno si asciughi completamente, e che, qualora non vi sia altro mezzo per ottenerlo efficacemente, lo acquisti per via di carati e così ne dispongano poi gli acquirenti in quel modo che i loro stessi interessi esigeranno: in tal guisa quella servitù naturale fra il Trasimeno e i proprietari degli oliveti, e i paesani limitrofi, originata dalla essenza e conservazione di questi, resti una volta per sempre distrutta per lo immedesimarsi della proprietà nelle mani degli aventivi ragione. Così sparisce per sempre una causa di continue possibili collisioni, così sarà anche salvo una volta quel principio di dignità, che è in pericolo ogni qualvolta conviene ricorrere ad istanze e preghiere, perché non sia recato danno e pregiudizio ad un territorio abbastanza rispettabile ed esteso, e si arriverà a poter disporre della cosa propria, come i propri interessi importano.

Ing. Dott. Cesare Cesari

March. Raffaello Prof. Antinori

Prof. Paolo Geymonat

Prof. Braccio Salvatori

Prof. Francesco Francesconi Relatore.

__________

(1) Il Borghi nel 1778 al 1779 trovò la profondità massima di piedi perugini 18 = metri 6,20; Gambini nel 1820 trovò la profondità. massima metri 6,45; Balducci nel 1842 la trovò di metri 6,51; ed altro anonimo sotto nome di Curato di campagna nello stesso anno di metri 6,20.


Relazione sul prosciugamento del Trasimeno letta nell’adunanza generale del giorno 19 gennaio 1864, "Il Giornale scientifico agrario letterario artistico di Perugia", 1865, p. 150.

Ti ricordi la cooperativa pescatori Sant'Andrea?

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La cooperativa pescatori Sant'Andrea aveva la sua sede dove ora è il porto turistico di Castiglione del Lago, proprio dove si trova l'Arbit.

Per circa un ventennio, tra la metà degli anni '70 e la metà degli anni '90 del secolo scorso, i castiglionesi potevano andare a comprare il pesce nell'edificio in mattoncini rossi che si vede qui sotto, nella splendida foto con tutti i soci vestiti a festa.



Le barche erano ormeggiate poco oltre, dove ora sono i pontili del club velico. Intorno alla scesa si trovavano le capanne in lamiera, tra gli alberi erano appesi i tofi e le reti. Non troppo distanti c'erano le vasche esterne per il pesce.



Dall'altro lato dell'edificio, dove ora c'è la darsena Est, c'era il laghetto per la pesca sportiva, il cui primetro ancora si distingue facilmente.



Le foto in questa pagina sono il frutto dell'encomiabile lavoro di ricerca di Andrea Pagnotta e Giorgio Brusconi.

Sempre ad Andrea va il merito di aver "riesumato" il vhs in cui si vede l'esterno della cooperativa; sono di Giorgio, invece, le riprese dei lavori di prosciugamento del laghetto per la pesca sportiva.








Trasimeno, dopo 25 anni raggiunto lo zero idrometrico

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Finalmente lo zero. Il Trasimeno era sceso sotto lo zero idrometrico nel luglio del 1989, restandovi per ben 25 anni.

Nella tabella che segue si possono trovare i dati relativi all'ultimo secolo. Per ogni anno è riportato il dato medio e il livello minimo e massimo raggiunto dal lago. Si noterà il -263 raggiunto nel 1958 e lo straordinario +89 del 1917.

Lo zero, lo ricordiamo, è fissato a 257,33 metri sul livello del mare.

Quando fu inaugurato il nuovo emissario nel 1898 il livello fu fissato a 258,42 metri sul livello del mare (26 centimetri più in basso dell'emissario di Braccio). Nel 1928 il livello fu abbassato a 257,42.

Per approfondire si rimanda a: Ermanno Gambini, Le oscillazioni di livello del Lago Trasimeno, Perugia, Ars Color, 1995; Michele Chierico, Un'élite all'opera. I cinquant'anni che segnarono il destino del Trasimeno, Era Nuova, 2003.

Livello massimoLivello minimoLivello medio
191245425
191327416
191430-1110
1915792653
191656430
1917891653
1918441128
191944123
192035-198
1921-10-59-35
1922-39-89-64
1923-46-97-72
1924-18-71-45
1925-45-88-67
1926-42-74-58
1927-24-83-54
1928-27-71-49
1929-9-57-33
1930-27-58-43
1931-20-75-48
1932-45-68-57
1933-28-71-50
1934-10-52-31
19351-62-31
193615-25-5
193730-224
193839-1512
19399-29-10
194014-131
194161332
194217-30-7
1943-7-82-45
1944-57-115-86
1945-40-115-78
1946-106-178-142
1947-38-90-64
1948-47-87-67
1949-88-172-130
1950-149-195-172
1951-132-175-154
1952-129-180-155
1953-150-184-167
1954-144-182-163
1955-157-212-185
1956-170-234-202
1957-200-244-222
1958-214-263-239
1959-227-255-241
1960-131-206-169
1961-91-133-112
1962-65-124-95
1963-25-75-50
19648-18-5
196525-212
196631-310
19675-38-17
19680-30-15
196932-713
197038-276
1971-10-72-41
1972-19-51-35
1973-26-82-54
1974-52-99-76
1975-83-126-105
1976-69-115-92
1977-23-59-41
197832-41-5
197953-1320
198046-421
198147426
198234-217
198351-1319
198434-913
198550-2214
198652-922
198743-1713
198854027
198911-23-6
1990-15-78-47
1991-34-85-60
1992-20-63-42
1993-24-81-53
1994-30-85-58
1995-62-110-86
1996-84-129-107
1997-59-110-85
1998-41-95-68
1999-59-107-83
2000-50-111-81
2001-41-110-76
2002-102-140-121
2003-103-185-144
2004-118-169-144
2005-66-142-104
2006-39-90-65
2007-69-140-105
2008-120-168-144
2009-98-157-128
2010-63-141-102
2011-40-97-69
2012-90-151-121
2013-18-95-57

L'assemblea dell'Arbit 2014

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Anche quest'anno l'assemblea dell'associazione Arbit e il pranzo sociale si svolgeranno presso il ristorante la Capannina a Castiglione del Lago in via Lungolago 20. Il giorno? Domenica 23 febbraio, come scritto sopra accanto al pallone-carpa.

Soci, sostenitori e amici possono fermarsi e chiedere a Guido, scrivere a guidonautica@libero.it o telefonare al +393395456987.

1790. Riflessioni Economico-Politiche sul diseccamento del Lago Trasimeno oggi detto Lago di Perugia

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Benedetto Bernardi

Riflessioni Economico-Politiche sul diseccamento del Lago Trasimeno oggi detto Lago di Perugia.

Dalle riflessioni idrostatiche, e fisico-mediche, che a giudizio d'ognuno deono precedere la grande impresa del prosciugamento del Lago Trasimeno di Perugia, non hanno da gir disgiunte l'economiche-politiche, per la considerazion del profitto, o pregiudizio, che derivare ne possa al Principato, e ai suoi sudditi. A queste ultime rivolgendo il pensiere, dacché non mancherà chi con saggio discernimento esporrà le prime, sembrerà strano, che da bel principio da me si voglia disapprovare un tal prosciugamento sul riflesso della perdita, che si farebbe dell'utile che si riceve dalla pesca di detto Lago, senza prima acquisto dei terreni diseccati, a ottima coltivazione ridotti. Ma perquanto condannabile potesse essere questa prima riflessione, non sarà mai tanto, quanto quella dei Fautori di una simile impresa, per cui tanto è certo il termine di un profitto proveniente dalla Pesca, che si distruggerebbe, quanto è incerto il vantaggio della rendita del terreno da diseccarsi.



A comprendere, che sia massimo, e certo l'utile, che mancherebbe dal prosciugamento del Lago, e dalla distruzione della pesca, basta dare alla sfuggita un'occhiata, non dico a quello che ne ritrae la R.C.A. dell'annuo Canone dell'Affitto, all'utile che ricava l'Affittuario, alle corrisposte annue, ai particolari delle pesche affittate ai Pescatori (che pure sormontando a molte migliaja meritano la loro considerazione); basta, dissi, dare uno sguardo all'Isole, Villaggi, Terre, Castelli popolatissimi posti alle rive del Trasimeno, abitati da numerose Famiglie di soli Pescatori, le quali tutte e si mantengono, e aumentano ancora i loro Capitali col solo mestiere della pesca: aggiungasi in oltre tanti Ministri, che l'Azienda di detto Lago richiede, i quali col loro annuo assegnamento mantengono le proprie case; il lucro, che vi fanno tanti Vetturali; il guadagno dei Pescivendoli; in somma l'immenso Popolo, che dalla pesca del Lago Trasimeno, di pesce abbondantissimo, riceve il proprio sostentamento.

Che l'utile, il quale si ritrae dal Lago sia tanto grande, che per lo meno ragguagliare si possa all'annua rendita di quaranta mila scudi, primieramente si può con chiarezza dedurre dai libri de' Ministri del medesimo, dai quali risulta, che l'introito annuo del solo dazio della gabella del pesce d'ordinario ascende alla somma di otto in nove mila scudi: e certamente quando questo provento tanto non rendesse, l'Affittuario per l'esorbitanti spese, che ha dei Ministri, di Guardie, del Mantenimento di barche, reti ed altri stili neccessarj alla pesca, unite ai tanti altri obblighi, ed all'annuo Canone, che corrisponde alla R.C.A. certamente, dico, andrebbe incontro ad uno scapito certo, e sicuro. Posto adunque un introito di sola gabella di otto mila scudi, non dirò molto, se un doppio valore solamente darò al pesce venduto del quale il compratore ne pagò il suddetto dazio; ed eccoci saliti alla somma di ventiquattro mila scudi: Abbiasi in oltre in considerazione la vendita di tanti carichi di pesce, che senza gabella si fa dall'Affituario, il quale nelle più abbondanti pesche, come sarebbe quella detta della nave, e l'altra chiamata della bozza entra in parte col Pescatore, e che con mantenere alcune piazze, ne fa a conto suo lo smercio: il consumo, che si fa del medesimo per proprio sostentamento da tanti Pescatori, e tanto Popolo, che abita l'Isole, ed i Castelli parimente esente dalla gabella. Finalmente il denaro, che si ricava dalla vendita delle pagliole, delle cannuccie, delle scarse, e di altri prodotti del Lago, parte dei quali sono a vantaggio dell'Affittuario, e parte a profitto dei Pescatori, e che unito insieme fa la considerabile somma di più di migliaja; e conoscerà ognuno ad evidenza, che non solo si può ragguagliare, ma che anzi con fondamento oltrepassa la rendita della somma surriferita.

