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Storia di barche, navigare tra archeologia e tradizione

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Un incontro per conoscere la storia millenaria delle barche che hanno solcato le acque dei fiumi e dei laghi dell’Italia centrale.

Si parlerà dell’evoluzione delle imbarcazioni dalla preistoria ai giorni nostri; della cantieristica navale; delle recenti scoperte archeologiche; delle grandi barche usate nel Cinquecento per la pesca sul Trasimeno.

Questo e altro ancora al convegno “Storia di barche, navigare tra archeologia e tradizione”, che si terrà sabato 18 maggio dalle ore 10 a Castiglione del Lago, presso il Palazzo della Corgna.

Diversi i relatori che introdurranno il pubblico nell’affascinante universo della nautica d’acqua dolce. Come Antonio Batinti, Marco Bonino, Ermanno Gambini, Laura Peruzzi e Grazia Rosa Villani.

Attraverso le loro esperienze e testimonianze sarà possibile intraprendere un viaggio nel tempo, ripercorrendo la storia e tenendo vivo il ricordo di tradizioni radicate che si stanno rapidamente dissolvendo a causa delle moderne imbarcazioni. Non solo, l’incontro sarà anche un’occasione per fare il punto sugli studi e analizzare i più importanti progetti di documentazione e salvaguardia sulle imbarcazioni tradizionali.

Sarà ricordato, inoltre, dopo trent’anni, il primo congresso dell’ALLI (Atlante Linguistico dei Laghi Italiani) che si tenne a Castiglione del Lago nel settembre 1982 e la parallela mostra di disegni di Marco Bonino sulle imbarcazioni delle acque interne nell’Italia centrale.

Storia di barche, navigare tra archeologia e tradizione. Castiglione del Lago, Palazzo della Corgna, sabato 18 maggio alle ore 10.

Sugli antichi mestieri e le imbarcazioni del Trasimeno

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L’Arbit protagonista del programma televisivo "Esplorando" di Alex Revelli Sorini.

La trasmissione andrà in onda su Teletruria
  • venerdì 24 maggio alle ore 21.30
  • sabato 25 maggio alle ore 14.30
e su Toscana tv (canale 18)
  • domenica 9 giugno alle ore 13.30
  • sabato 15 giugno alle ore 21.30

1862. Lenze, ami, esche e pesca alla canna sul lago di Como

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di Giovanni Cetti

Delle Lenze

Grande oltre ogni credere è la voracità dei pesci. Le alghe e le erbe acquatiche che vegetano sul fondo del lago, i vermicciuoli che brulicano sotto i ciottoli presso la sponda, e gli insetti che dall'atmosfera cadono sulla superficie delle acque, tutti servono di alimento ai pesci, che piccola sortirono la bocca; ma quelli, cui natura fornì di bocca maggiore, amano cercare più lauta preda in altri pesci, movendo loro atroce ed incessante guerra, inseguendo e divorando a preferenza i più piccoli, non eccentuati gli individui della propria specie. Né raro è il caso di vederne qualcuno, boccheggiante, vittima della propria ingordigia, tener sporgente né poter ingollare un altro pesce, che non cape nella sua bocca e quasi lo pareggia in grossezza.



Divorare ed essere divorato è la legge cui la natura ha condannato il pesce. La sua vita altro non è che una scena di paure, di aggressioni, di fughe, di ostilità. Sempre affamato e insaziabile, va senza posa in busca di cibo: affronta i perigli, ed essendo privo del nervo che è l'organo del gusto, quasi indistintamente abbocca tutto ciò che incontra. E tale è la sua ingordigia, che sovente ritorna a quello stesso uncino che poco prima l'avea arrestato, ed anche tratto fuor d'acqua e lottante colla morte, avidamente inghiotte l'esca che tu gli appresti. Da questa cieca voracità dei pesci, l'uomo trasse per sé utile partito, ed ebbe origine la pesca della lenza.

Se all'estremo di lunga funicella tu attacchi un piccolo uncinetto, e questo ricopri di esca opportuna, poi lo getti nelle acque, tosto intorno intorno gli si aggireranno varii pesci, finché il più ardito od affamato, inghiottendo l'esca, resterà preso all'uncinetto, sì che tu di leggeri coll'altro estremo della funicella stretto alla canna lo potrai trarre alla riva. Ecco la lenza o la pesca all'amo.

La pesca alla lenza è uno dei migliori passatempi campestri, un dolce sollievo al lungo lavoro ed alle serie occupazioni: ad essa può con diletto applicarsi e il vispo fanciullo dei volubili pensieri, e il vecchio canuto delle gravi meditazioni, né disconviene all'innata gentilezza del bel sesso.