Se diseccato il Lago, tutti i descritti vantaggi, che da esso provengono, vanno del tutto a finire, dissi dunque il vero, allorché senza esitare accertai il termine di un utile grande, di un sommo bene al Principato, ed a suoi sudditi al termine della pesca.

Che se la società dei Caratanti alla grand'opera pel prosciugamento del Lago cedesse, che tutti i vantaggi, che presentemente derivano dalla pesca, venir potessero di gran lunga compensati dai prodotti del terreno prosciugato, e ridotto a ottima cultura: mi sia lecito allora il ripetere ad essi, che presentemente dalla pesca dal lago ne viene; altrettanto è incerto quanto profitto ne potesse derivare dal medesimo diseccato. E vaglia il vero, quanto farà il terreno, che a buona coltura potrà ridursi? Dell'ottima qualità quanto se ne potrà guadagnare? L'estensione del medesimo non si può certamente calcolare dalla estensione dell'acqua, che presentemente l'inonda; mentre che ocularmente vediamo per ogni parte l'acqua non solo alle sue rive batter lo scoglio, ma altresì nel suo mezzo ove nascono dell'Isole alle falde di esse battere il sasso; questi scogli, questi sassi, benché non sappiamo quanto, possiamo per altro assicurare, che non poco si estendono nel seno del Lago, avendo per esperienza veduto, che nel ritirarsi dell'acque negli anni di gran siccità, in dette situazioni non rese mai terreno da coltivarsi, ma scogli e sassi.

E se incerta è la quantità e l'estensione del terreno da ridursi a coltura, che dal prosciugamento delle acque si può acquistare, non meno incerta è la qualità del medesimo. Niuno a vero dire di poco accorto potrà tacciarmi, se all'osservazione fatta in più luoghi del terreno, che presentemente si vede alle rive del Trasimeno, francamente dicessi, che gran parte di quello, che si acquisterebbe, saria di pessima qualità, e non di frutto. A restar convinto di quanto asserisco, basta osservare (senza individuare altre situazioni) il terreno, che bagna il Lago per l'estension di più, e più miglia a Ponente dal Ponte di Paganico sino al fosso della Venella; a Ostro dall'Osteria di Braccio fino al Ponte della Pescia, per accertarsi di qual pessima qualità egli sia, anche per lungo tratto fuori dell'acqua, cioè arenoso, sterile, infruttifero, sfogliato di ogni sorta di arbori, perché incapace al nutrimento de' medesimi; terre insomma comunemente chiamate Segaline, che il più delle volte, se coltivate, non rendono al povero Agricoltore la quantità del sem, che con tutta l'arte, e con tanto sudore gettovvi. Sì fatta qualità di terreno in dette situazioni non può dubitarsi, che si troverebbe nel diseccamento per lunga estenzione, poiché quivi ancora per osservazion fatta nel ritirarsi del Lago per lunghe siccità il terreno prosciugato della stessa pessima natura comparve. E tanto basta, perché neppure si possa sperare, che il terreno ora ricoperto dall'acqua abbia potuto migliorare condizione per le cannucce, scarze, giunchi, ed altri vegetabili, che nascer sogliono alle rive dell'acque, e che vanno poi a immarcire, e ogni anno a riprodursi di nuovo; perché la totale mancanza altresì di simili prodotti in dette situazioni ne comprova la pessima qualità, e la sterilità innegabile. Che se a tutto questo si unifica l'esperienza fatta da più Notatori i quali dal maggior cupo delle acque hanno sempre portata fuori della sabbia, terra di sua natura infruttuosissima; Chi potrà negare che una gran parte del terreno, che si acquisterebbe nel prosciugamento del Lago, saria cattivo, sterile, ed infecondo?

Che se alcuno dicesse, che qualunque si sia cattivo terreno con la coltivazione, e coll'arte può ridursi a buona, se non ottima terra; a questi replicar si potrìa: E perché adunque non applicarsi con tutto l'animo per ridurre a sì buon essere tanta terra, che, come dissi, si trova fuori d'acqua, e che ha una ragguardevole estensione, e che di presente sterile affatto si scorge? I Proprietarj di questo terreno a piccola vantaggiosa condizione certamente lo cederebbero, purché in qualche modo migliorandolo, si rendesse in parte fecondo: Ma già ognuno si avvede, che se io azzardo sì francamente a nome di quei Possidenti a far a chiunque una sì cortese esibizione, lo faccio, perché son certo, che per due riflessi niuno l'accetterebbe; cioè o perché ogni arte, e ogni industria del più diligente Agricoltore riuscirebbe vana, ed inutile al miglioramento di sì arenosa terra di sua natura cotanto sterile ed infeconda.

Quantunque dal fin qui detto, e dell'aspetto del suolo bagnato dalle rive del Lago chiaramente si comprenda, che del terreno, che si acquisteria dall'esito copioso dell'acque, una gran parte sarebbe sassosa, altra non minore, arenosa, e sterile; nulladimeno per l'incertezza, che pende dall'una, e dall'altra parte, a incoraggire le speranze di una società, che mossa da un fervido zelo, più che il proprio interesse cerca il profitto dello stato, e lo stabilimento di tante Famiglie, che impiegar si possono nella coltivazione, le si potrebbe accordare l'acquisto di tanto nuovo terreno, quanto in loro mente si sono prefisso (benché a mio credere non mai tanto, quanto vi vorrebbe a compensare la perdita dei surriferiti vantaggj, provenienti dall'esistenza del Lago); E d'onde allora troveremo tante Famiglie, quando tanto al presente se ne scarseggia, e la mancanza delle quali è fuor d'ogni dubbio una delle principalissime cagioni per cui i terreni non a sufficienza coltivati, non rendono più quel fruttato, che dovrebbero, e che una volta rendevano? Che se la lusinga fosse, che prosciugato il Lago, e terminata del tutto la pesca, i Pescatori trovandosi senz'arte, passar dovessero alla coltivazion del terreno: vana lusinga al certo farebbe: perché quanto è difficile il trovare un Contadino, il quale (perché non assuefatto all'acqua troppo ne teme i pericoli) abbandoni l'agricoltura per attendere alla pesca; E strano non meno è il rinvenire un Pescatore, il quale contento del suo vivo mestiere, che gli porge il quotidiano mantenimento, tralasci la pesca per esercitarsi nella cultura del terreno. Laonde già parmi vedere questi dopo aver formato un fardello del suo miserabile equipaggio, e delle sue reti, coll'intiera Famiglia abbandonare il paese, e cercarsi altro Lago, ed altra pesca per procacciarsi con le proprie fatiche il sostentamento. Allora certamente farà, che vedremo tanti al presente popolatissimi Castelli, che circondano il Lago, spopolati, e diruti; e che la grande intrapresa del diseccamento del medesimo avrà potuto far ciò, che mai seppe produrre un'aria mal creduta da alcuni al presente nociva, e presso che pestilenziale.

Se dissi un'aria mal creduta nociva, e pestilenziale, non è questo, che da me sostenersi voglia, che l'aria del Lago sia delle ottime, e delle più salubri; ma bensì dire intendo, che se nociva taluno la vuole, solo relativamente creder debba: vale a dire nociva a quelli assuefatti a respirare un'aria sottile, e montuosa, come questa respettivamente può essere insalubre agli Abitatori di Paesi d'aria pesante, e goffa.

Ma poiché fin da principio di queste mie riflessioni mi sono prefisso di non entrare in simile provincia, lasciandone di ciò l'incarico a Persona di profondo sapere; facendo perciò ritorno alle riflessioni economico politiche, mi cade ora il pensiere, che quantunque il Lago Trasimeno alla R.C.A. appartenga, ed essa n'abbia l'alto dominio; molti Possidenti nondimeno, e la maggior parte dei Pescatori, possessori sono di alcune pesche, chiamate dai medesimi Porti, Arelleec. Delle quali ne fecero l'acquisto, o con equivalente sborso in contanti, o con permute in terreni, o che doverosamente in altra simil guisa passate sono in loro dominio. Da queste benché comprate con lo sborso di poco denaro, perché d'intrinseco valore di pochi scudi, con ogni arte, e con industria pescate, tanto di profitto ne ritraggono, quanto dare ne potrebbe un pingue podere per l'annuo mantenimento di una intiera famiglia. Ora se sia lecito, desiderio mi prenderebbe di saper qual compenso al prosciugar del Lago, al distruggere delle pesche si daria, non dico ai Possidenti (ai quali ancora dar si dovrebbe), ma a quei poveri Pescatori, i quali in dette pesche fondati hanno tutti i loro Capitali, e che nell'utile, che dalle medesime con tanta fatica, e sudore percepiscono, riposte hanno le speranze tutte di sostentamento per la propria Famiglia? O il valore del compenso desumere si vorrà dal poco intrinseco valore delle suddette pesche; ed ecco ridotto miserabile il Pescatore, posseditor delle medesime; ovvero dar si dovrà al ragguaglio dell'utile non indifferente, che ne ritrae con la propria industria; ed allora gran parte dei prodotti, che si avrebbero dal terreno di nuovo acquisito, anderia pel compenso ai Posseditori delle perdute pesche. Onde in qualunque modo si vada l'affare, se i Signori Associati nella grand'opera per cercare il proprio avvanzamento, non volessero il pregiudizio di alcuni, e la miserabile oppressione di molti altri, anziché venir lor dichiarato, che tutto quello, che si acquisterà coll'arte, mediante la spesa di un nuovo Emissario, debba ad essi appartenere; dovranno fare un altro calcolo sui prodotti, e rendite a loro profitto, prima di accingersi, se non deggio dire alla non meno difficile, che incerta, potrò almeno chiamarla impresa dispendiosissima.

Che se i sovraddetti compensi luogo non avessero nel supposto diseccamento del Lago, perché o con l'apertura di nuovo Emissario, o col dare all'antico maggior luce di latitudine, e profondità per procurare un esito più copioso alle acque, si volesse fare un nuovo acquisto di terreno alle rive del Lago, senza distruggere questo del tutto, ma solo con ridurlo ad assai minore circonferenza, nel qual caso resterebbero in qualche modo ai Possessori le loro pesche; fa d'uopo allora riflettere, che non basteria la costruzione di nuovi edifizj, e Case rurali per li Coloni del terreno diseccato: Ma necessario sarebbe altresì di un nuovo fabbricato alle rive del già ristretto Lago, accioché non rimanesse inutile, ed infruttuoso, non essendo più al caso le presenti abitazioni per i Pescatori, come che allora troppo distanti dalla pesca. La precisa necessità del quartiere prossimo al Lago per lo Pescatore, evidentemente lo conoscerà chiunque sappia, che il medesimo esercita il suo mestiere, e fa copiosa preda di pesce più che in altra stagione nel rigido inverno, nei burrascosi giorni, nel maggior bujo della notte, passando sovente nella stessa notte dal letto alla barca, da quella al letto, dando così un qualche riposo al laboriosissimo impegno, ed un refrigerio ai gravissimi incommodi, che da sì cruda, e fredda stagione non vanno mai disgiunti.

Siccome peraltro i Socj nella enorme spesa, fra gli altri vantaggj, che lo Stato della compiuta opera ne risentirebbe, quello specialmente adducono della salubrità dell'aria (aria da essi creduta al presente carnefice degli Abitatori) ci fanno chiaramente comprendere, che vogliono il totale prosciugamento del Lago, lusingandosi di toglierne qualunque palude con formare un canale per dar l'esito alle acque, le quali per le piogge da monti, che lo circondano, scenderebbero nel prosciugato terreno, come ancora a quelle, che scaturir potessero dalle sorgenti: perciò non v'ha dubbio, che al felice successo di tutto questo cesseria affatto la pesca, e la Città di Perugia non meno, che le altre circonvicine dello Stato perderebbero un genere per le medesime, che tanto scarseggiano di latticini, presso che necessario, qual è l'abbondantissimo pesce non meno salubre, che di sapore squisito, e che impossibile loro sarebbe per altra parte avere, come dal mare, e da altri laghi lontanissime.

E se entro il giro solamente di pochi mesi d'inverno la piazza di Perugia provveduta viene di pesce di mare (benché in detti tempi ancora il più delle volte ne manchi) per lo cammino che dee fare di più giorni dalle spiagge dell'Adriatico per giungere ad essa, dai Cittadini non pesce, ma pesce a caro prezzo si compra, o per lo meno il pesce di peggior qualità, avanzo di quei paesi, per cui passò prima di arrivare, che del migliore ne fecero la scelta. Se ne' giorni, nei quali vengono vietate le carni, e molto più in quelli, che non si può fare uso neppure de' latticini (dei quali non pochi ne abbiamo nel corso di un anno), il Popolo Perugino, e dell'altre Città, benché sempre o in maggiore, o in minor copia provveduto di pesce del Lago, ed in specie della Lasca, che a vilissimo prezzo in vantaggio delle famiglie povere si vende; nondimeno perché alle volte non in tanta abbondanza, quanta necessaria sarebbe al bisogno e piena soddisfazione di tutto, con tanto rincrescimento ricorre alli pessimi, e perniciosissimi salumi, per la provvista de' quali fuor d'ogni buone, ed economico regolamento tante migliaja escono da detta Città, e dallo Stato: Con quanta maggior ragione doler si dovrà, allor che privo affatto del pesce del Lago, tutto il detto Popolo per necessità a detti salami dovrà ricorrere, i quali se al presente a caro prezzo, a carissimo fuor d'ogni dubbio allora si venderanno? Prosciugato adunque il Lago, distrutta la pesca, si perderebbe un genere sì utile, sì vantaggioso, per fare l'acquisto incerto di altri prodotti, dei quali da un territorio sì fertile tanto se ne abbonda, e in maggior copia se ne abbonderebbe, se una buona parte di fecondo terreno per mancanza di Agricoltori non rimanesse del tutto incolto, o malamente coltivato.

Finalmente tralasciando altre riflessioni, che addur si potrebbero per dimostrare quanto alla effettuazion dell'impresa pregiudicata resterebbe la buona economia, come faria la mancanza dell'acqua in alcune stagioni ai Molini a grano, quando non vi fossero vive sorgenti, il devastamento delle Campagne per le inondazioni, che potrebbero venire nelle gran piogge o dal Canale che si farebbe, o dal fiume, ove questo anderia ad imboccare: Solamente si avverta, che quantunque l'origine del Lago Trasimeno sia a noi ignota, sappiamo per altro che nell'anno 1420 per impedire la sua escrescenza, o per tenerlo racchiuso nel suo seno, acciocché non allagase i terreni, ed i Castelli posti alle sue rive, per opera del famoso Braccio fu costruito l'Emissario, che presentemente esiste, per dar l'esito alle soprabbondanti acque. Ma non avendo allora data maggior latitutdine, e profondità al detto Emissario per diseccare il Lago, come ora si vorrebbe, che agevol cosa le saria stata con aggiungere non molto alla grande spesa della bell'opera; evidentissimo contrassegno si è, che sin d'allora conobbero il profitto grande proveniente dalla esistsenza del medesimo, e che tanto ottimo era il pensiere di tenerlo ne' suoi confini ristretto, quanto biasimevole si è il desiderio di procurarne il totale diseccamento.

Se il desiderio di una società di Caratanti fosse d'intraprendere il prosciugamento di una palude, dalla quale ocularmente già se se scorge l'ottimo terreno, che si guadagnerebbe; per quanto la spesa fosse grande, difficile l'impresa, incerto l'esito: con ciò non potria che applaudirsi, al solo riflesso, che nulla di profitto si perderebbe; ma anzi si toglierebbe un gran male, qual è quello di un'aria pestifera, e micidiale, pregna sempre di putride esalazioni; l'acquisto si farebbe di un bene, che risulterebbe da un'aria corretta, e salubre; ed il vantaggio, si avrebbe dei nuovi prodotti del terreno diseccato, e ridotto a coltivazione. Non così però lodevol cosa può chiamarsi l'impresa di prosciugare un Lago, come è il Lago Trasimeno, sì celebre, sì bello per le Isole, Penisole, e Castelli popolatissimi, che lo circondano; un Lago dal quale tanto profitto ne ritrae il Principato, e tanto sostentamento i sudditi; un Lago, per la cui perdita tanto è certo il danno, che ne verrebbe, quanto incerto è l'utile, che derivar ne potesse; un Lago finalmente (mi sia lecito il dirlo) per le surriferite cose tanto invidiato, che la R.C.A. avendolo ai confini del suo Stato, se suo non fosse, potendo, tanto male farebbe a non farne l'acquisto quanto nel possederlo a volerlo distruggere.

Benedetto Bernardi

Pubblico Professore di Medicina, e di Notomia nella Università di Perugia.

Pubblicato dai torchi di Carlo Baduel con le dovute licenze in Perugia 1790.



Il testo riprodotto qui sopra fu pubblicato, in unico volume, con il saggio di Annibale Mariotti Riflessioni sul diseccamento del lago Trasimeno oggi detto lago di Perugia.

Immagine in alto: Cerchia di Clarkson Stanfield, R.A. (1793-1867) Bovini si dissetano, con lago sullo sfondo, cm. 17,2 x 26,7, matita e acquerello con tocchi di colore.


Il barchino di Massaciuccoli nei quadri di Angiolo Tommasi

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Angiolo Tommasi è pittore toscano formatosi nell'ambiente dei macchiaioli, celebre a cavallo tra '800 e '900. Nelle sue opere tarde è un tema ricorrente il paesaggio lacustre. Nelle immagini che seguono alcuni dipinti che hanno come soggetto il lago di Massaciuccoli e il barchino.


- A sinistra Angiolo Tommasi, Tre donne in barca a Massaciuccoli, Olio su tavola, cm. 32,2x26,5, Casa Modigliani Pepi, Cespina.
- Sopra a destra Angiolo Tommasi, Ragazza a Torre del Lago, Olio su tela applicata su tavola, cm. 37x21, firmato in basso a destra. Passato in asta da Farsetti a Prato il 21 aprile 2012.


- Nell'immagine qui sopra Angiolo Tommasi, Sulla riva del lago di Massaciuccoli, olio su compensato, cm 26.3 x 48, firmato in basso a destra Angiolo Tommasi, eseguito tra il 1915-1920. Battuto in asta da Sotheby's a Milano il 9 giugno 2009.


- Sopra l'opera di Angiolo Tommasi, Contadina sul Lago di Massaciuccoli, Olio su tela, cm. 65x89, firmato in basso a sinistra. Bibliografia: Ottocento/Catalogo dell'Arte Italiana dell'Ottocento, n. 35, Milano, 2006, tav. a colori tra pp. 480-481. Passato in asta da Pananti a Firenze il 13 ottobre 2012.


- Angiolo Tommasi, Donna in barca sul lago di Massaciuccoli, olio su tavola, cm 26,5x38,5, firmato in basso a sinistra. Passato in asta a Firenze da Pandolfini il Firenze, 18 marzo 2008.


- Angiolo Tommasi, Torre del Lago, olio su tela, cm 45x80. Il dipinto fu commissionato a Tommasi dal senatore Salvatore Orlando, quando acquistò la villa di Torre del Lago, tra la fine dell''800 e gli inizi del '900. Passato in asta da Pandolfini a Firenze il 14 giugno 2010.

Angiolo Tommasi (Livorno 1858 - Torre del Lago 1923) studia all'Accademia di Belle Arti a Firenze, città dove ha modo di frequentare Giosuè Carducci, Giovanni Fattori e Silvestro Lega.
Nel 1889 è premiato a Parigi all'Esposizione Universale per la tela "Le bagnanti". Nel 1899 prende parte alla Biennale di Venezia con l’opera "Il riposo delle gabbrigiane". Sempre nel 1899 parte per l’America Latina, visitando la Patagonia e la Terra del Fuoco, realizzando opere commissionate dal governo argentino.
Torna in Italia e si stabilisce a Torre del Lago dove frequenta l'ambiente del musicista Giacomo Puccini.

Alla festa dell'Arbit, tutti pescatori!

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Ieri alla festa dell'Arbit si son sentiti tutti pescatori. Eccone alcuni.





Non proprio tutti...



Dall'asilo sul pontile delle barche

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di Roberto

«Martedì con le maestre siamo andati a vedere le barche ma ci hanno seguito anche altri perché eravamo due classi. Siamo andati con il pulmino al museo delle barche, siamo stati tutti in fila».



«Guido ci ha fatto vedere i granchi killer lottatori, in una vasca lottano con le chele, hanno una coda e anche due chele e c'hanno pure due antenne: quelli piccoli hanno le antenne piccole, quelli grandi hanno le antenne gigantesche».

«Poi ci ha fatto vedere un'anguilla che è un pesce lunghissimo viola e può essere anche marrone chiaro, è tipo un serpente che magia dei pesci lunghi circa 5 metri oppure 7 od 8 o 9 ma non lo so, c'era una vasca celeste con l'anguilla, anche la vasca dei granchi killer era sempre celeste».

«Poi c'era una vasca con i pesci piccini, sono molto piccoli circa 5 metri che sono in una vasca rossa ma anche un po' nella vasca celeste dell'anguilla e anche in quella celeste dei granchi killer, quella là».

«Poi abbiamo visto anche una capanna fatta di canne ma era piccina non ci si poteva entrare dentro, era fatta anche un po' con le foglie e dei fili che dentro ci potevi mettere anche delle bambole, che loro ci entravano, che si apriva la porta e c'erano delle canne messe così».



«Poi ci ha fatto vedere una scopetta fatta con le cime delle canne e tante canne messe così a tondo».

«Poi ci ha fatto vedere un piccolo quadratino con le canne e dei fili colorati tipo le tende e poi uno grande per fare un tappeto con i fili per legarli e pure dei pezzi di canne in tutti e due come una tenda piccola o come una tenda o un tappeto grande, per fortuna me lo sono ricordato».

«Ci ha fatto vedere una cosa molto importate che c'è una rete a tondi che c'hanno tanti nodi e dei cerchietti, che erano uno grande, uno medio, uno piccolo e uno troppo piccolo che dopo il pesce ci passava dentro, arriva fino a quello piccolo e non poteva uscire e il pescatore lo tirava su, lo apriva dall'altra parte e prendeva il pesce e poi lo legava».



«Poi ci ha fatto veder una rete troppo grande rossa che era troppo gigante che il pesce ci passava dentro e poi lo legava».

«Poi abbiamo visto il germano reale che era dentro l'acqua che stava uscendo dalla caverna e c'era pure un altro germano che era marrone e aveva tante macchie nere, poi abbiamo visto pure una folaga e siamo saliti sul pontile. Sono tipo delle anatre che nuotano e c'hanno le zampe sotto l'acqua che stavano nuotando ma possono volare».

«Siamo saliti sul pontile di legno, quello che traballava e poi ci sono legate delle barche ma però non ci hanno fatto salire sulle barche, poi Guido ci ha fatto vedere come si metteva un palo dentro l'acqua che si metteva sotto l'acqua poi si faceva un buco e non cadeva, il palo era più alto anche di Guido, era gigante ma quando era immerso era più piccolo, però un pezzetto si vedeva era all'altezza del pontile e quello sotto non si vedeva più».



«Poi un signore con un cane, un cane bianco e nero, ha messo un bastoncino sull'albero e il cane ha corso, ha saltato, ha fatto un salto troppo grande e ha preso il bastoncino dall'albero e dopo è sceso, è caduto ma non si è fatto male. Dopo in un albero più piccolo ha preso il ramo e stava in piedi e dopo era giù che camminava e il signore ha detto: guardate cosa sa fare Ken, che è andato e ha abbassato la bandiera con le zampe, poi il signore ha detto a Ken "sali sul tavolo", il cane è salito e dopo è sceso giù, poi è salito di nuovo e dopo ci è risalito, poi gli ha detto "a cuccia", poi gli ha detto "abbaia" e ha fatto come i lupi. Troppo bello il cane Ken».

«Poi siamo ritornati all'asilo con l'autobus giallo quello ancora più grande, prima siamo andati con quello bianco a strisce rosse e bianche, poi al ritorno con quello gigante di colore giallo».

Brani dell'intervista a Roberto
(5 anni).





Nel 1882 su un progetto di prosciugamento del Lago Trasimeno

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Conte Conestabile, Ingegnere civile,1Project de dessèchement du lac Trasimène.

Pubblicato a Parigi dal "Journal d'Agriculture Pratique. Moniteur des comices, des propriétaires et des fermiers". Anno 46, 1882, pp. 506-508.



Si fa un gran parlare ultimamente di un progetto di prosciugamento del lago Trasimeno e si sollecita al governo italiano una concessione per realizzare questa opera. Tuttavia, poiché questo lavoro dovrebbe essere fatto in gran parte con capitali francesi, perché è una società francese che ha fatto pressioni sul governo per ottenere il decreto di concessione, non può essere privo di interesse per i lettori del Journal d'Agriculture pratique avere qualche informazione in proposito. Questo lago, famoso nella storia per la battaglia che nelle sue vicinanze Annibale combatté con i Romani, è il bacino d'acqua più grande dell’Italia centrale; la sua superficie è di 12.000 ettari, la sua profondità massima non raggiunge gli otto metri, il suo livello oscilla tra i 25 e i 30 metri al di sopra della pianura in cui scorre il suo emissario. Le sue sponde sono paludose in più punti: il livello dell'acqua è ben lungi dall'essere costante e i terreni che lo circondano sono soggetti a frequenti inondazioni, ancora più funeste perché il drenaggio è ostacolato dalla depressione di questi terreni. Febbri malariche sono frequenti e proprio per ovviare a questo grave problema che si è pensato al prosciugamento del lago. Ma per fortuna vi è un modo per conciliare la sopravvivenza di questo prezioso bacino d'acqua con le esigenze di igiene pubblica: diciamo di più, il prosciugamento sarebbe, almeno per un tempo non breve, dannoso per la salute delle popolazioni circostanti: diverse autorità mediche hanno esaminato la questione e non hanno esitato a dire che i miasmi paludosi aumenterebbero in proporzioni allarmanti durante il prosciugamento e per diversi anni a venire.

L'insalubrità che si manifesta nella regione è dovuta alle zone paludose che si trovano lungo le rive del lago. Queste paludi, una volta essiccate, da un lato con operazioni di colmatura ben dirette e del resto facili da eseguire utilizzando i numerosi corsi d'acqua che scendono dalle colline circostanti, dall'altro con un abbassamento parziale del livello delle acque del lago, abbassamento che scoprirebbe l'unica parte del bacino potenzialmente fertile, rendendo queste località perfettamente salubri. Quindi la questione d'igiene non si porrebbe più; ora alcune brevi considerazioni sufficienti a dimostrare che, dal punto di vista agricolo e dal punto di vista dell’interesse generale, il prosciugamento sarebbe un grave errore.

In una regione come l'Umbria, priva di fertilizzanti, di manodopera e di capitale, dove ci si è allontanati dal periodo delle colture estensive, senza i mezzi per impegnarsi in redditizie coltivazioni intensive, non può esser vantaggioso rendere coltivabili altri 12.000 ettari di terreno che richiederebbero una grande quantità di sostanze nutritive. Non si deve supporre, infatti, che i terreni liberati dal prosciugamento del lago siano molto fertili, una commissione che comprendeva il famoso agronomo M. Cuppari ha affermato, dopo aver esaminato la composizione del terreno nella zona occupata dal Lago Trasimeno, che era per su natura molto sterile e non poteva essere vantaggiosamente utilizzato con alte dosi di fertilizzanti. Ci troveremmo con un nuovi ed estesi terreni abbandonati alle forze della natura da aggiungere a quelli già esistenti nelle campagne della regione, anche supponendo di trovare braccia da lavoro, questo lavoro non sarebbe redditizio perché in contrasto con i principi della coltura migliorativa, l’elemento lavoro precede l'elemento fertilizzante.

Questa è la situazione poco attraente che produrrebbe alla regione il prosciugamento del Trasimeno. Vediamo invece i vantaggi che attualmente offre e quelli molto più grandi che potrebbe garantire una buona gestione delle sue acque. Il suo livello, superiore alla valle circostante, fa di questo lago un bacino assai utile per l'irrigazione, infatti, c'è già da tempo chi irriga le colture che ne hanno più bisogno, soprattutto il mais: ma i metodi di irrigazione sono imperfetti e non consentono di irrigare che una superfice di terreno molto limitata in rapporto alla quantità d'acqua (2 m. c. ) di cui si può disporre, perché non vi è nessun canale d’irrigazione che, provenendo dal lago, serva la parte più alta delle valli. Ci si serve del canale che fa defluire le acque sovrabbondanti del lago, che infatti è inserito nel thalweg2. Con delle manovre più o meno ingegnose, si alza il livello dell'acqua, e si inondano le campagne: è chiaro che siamo lontani da una vera irrigazione. Invece, con un canale ben tracciato, saremmo in grado di fornire acqua a più di tremila ettari di terreno, che può essere convertito in pascoli permanenti o temporanei, e quindi fornire abbondante foraggio che il clima secco non permette di ottenere. Possiamo facilmente immaginare l'immensa ricchezza che questo canale darebbe al territorio e come sarebbe più redditizio per un'impresa industriale impiegare i propri capitali in una opera come questa, invece che strappare terreno sterile che potrebbe essere utilizzato solo con enormi investimenti che, data la condizione economica del contesto in cui l'impresa ha luogo, non sarebbero remunerativi. A tutto ciò va aggiunto che il prosciugamento del lago avrebbe una nefasta influenza sul clima della regione: attualmente questa massa d'acqua contribuisce a rendere il clima temperato, la dolce umidità che proviene dall'evaporazione delle acque è particolarmente favorevole alla coltivazione dell'olivo e del gelso che sono la ricchezza principale delle aziende agricole in queste zone: soprattutto l'olivo si distingue per la vegetazione lussureggiante e la notevole quantità dei suoi frutti.

Non può essere invocato a sostegno del prosciugamento del Lago Trasimeno l'esempio del Fucino, in Abruzzo, perché questa impresa ha avuto luogo in condizioni molto diverse. Il lago del Fucino occupava una superficie di 16.000 ettari di terreno molto fertili e particolarmente adatti alla coltivazione dei foraggi: inoltre, in Abruzzo, la numerosa popolazione non poteva campare sulla scarsa quantità di terreno arabile a disposizione in quella regione e infatti non sono mancate braccia da lavoro per coltivare con profitto i nuovi appezzamenti di terreno che si sono resi disponibili. Nonostante tutto questo, l'impresa di cui stiamo parlando non si è rivelata molto vantaggiosa da un punto di vista economico e i capitali investiti sono stati remunerati con un basso interesse. Cosa significa tutto ciò per il Lago Trasimeno ?

Per riassumere: il Consiglio dei Lavori Pubblici deve scegliere tra due progetti, uno che mira al prosciugamento completo del lago, l'altro che vuole combinare una parziale riduzione delle acque attraverso le colmate per eliminare le paludi che vi sono lungo le coste; ci sembra che le considerazioni di cui sopra siano abbastanza forti, così che ogni idea di prosciugamento sia respinta senza esitazione, non soltanto dal governo per l’interesse generale, ma anche da qualsiasi seria società che voglia mettere i propri capitali in una impresa in grado di fornire dei reali benefici.

Conte Conestabile.
Ingegnere civile.

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(1) Probabilmente si tratta di Francesco Conestabile della Staffa (Perugia, 19 maggio 1850 - 20 gennaio 1924) tra i fondatori del Partito Popolare e autore del trattato “La cultura miglioratrice” 1884.

(2) Si definisce Thalweg la linea massima di profondità dell'alveo di un fiume, il luogo dei punti di quota minima nelle sezioni fluviali.

Storie di un lago, #intimaumbria


Bonaparte e l'invenzione della Lasca del Trasimeno o Leuciscus Trasimenicus

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Carlo Luciano Bonaparte,1Iconografia della Fauna Italica per quattro classi degli animali vertebrati, Tomo III, Pesci, voce Leuciscus Trasimenicus, Roma, 1832-1841.



Leuciscus trasimenicus quest'altra nuova specie2 appelliamo, non tanto perché si trovi in quell'unico lago, o perché quel lago non alimenti altro Leucisco che questo, ma sì vero perché ivi abonda3 sì fattamente che la sua fruttuosissima pesca è un provento non lieve del nostro fisco, e soggetto di particolare statuto.

Di colà sotto il nome esclusivo di Lasca carreggiasi perfin sulle rive dell'Adriatico e del Tirreno a facilissimo mercato.

Si desidera per bontà di carne spezialmente in frittura quando la femmina è piena delle uova, ed il maschio s'intende di fecondarle, nel qual tempo però n'è saggiamente proibita la pescagione.

Il magistrato municipal di Perugia aveva una volta provveduto che in ogni sabato potessero i poveri cibarsi di Lasca per vilissimo prezzo, e nella vigilia del divin Natale n'avessero la dispensa gratuita; ma questi usi furono cancellati da instituzioni straniere.

La pesca se ne fa in diverse fogge, ma più solenne si è quella cui dicono della Nave, che cade appunto ne' primi mesi d'inverno accompagnata da feste e da tripudio.

Son già piantate in parecchie direzioni dalla riva fin sull'alto del lago alcune coppie di rastelli di pali distanti tra loro circa due braccia, nel quale intervallo i pescatori gittano minute legna e sarmenti da formar nascondigli.

Poscia tendono al di fuori due reti lunghe quanto i rastelli suddetti, fermandone un lato ad altri pali discosti circa tre braccia, e sommergendo l'altro sino in fondo dell' acqua, in sì fatta guisa che l'una e l'altra rete così curvate formano quasi il ventre di una nave, cui tien luogo di carena la palafitta di mezzo.

Non prima il freddo punge quelle acque, che le Lasche van sollecite a rimpiattarsi tralle fascine: e quindi i pescatori montati sugli schifi s'introducono ne' rastelli di mezzo vuotandone la stipa; dal che turbate e spaventate le Lasche fuggono per gl'interstizj de' pali dentro le reti, dalle cui maglie non possono uscire; e quelli quando si accorgono di averle tutte cacciate, alzano bel bello fuor d'acqua i fianchi sommersi di esse reti. Formatosi così nel mezzo loro un gran sacco, in cui si raduna la preda, lo tirano a riva con più migliaja di libre in ciascuna tratta.

Il profilo del dorso è poco convesso fin quasi a mezzo tronco, e poscia rettilineo fino al termine: quello del ventre è similmente convesso fino al penultimo raggio dell'anale, quindi si avvalla continuando quasi retto fino alla base della caudale.

La parte assottigliata del tronco supera un poco in altezza la più elevata del medesimo, ed è quasi doppia in lunghezza, sorpassando di una metà lo spazio occupato dalla pinna anale, e costituendo la settima parte dell'animale. La maggior altezza che si trova sopra le ventrali vien compresa quattro volte e tre quarti nella lunghezza totale, e la grossezza avanza di poco la metà dell'altezza. Il capo, un pochin più lungo di quanto è alto il pesce, ha forma presso che triangolare, e tanto la linea superiore quanto la inferiore s'uniscono senza risalto ai rispettivi profili del dorso e del ventre: la prima discende quasi piana, l'altra s'incurva alcun poco, alzandosi verso la punta del muso acutamente rotondato, che trovasi sulla media orizzontale del pesce.



La bocca è piccolissima; gli angoli del suo squarcio molto obliquo e volto decisamente all'insù, oltrepassano appena la metà della distanza tra la punta del muso e l'occhio: la mascella inferiore mostrasi alquanto più lunga della superiore.

Il diametro dell'occhio vien contenuto sole tre volte e tre quarti nella lunghezza del capo; men di un diametro si trova tra la punta del muso e il margine anteriore dell'orbita, e poco più di uno tra un occhio e l'altro.

L'opercolo è marginato triangolarmente con l'angolo molto rotondato; similmente lo è il preopercolo, ma con l'angolo più in basso e meno smussato.

La linea laterale segue per buon tratto un andamento convesso, quindi è quasi retta fino al termine del tronco, e là dove interseca la maggior altezza, dista un terzo dal profilo del ventre.

Le scaglie sono sottilissime, presso che semicircolari, leggermente convesse nell'estremità che aderisce alla cute, più cospicuamente raggiate che negli affini, e col punto onde partono i raggi retroposto quasi presso alla circonferenza: tredici sono le serie in cui vengono disposte le dette scaglie, sette delle quali al di sopra di quella per cui passa la linea laterale che ne conta quarantadue.
Alla metà del pesce, esclusa la caudale, nasce la pinna dorsale, il cui secondo raggio misura quasi tre quarti della lunghezza del capo; l'ultimo giunge solo alla metà del primo: estendesi la di lei base per due terzi dell'altezza del più lungo raggio.

Le pettorali s'intestano sotto l'opercolo anteriormente alla di lui estremità, e giungono a tal distanza dalle ventrali quanta è quasi la metà della lunghezza loro: esse ventrali escon sotto la dorsale un terzo più lungi dall'inserzione delle pettorali che da quella dell'anale, e sono un sesto circa più brevi di queste.

La distanza dell'anale dalle ventrali è appena un quarto della lunghezza loro: il primo suo raggio, lungo il doppio dell'ultimo e un poco più della base, misura due terzi del primo raggio della dorsale.
La caudale stende pochissimo più del capo.

Superiormente è un verdognolo chiaro alquanto più vivace sul capo, e degradante assai rapidamente in argenteo che rifulge meglio sul ventre.

Le pinne del dorso e della coda sono quasi del colore del tronco; le pettorali, le ventrali e l'anale sono ordinariamente decolori, ma inoltrando la primavera tingonsi a gradi a gradi di un delicato vermiglio, non mai però così intenso come il cinabro del Leuciscus rubella.

Filtrando talvolta questo bel colore nelle parti circonvicine le tinge più o meno di se; più raramente invade l'intero pesce, d'onde le meravigliose Lasche rosse che di tempo in tempo rallegran le reti.
Lo scheletro componesi di 37 vertebre e 18 paja di costole.

L'esemplare descritto misurava quattro pollici e tre linee, che raramente oltrepassa, pesando generalmente un terzo di oncia, quantunque registrinsi individui portentosi di quattr’oncie e più.

Depone le uova a mezza primavera tra i raduni di piante secche, nelle quali nascondesi d'inverno.
I Perugini, i quali, toscanamente come in tante altre cose, dicono Lasca del Tevere il nostro L. squalus, il cui giovane è qui figurato per conoscerne le differenze, chiaman questo lor pesce Lasca del lago, Laschetta.

SQUALIUS virescenti-argenteus, longitudine altitudinem quintuplo paullum superante: capite acutiusculo, corporis altitudine sublongiori: ore subsupero: spatio interoculari oculo vix majori: pinnis inferioribus decoloribus, nuptiarum tempore rubescentibus: dorsali ventralibus opposita, humili, subtruncata.

D. 10. P. 16. V. 9. A.10. C. 20. Lin. lat. sq. 4o. ser. 14. 8/5

Gardonus lacus Perusini, Bellon, Aquat. lib.4 p. 317. Id. Nat. At Pourtr. Poiss. Lib. i. p. 317. Lasca, Gambini, Lago Trasim. Pag. 77.

Carlo Luciano Bonaparte Principe di Canino e Musignano, socio delle principali Accademie scientifiche di Europa e di America



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(1) Per la biografia di Carlo Luciano Bonaparte (Charles Lucien Jules Laurent Bonaparte) si rimanda alla voce curata da Fiorella Bartoccini nel Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 11 (1969).

(2) In realtà la lasca del Trasimeno - Leuciscus trasimenicus di cui cui scrive Bonaparte è considerata dagli ittiologi una forma locale della rovella (Rutilus rubilio).

(3) La lasca è scomparsa dal lago Trasimeno nel secolo scorso, le cause, non del tutto chiare, sono riconducibili all’immissione di specie alloctone e ai cambiamenti di tipo ambientale.

No al prosciugamento del lago! No alle colture intensive di kiwi, tabacco e fagioli rampicanti argentini!

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Il 1° aprile 1990 a Castiglione del Lago comparvero due tavolini per la raccolta firme: il primo di fronte alla Dinette e il secondo al Lido Comunale. C'erano cartelli, manifesti, volantini e una petizione per scongiurare la trasformazione del Trasimeno in una piantagione di tabacco, kiwi e fagioli rampicanti argentini.



Il testo dell'appello

Cittadini, benpensanti, santi del cielo e semplici  turisti. Tutti! Aiutateci! Entro il prossimo anno le autorità legittime vogliono prosciugare o quantomeno ridurre ad una pozza di poche centinaia di metri quadri d'acqua il lago Trasimeno. Al suo posto sorgeranno (dicono le autorità) piantagioni di kiwi, tabacco, fagiolo rampicante argentino. Ciò nell'ordine del nuovo programma di reinserimento agricolo sviluppo nuove colture appoggiato dal governo in maniera sfacciata.

È uno scandalo, una vergogna, la scusa infame è che il lago sta morendo, causa la scarsità di piogge, il quasi inesistente rifornimento dei canali artificiali e un'alga microscopica batteriologicamente impura ad espansione muco-cellulare che uccide la vegetazione lacustre e i microrganismi presenti nell'acqua.

È falso, le sue acque poco profonde sono estremamente pescose e bagnano rive che si sviluppano per 45 km dove agricoltura e artigianato si integrano con lo sviluppo turistici, 45 km a disegnare la forma approssimativa di un cuore, il nostro cuore che cesserà di esistere come molti esponenti della avifauna acquatica lacustre così come i 200 pescatori che vivono traendo dal Trasimeno poco meno di 1/3 del pescato in acque dolci su tutto il territorio nazionale.

Questo lago battezzato dallo scontro del 217 a.c. tra romani e cartaginesi, questo lago con i suoi castelli e borghi fortificati sulle colline coperte di viti e olivi non esisterà più.

Nascerà un museo dove verranno conservati gli antichi attrezzi da pesca, le famose barche dei pescatori, addirittura un battello il "Perugia" e tante foto che ce lo ricorderanno con infinita malinconia.

Un vecchio pescatore ha detto: "ricordo molto tempo fa la malaria che imperversava sulle sue sponde l'uomo ha vinto, oggi un'altra battaglia in suo nome dovrà essere combattuta affinché ciò che è stato e ciò che noi vediamo in tutto il suo splendore oggi non cessi mai i esistere".
Aiutaci anche tu firmando questa petizione con un tuo pensiero!


Comitato per la difesa dell'ambiente, Lega ambientalisti C. Lago. 


Per informazioni 075 95§§§§.




Il testo del volantino 

FF FISH FUND - SALVIAMO IL LAGO TRASIMENO

No al prosciugamento sistematico ed indiscriminato del lago. No alle colture intensive di kiwi, tabacco e fagioli rampicanti argentini che andrebbero a sostituire questo paesaggio incantevole. 


Contribuisci anche tu firmando questa petizione nei punti di  raccolta lungo il lago. 


Il comitato promotore




Nella foto che segue alcuni compenenti del comitato promotore della petizione-beffa.

Prima fila: non identificato; Maurizio De Ponti; Maurizio Lissi; Paolo Vetralla.
Seconda fila: Andrea Pagnotta (voltato); Marco Chionne; non identificato; Giorgio Brusconi.
Terza fila: Gianni Sacchi; Valerio Baldi; non identificato.
Quarta fila: Giancarlo Valentini; Stefano Brugi; Paolo Pepi.



Un clamoroso pesce d’aprile del... «Fish Found»

«Il lago diventerà un campo di fagioli» E la gente firma per evitare lo scempio

L'ottima riuscita dello scherzo testimonia non solo la sensibilità ecologica della gente, ma anche la sfiducia verso la classe politica

G. R. per "La Nazione", 2 aprile 1990

Castiglione del Lago. Ci son cascati quasi in trecento. In nome dell'esigenza di salvare il lago dalla «stolidità della classe politica».

Al «pesce d'Aprile», organizzato da un gruppo di amici castiglionesi, hanno «abboccato», con generosa sollecitudine, molte persone che evidentemente si ritengono pronte ad impegnarsi per le sorti del Trasimeno. Magari semplicemente con un'adesione autografa.

E proprio la loro adesione sentimentale alla bellezza naturale lacustre le ha indotte a partecipare ad una «campagna di salvataggio» che, in effetti, non aveva alcun motivo di essere attivata. Le cose sono andate così: approfittando del fatto che il 1° Aprile coincideva quest'anno con il lunedì dell'Angelo, cioè con un giorno di massicce escursioni, alcuni buontemponi hanno pensato di allestire sulle sponde del lago, a Castiglione, un tavolino per la raccolta di firme «contro il prosciugamento del Trasimeno che i politici vogliono trasformare in immensa piantagione di fagioli e kiwi».

Un appello molto vibrante e capace - è facile intuirlo - di raggiungere la comune sensibilità. Il riscontro è stato rapido ed efficace. Ed ha avuto il senso di una vera e propria testimonianza di reazioni e stati d'animo. Sono passati in tanti, naturalmente, dinanzi a quell'accorato messaggio sottoscritto per primo, si noti, nientemeno che dal «Fish found», ...fondo per la difesa del pesce.

Molti hanno colto al volo le angosce del «Fish found» e si sono subito schierati dalla parte dei pesci. Una firma dopo l'altra si è quasi arrivati, prima del tramonto, a quota trecento. Un consenso vasto e significativo. Un moto spontaneo di tutela del lago che rivela una apprezzabile sensibilità ecologica.

Comunque in quest'adesione contro l'attentato al Trasimeno c'è anche l'immagine, assai eloquente, della so-stanziale sfiducia che la gente nutre verso i politici. I visitatori pasquali di Castiglion del Lago, in effetti, non hanno esitato un istante ad accettare la versione del «Fish found»: hanno creduto al cento per cento che ci fossero politici pronti a prosciugare una delle più belle distese d'acqua d'Italia per far posto alla coltivazione di fagioli e kiwi.

E questo fatto la dice lunga, ancora una volta, sul rapporto psicologico tra il Paese reale e quello legale. Il primo è pronto a credere che il secondo possa commettere, in nome di qualche interesse, le più solenni sciochezze. E naturalmente è anche sollecito nel firmargli... contro. (G.R.)



[Grazie a Maurizio De Ponti e Andrea Pagnotta per aver conservato ricordi e materiali]

1864. Parere medico sul prosciugamento del Lago Trasimeno

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Prof. Alessandro Bruschi

La medica scienza richiesta di un suo giudizio intorno al prosciugamento di una palude, lo emetterà sempre senza esitanza il più favorevole, mentre si farebbe essa stessa istigatrice di quello e ne invocherebbe lo intiero compimento quando pur altri nemmeno il pensasse. Ed a tanto si troverebbe sospinta per la ferma convinzione che in ogni medico fu impressa da lunga ed incontrastabile esperienza, di essere le acque stagnanti e quiete che poco ed anche in parte temporariamente ricoprono il sottostante terreno, quelle che in modo assoluto e positivo danno origine a particolari miasmi ed infezioni. Ciò non già per loro stesse, ma sibbene per gl'innumerevoli vegetali ed animali che in quelle vegetano e vivono, e che non trovando poscia continuatamente in esse il più necessario elemento di loro esistenza illanguidiscono e muoiono, lasciando abbondevoli i propri avanzi, la cui macerazione e putrescenza succedentisi principalmente sul terreno dalle acque inondato nel durare dell'umida stagione e da queste nella state lasciato allo scoperto, imprimono alla località il vero carattere delle paludi o maremme, le quali tornano per ciò assolutamente ed altamente dannose alla salute non solo dello uman genere che a con-tatto loro si trova, ma pure in qualche guisa degli uomini che non tanto grandemente da loro si discostano.



Se la medica scienza venisse poi invitata ad emanare un proprio parere riguardo al prosciugamento di un lago, non potrebbe esternarlo in modo generale ed assoluto, trovandosi nella necessità di subordinarlo alle condizioni fisico-naturali del lago stesso. Un lago, la cui profondità è in ogni dove pochissima, le cui acque si mantengono tranquille ed immote, la cui ristretta estensione è ingombrata nella più parte di natante o galleggiante vegetazione, ha tale somiglianza con una palude e siffattamente avvicinasi alla natura di questa, che il medico coscenzioso vorrà se ne cerchi e procuri il disseccamento con tutte quelle cautele e riguardi che valgono a non introdurre quella malsania la quale per avventura ancor da esso non derivasse, od a non aumentare quella la quale per disgrazia venisse già da esso occasionata. Un lago del quale la estensione e la profondità sono bene considerevoli, le acque si mantengono in continuato ed intenso movimento, i margini per breve tratto soltanto si trovano occupati da quelle piante che innalzandosi rigogliose al disopra delle acque stesse piuttostoché farsi cagione di una cattiva atmosfera la disinfettano e migliorano, non potrà essere per consenso medico distrutto, poiché da quello ne può e ne potrà sempre ottenere vantaggio tanto direttamente che indirettamente la pubblica salubrità.

Vi hanno però dei laghi la cui natura non è al tutto conforme a quella dell' uno e dell' altro qui or ricordati e che potrebbero dirsi di carattere misto, perché in qualche tratto le acque che quelli informano si mostrano poche e stagnanti, nonché da algose e natanti piante ingombrate, mentre in altre parti si conservano in quella maniera che al vero e fruttuoso lago sono dicevoli. In tal caso a pronunziare su di essi fa mestieri tenere a calcolo la dimensione che prendono i punti palustri per porli a paragone con quelli che tali non sono, ed allorquando i primi sieno molti ed ampli da uguagliare e sorpassare forsanche i secondi, tornerà più probabilmente migliore un generale prosciugamento. Ma nel caso che le acque impaludate sieno meschina cosa in confronto di quelle agitate e profonde dovrannosi solo far scomparire le prime e conservare le seconde, e di quest'ultima maniera ne sembra si presenti appunto il lago Trasimeno, intorno alle qualità e prosciugamento del quale siamo oggi chiamati a manifestare la nostra medica opinione.

Il Trasimeno guardato di un sol colpo d'occhio, abbenché impossibile si renda di scorgerlo da alcun luogo per intero, si presenta pur sempre anziché vasto vastissimo, ed in ogni incontro lo si trova incantevole ed attraente e mai di quel tetro colore dipinto o da quei foschi vapori velato, che dalle acque stagnanti e malsane sono inseparabili e che fan ritorcere il piede e lo sguardo di chi vi s'imbatte, dando indubbia prova dei deleteri principii che in un con essi si confondono ed emanano, ammorbando e distruggendo. A convalidare il giudizio della innocuità generalmente posseduta dalle acque del Trasimeno, che spontaneo e naturale scaturisce dalla mente di ognuno dietro le semplici ed appariscenti impressioni, vi concorre pur anche il più accurato esame portato sulle medesime. Per esso le troviamo dotate di una considerevole profondità e di una chiarezza e limpidità cristallina, le riconosciamo prive di principii mineralizzanti o salmastri e circoscritte da un lido che in massima parte è di natura sassosa od arenosa, e le osserviamo in ogni giorno traslocate e sconvolte con quell'agitazione e movimento non rare fiate a burrasca marina somiglievole, che vi apportano i venti liberamente da ogni parte trascorrenti al di sopra di loro superficie. Niuno potrà opporre, e ne siam noi sicuri, alla verità degli or rammentati favorevoli pregi delle acque del Trasimeno, fra cui è certo sovrano quello dello assai poco interrotto ed ancor violento lor moto, che validamente concorre a mantenere sane le acque stesse non solo, ma che pure efficacemente provvede a rendere prive le sue sponde di quei principii che alla malaria dare potrebbero motivo, mentre anzi che possano rendersi liberi nella circostante atmosfera vengono di nuovo dall'onda che sovra essi incalza rimescolati all'acqua, che il loro potere impedisce e distrugge.

Queste generali buone prerogative del Trasimeno, che già altre volte furono da più valenti scrittori narrate e sostenute, si vorrebbero però al presente niegare del tutto, e si studia far credere a coloro, i quali per la sua storica fama ne conoscono solo la esistenza, che in quello si trova la più spaventevole sorgente di numerose infermità cui tengono dietro inevitabili decessi, onde far stimare opera altamente umanitaria il suo rapido annientamento. E qui sta la esagerazione, lo errore ed il mal sperato vantaggio.

Col percorrere accuratamente la vasta periferia del lago in discorso è cosa vera ed incontrastabile che vi si riscontrano tre punti in cui ha perso il suo assoluto buon carattere, e che tre impaludamenti si manifestano. Il primo si trova nel seno sottostante a Montebuono, in cui trovasi compreso il poco acconcio emissario che il Trasimeno attualmente possiede, il secondo in quello di Borghetto, ed il terzo nell' altro limitrofo alla base del promontorio, sul quale posa la pregievole e gentile terra di Castiglione. In loro la estensione e la perniciosità mantengonsi con inversa ragione, giacché quello di Montebuono che è il più vasto è però il meno esiziale, quello di Castiglione che è sopra ad ogni altro ristretto è iI maggiormente dannoso, e quello di Borghetto sta nella media in riguardo all'uno ed all'altro rapporto.

Ma le tre ora citate località che innegabilmente possono farsi e si fanno, specialmente nella calda stagione, emanatrici di qualche effluvio ammorbatore, e che servono a porre il Trasimeno nella terza categoria della da noi sopra esposta generale classificazione dei laghi, sono ben poca cosa in paragone alle buone qualità del tutto, in cui talmente si perdono e confondono, che è dato solo scoprirle semplicemente quando ad esse si trovi uno da presso. Ed è ben facile il persuadersi che non tanto quanto si asserisce, risulta l'atmosfera viziata dal lago Trasimeno, qualora si ponga attenzione, nel modo che già altre volte ed or recentissimamente con più accuratezza e senza preoccupazione veruna noi stessi facemmo, sulle qualità fisiche e morali della popolazione che lo circonda. Per ogni dove i maschi e le femmine, i vecchi ed i fanciulli in copioso numero si appalesano provvisti di vivace carattere, di svegliata mente, di regolare corporatura e di robusta tempra, prerogative tutte che è dato in vano cercare nei luoghi ove una malaria si è costretti a respirare davvero. Minore ed anzi scarsa è la quantità degli individui malinconici, pallidi e macilenti che in mezzo agli altri si rinvengono, e con i quali se non mantengono quella uguale proporzione che in paese il più sano ordinariamente si nota, la è senza esagerazione pochissimo superiore; e di tal cosa ne rende in molti incontri ragione, anziché l'aria trista e viziata, la mal difesa, stentata e miserabile vita che conducono gli abitanti dei luoghi sterili ed ingrati, i quali è pur dato osservare in buona parte dei dintorni del Lago. La stessa scrofolosi, così comune e generalizzata ove l'aria è pregna di perniciosi ed abbondevoli vapori acquosi, più rara regna nella gioventù circostante al Trasimeno, del che ne fanno fede inoppugnabile le esenzioni dalla leva in questi ultimi tempi accordate per tale malattia ai giovani che menano la loro vita in prossimità al medesimo, perché minori. sono state di quelle le quali si sono dovute concedere a coloro che da altre parti avevano la provenienza. Né giova ad amplificare fuor di misura i perniciosi effetti del Trasimeno il dire che gli abitanti dei paesi e campagna ad esso posti da presso o poco lungi sono annualmente in spaventevole numero attaccati dalle febbri intermittenti, specialmente perniciose, dalle febbri gastriche e dalle tifoidee, pretendendo pure di sostenere tale assertiva con testimoniali rilasciate da quei sanitari che esercitano la loro nobile ed umanitaria missione in quella località e che hanno creduto dire essere ivi rari gl'individui i quali in certa stagione dell'anno non rimangono affetti da quelle malattie, taluni incontrando la morte, altri restando infermi per vari mesi ed anche per qualche anno senza potere ottenere la guarigione con qualsiasi metodo curativo, conseguenze che son comuni a tal genere di malattie qualunque sia la località in cui sì manifestano.

Ci duole far riflettere a questi nostri Collega, al maggior numero dei quali professiamo stima ed amicizia, che nel dichiarare in modo totalmente generale, essere rari gl'individui che in data stagione non sono in quelle località attaccati dai narrati malori, sono caduti in certa tal quale esagerazione, prendendo semplicemente a considerare quello forse più si accosta alle proprie espressioni, che può in anni maggiormente calamitosi con qualche facilità e preferenza avvenire nelle vicinanze di Castiglione e Borghetto, per il contatto che hanno con quei due seni che abbiamo notato far parte del Trasimeno, concedendogli la facoltà di dar luogo ad una emanazione di specifico paludoso miasma. Quello pure ci incresce si è che niuno di que' nostri Collega siasi fatto presentatore di dati statistici intorno a tale argomento, abbenché fra essi vi sieno di quelli che contano quivi un lungo medico esercizio. Sarebbero state queste le vere prove, avanti delle quali ogni ragionare vien meno, ma in loro difetto siamo nondimeno sicuri che allorquando si pongano a confronto i casi di febbri intermittenti e tifoidee col complesso delle popolazioni limitrofe al lago in discorso, se ne debba avere un numero proporzionalmente maggiore di quello può porgere una popolazione di paese elevato ed asciutto, ma che non sarà molto dissimile da quello che possono offrire anche altre terre del perugino Circondario, in cui pur troppo annualmente frequenti si manifestano le stesse infermità quantunque di laghi sprovviste e dal Trasimeno notevolmente discoste, nonché da esso segregate per continuata catena di elevati colli. Noi pure esercitammo per circa un anno la medica professione nel Comune di Passignano ma con tutta schiettezza e lealtà possiamo d'altronde asserire che in tal tempo avemmo a curare pochissimi individui assaliti da febbri periodiche, le quali mai si mostrarono assolutamente ostinate e ribelli, e che un solo caso di perniciosa pleuritica vi potemmo osservare, la quale a dire il vero col secondo accesso trascinò alla tomba lo infermo.

Se abbiamo a lamentare la mancanza assoluta delle eloquenti cifre di statistica medica, che ci appalesino il vero numero delle varie infermità che regnano nei contorni del lago Trasimeno, non è così a dirsi delle risultanze statistiche in rapporto alla mortalità, le quali sono la vera pietra di paragone per scandagliare il numero delle prime. Queste ci vengono per un tempo offerte dalle officiali pubblicazioni del Regio Governo che fanno seguito al Censimento ultimamente compiuto della popolazione, in cui sono positivamente dichiarate le morti avvenute nelle varie parti del Regno durante l'anno 1862. E mentre sono esse che grandemente ci confortano nel mostrare che la salubrità della Provincia Umbra è maggiore in confronto a quella di ogni altra, avendo avuto una minore proporzione di decessi, ossia solo il 2,74 per cento; non ci contestano affatto la spaventevole mortalità che si asserisce avvenire nelle terre circostanti al Trasimeno stesso. Il Comune di Magione ebbe 2,27 per cento di morti, quello di Panicale 2,41, quello di Pacciano 2,54, quello di Passignano 2,81, quello di Castiglione 2,97, e quello di Tuoro 3,28. Niuna di queste cifre presa isolatamente può certo addimostrare quella soverchia mortalità che vuolsi attribuire all'asserita perniciosa condizione del Trasimeno, e niuno oserà più questa proclamare e magnificare in appoggio di particolari vedute, allorquando è dato anzi far noto che la totale popolazione dei sopra specificati Comuni, che sono quelli i quali il nostro Lago contornano, si ebbero per ogni eccito individui un 2,71 di decessi, che vale quanto il dire una proporzione anche sottostante a quella della intiera provincia, che già dicemmo essere stata quella che nel durare del 1862 ed in tutto il Regno italiano incontrò la minore mortalità.

Nel modo stesso è sbaglio ed esagerazione lo attribuire tanto esiziali qualità al Trasimeno, sarebbe ostinazione e cecità il niegargli una qualche cagione ammorbatrice, né saremo noi tenuti capaci di tanto, avendo già apertamente dichiarato il come ed il dove questa abbia sua esistenza. È in fatti a ripetersi dagl'impaludamenti designati di Castiglione e Borghetto la maggiore mortalità che ha l'Umbria nei Comuni di Passignano, Castiglione e Tuoro, i quali insieme uniti incontravano 2, 98 di morti per cento, perché sono quelli che gli stanno da presso, né noi lo contrastiamo. Quello d'altronde ci permettiamo di fare osservare si è che questa stessa cifra non ha valore di eccessiva mortalità da malaria occasionata, perché abbastanza inferiore non solo a quella di altri luoghi ove realmente un'aria infetta si respira, come in fra gli altri ce ne danno esempio il Comune di Ferrara in cui si verificarono le morti nella proporzione del 3,46 per cento, il Circondario di Comacchio che produsse quella del 3,81 e la veramente infelice parte di Mesola che noverò l'altra di 4,32, ma sibbene a quella di alcune località in cui non si volge il più minimo pensiero ad una atmosfera viziata e corrotta. Si voglia pure riflettere che il numero dei morti presentato dai soli Comuni di Passignano, Castiglione e Tuoro, vale a testimoniare pienamente che la infezione dell' atmosfera occasionata dai punti impaludati del Trasimeno è ben limitata cosa, tanto perché produce un non eccessivo danno alla popolazione che vi tiene stretto rapporto, come la cifra di mortalità lo dichiara, quanto anche perché poco estende la propria azione, il che chiaro risulta dalle più lusinghiere deduzioni possibili di scarsissima mortalità avvenuta nei Comuni di Magione, Panicale e Pacciano, i quali sebbene come gli altri or nuovamente rammentati sieno in assoluto contatto dello stesso Lago, pure è a dirsi non ne risentano alcun danno solo perché sono dai due più nocivi impaludamenti di Castiglione e Borghetto maggiormente discosti.

Che sia nondimeno assoluta necessità di distruggere qualunque fornite di malsania nel lago Trasimeno si dichiara da ognuno di umanitari sentimenti fornito, onde è pur nostro divisamento che questo si effettui, ma l'obbligo ci corre di manifestare il modo col quale più facilmente si pervenga alla meta, onde per volere il meglio non abbia ad incontrarsi il peggiore. E qui mi cade in acconcio di far plauso alla prima memoria avanzata dai Rappresentanti dei Municipii che al Trasimeno fanno corona all'attuale Governo, perché in quella il vero e più razionale mezzo invocavasi. È in essa che si chiede il semplice ritiro delle acque, da effettuarsi lentamente in più anni e nella stagione invernale, perché danni maggiori non ne avvengano alla pubblica salute, impiegando in pari tempo que' mezzi che vagliono a supplantare la terra nei spazi che ora occupano le acque dannose, e questo è quel solo che noi stessi ci facciamo caldamente a raccomandare e che chiediamo sia fatto senza più protratto indugio, non curandoci di disvelare i motivi che facevano poscia deviare alcune di quelle Municipali Rappresentanze dai primitivi opinamenti, che furono certo esternati con più candidi e puri sensi di umanità.

Siano dai Rappresentanti del Regio Governo italiano appagati i più giusti desiderii esternati, affidando i necessari lavori a cuori guidati da sentimenti filantropici ed umanitari anziché alle menti che possono pure rimanere illuse dalle abbaglianti cifre del calcolo e della speculazione. Si rigetti la idea della intero prosciugamento del Trasimeno, di cui torniamo a dire non esservene alcuna necessità, tanto più che quando sia esso fatto con rapidità, siccome il solo lucro richiede, non può essere a meno che si renda motivo di tanto più copiose infermità, che innumerevoli vittime umane immoleranno sull'altare dell'egoismo e del tornaconto. Si abbia in mente che nel primo caso il risultato è certo, e che nel secondo sarà sempre immensamente difficile quando anche non si voglia fin da ora prevedere nella sua intierezza impossibile. Venga dunque aperto il mezzo di dar mano a quei più limitati lavori che hanno il potere di distruggere con facilità i punti guasti e corrotti e che in appresso continuati ovunque il bisogno lo richieda potranno forse ne' secoli futuri condurre anche alla intiera distruzione del Trasimeno, il quale fino a tantoché sarà pure in più limitate dimensioni e sempre in buon essere conservato, non mancherà di arrecare direttamente ed indirettamente quei vantaggi che la Medicina, l'Economia e l'Agricoltura si sono avvedute derivare dalla esistenza dei buoni laghi, e che si sono fatte in tanti incontri ad enumerare e commendare.


[Il parere del professor Alessandro Bruschi fu pubblicato nel volume Sul prosciugamento del Lago Trasimeno, Perugia, Stabilimento tipografico-litografico, 1864. Pubblicato a cura del Municipio di Perugia.]

In alto un’opera di Guido Agostini (1873-1898), Motivo apresso il lago Trasimeno, olio su tela, cm. 49x63,5, firmato e datato “G. Agostini 1874.” (in basso a sinistra); nuovamente firmato (con titolo) sul telaio.

Puliamo Castiglione del Lago o almeno un pezzo

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Anche quest'anno, in occasione della "Festa di Primavera", l'Arbit ha partecipato alla raccolta dei rifiuti abbandonati nel territorio del comune di Castiglione del Lago.



La zona scelta dall'Arbit è stata quella intorno alla foce del Paganico, all'interno dell'ex aeroporto Eleuteri.

Per recuperare i rifiuti in acqua e per il loro trasporto è stata usata una barca tradizionale. Tutto il materiale raccolto è stato diviso e consegnato alla vicina ricicleria.

Nella galleria fotografica si possono vedere alcuni momenti della mattinata di ieri.

La pesca con il giacchio nei ricordi di Mario Bernardini

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Durante i primi anni della II guerra mondiale, vivere, per le famiglie non abbienti, risultava un problema economico molto serio. La nostra famiglia, composta da undici persone (compreso nonno e nonna), era considerata una delle più povere del paese.

Per questo motivo, io e mio fratello Sauro usufruivano della "refezione scolastica organizzata" e diretta dalle signore bene del paese, le quali per onor di cronaca facevano parte del regime F.



Il dopo scuola per noi ragazzi del paese consisteva nel fare qualsiasi lavoro pur di riportare qualche soldo a casa: questo era l’ordine tassativo di mio padre, il quale, senza badare a scrupoli e sentimentalismi si concedeva il lusso di picchiarci bene se non ottemperavamo ai suoi… ordini! A volte saltavamo anche la cena pur di non prendere le botte.

E siccome la necessità aguzza l’ingegno, mi detti da fare per trovare un lavoretto più retributivo. Sapevo che alcuni importanti pescatori, cercavano dei "bilancini". Erano così chiamati quei ragazzi coraggiosi capaci di remare a scanello e alla veneziana incuranti del freddo, del vento e della pioggia. Fui quindi arruolato (per così dire) dalla famiglia Traica per la pesca con il giacchio.

Era questa una rete circolare con maglie molto fitte alla cui estremità vi erano assicurati dei piombi anch'essi circolari e dei fili molto forti che venivano issati alla parte superiore mediante un anello circolare.

Il lanciatore-pescatore, si poneva a prua della barca e, dopo aver raccolto la rete sopra una tavola, aspettava il momento opportuno per lanciarla. Un attimo prima di aver raggiunto il punto esatto sussurrava "paso" il bilancino virava a sinistra e la rete ampia e rotonda come una grande rosa cadeva in acqua per poi raggiungere velocemente il fondo.

Con dei precisi movimenti poi il pescatore raccoglieva la rete e la issava a bordo formando un sacco in fondo al quale, a volte potevano esserci parecchi kg. di pesce.

Il pesce pescato durante la stagione invernale si chiamava "la laschina".

A quei tempi il nostro lago era ricco di fauna e di flora. Sulla parte destra del lago (tra la Panicarola, Sanfatucchio e il cimitero del paese) estesi e fitti canneti permettevano il ripopolamento del pesce: tinche, lucci, capitoni, anguille, regine, carpe e tante altre specie di pesce potevano riprodursi perché avevano il loro habitat giusto in mezzo a questi canneti i pescatori avevano praticato dei "cainoni", strade d'acqua che permettevano lo scorrimento delle barche quasi fino alla terra ferma sulla destra vi erano collocate delle arelle intervallate ogni cinque o sei da un passaggio nel quale i pescatori mettevano delle reti rotonde a forma di imbuto chiamate "martavelli".

Al mattino presto (sul fare del giorno) queste reti venivano ricercate, (termine prettamente peschereccio) ed era molto facile trovarvi dentro dei grossi capitoni o lucci ecc. ecc.

Il giacchio veniva usato molto anche durante l'estate. Nelle calde serate di luglio e agosto i pescatori solevano gettare davanti ai canneti delle giangiate. Erano queste delle palle rotonde (come o simili a quelle delle bocce) composte da sterco, crusca, granturco, grano e altre sostanze. Una volta raggiunto il fondo, queste composizioni venivano aggredite e mangiate da grossi pesci. Verso mezzanotte ci si avvicinava senza fare il minimo rumore al punto e, dopo aver dato il "paso" il lanciatore gettava il giacchio che si apriva a ombrello sopra il punto.

Alla raccolta e all'arrivo in superficie della rete uno spumeggiare d'acqua stava a significare della generosità della pesca, composta a volte di grosse regine anche di grosso peso.

Questa pesca si protrasse anche durante il dopoguerra fino a scomparire gradualmente per sempre intorno agli anni cinquanta.

Mario Bernardini classe 1929



[Il testo riprodotto qui sopra (il titolo era "Il giacchio e le sue risorse"), fu scritto da Mario Bernardini intorno all'anno 2000. Il manoscritto fu consegnato a Guido accompagnato da un biglietto che riportava: «Caro Guido, allo scopo di aiutarti nella tua sana e giusta ricerca di possibili scritti concernenti il ns. lago, prima durante e dopo la seconda guerra mondiale, eccoti un piccolo contributo dal quale (spero) tu possa trarre qualche spunto utile al tuo scopo. Ciao Mario».]
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