Questo genere di pesca fu conosciuto presso che tutti i popoli fin dalla più remota età. Sul nostro Lario era forse in maggior uso nei secoli andati, che non al presente, poiché oggidì il perfezionamento delle reti fornisce ai pescatori un mezzo a più facile ed abbondante pescagione e di maggiore diletto.

Quasi in tutti i mesi dell'anno si può usare la pesca alla lenza, la quale è meno costosa e meno complicata della pesca colle reti, e più adatta a qualsiasi genere di persone; Essa ha inoltre il vantaggio di fornire pesci più freschi di quelli presi colle reti: poiché morendo essi non appena danno nelle maglie, e non potendo tosto venir estratti dall'acqua, le loro tenere carni si rammolliscono e perdono della loro freschezza.

Il pescatore alla lenza deve esser fornito di molti oggetti relativi all'uso di essa, dei quali i più necessari e i principali sono: ami d'ogni grandezza, tanto semplici che composti, tanto sciolti che uniti ad un pelo di setale o di crine od a corde raminate; macchi-nette o smeriglioni di varie grandezze; setale e crine semplice e intrecciato; cordicella di seta e di filo di varie grossezze; piombi variati in grandezza e peso per le diverse qualità di lenze: canne grandi, medie e piccole; istrumenti assortiti per avvolgere le lenze: astuccio con aghi, cera, un temperino ed un paio di forbici; varie esche artificiali; un carniere di rete, ed un canestro per mettervi i pesci.

Presso i commercianti di oggetti di pesca, si trovano pure vendibili degli scandagli per misurare la profondità delle acque; degli anelli per distaccare la lenza dale erbe e dagli scogli; degli arpioni per nettare dalle erbe il luogo in cui si pesca, e degli arnesi per levare l'amo dalla gola dei pesci senza romperlo: ma tutti questi ordigni non sono indispensabili, e di poca pratica utilità nella pesca che si fa da noi.

In tre diversi modi si pesca all’amo sul nostro lago. Nel primo il pescatore sta fermo in sulla riva, e la lenza munita di uno o più ami, è attaccata all'estremo di una bacchetta, comunemente di canna, e perciò questo genere si chiama pesca alla canna.

Nel secondo, navigando in una barchetta, il pescatore si tira dietro nel lago una lunga lenza, la quale prende il nome di dirlindana.

Nel terzo modo finalmente il pescatore cala al fondo del lago una cordicella lunghissima ed armata di molti ami ad intervalli, e la vi lascia un'intera notte ed anche più lungo tempo; questa lenza dicesi spaderna.

Ma prima di descrivere le varie qualità di lenze, e il modo con cui si debbono usare, brevemente terrò parola della cordicella, del setale, delie varie specie di ami, e dell'esca, oggetti tutti necessari ad ogni maniera di lenza.

Cordicella

La cordicella con cui si formano le varie lenze può essere di seta, di crine, di lino o d'altro; di un semplice filo o di più fili torti od intrecciati. Ma di qualunque materia ed in qualsiasi modo sia fatta la lenza, basta sia abbastanza forte secondo i pesci che si vogliono pigliare. Si fa uso anche dell’agave americana, ossia del filo estratto da una specie di aloe, non che di filo sottilissimo di rame e di ottone.

Se si forma di crine, importante n'è la scelta. Esso deve essere lungo, bianco, elastico, rotondo e trasparente, dovendosi rigettare lutti i difettosi, come pure quelli delle cavalle, perché corrosi dalle orine. La seta deve esser cruda e ben lavorala.

La cordicella sia di crine, sia d'altro, deve essere eguale e non troppo torta, perché allora perde di fortezza ; la migliore è quella fatta a treccia o ad ossoli. Il colore è indifferente, servendo egualmente bene, se i fili di cui è intrecciata sono di un solo colore o di diversi: in generale però il loro colore deve essere piuttosto smonto, cioè tale che i pesci difficilmente li scorgano.

Il colore verde acqua è il migliore. Per tingere di questo colore il crine ed il filo si prendono 250 grammi di fuligine, un poco di allume, ed un poco di succo di foglie di noce; si fanno bollire per qualche tempo in un mezzo litro d'acqua, si lascia raffreddare la soluzione, indi vi si immerge il filo, lasciandovelo più o meno lungo tempo secondo la gradazione del verde che gli si vuol applicare.

Per torcere i fili a due a due, si annodano da un capo, indi tenendoli separatamente fra l'indice ed il pollice, si fanno girare dalla stessa parte. Ma tale operazione si può eseguire con un piccolo istrumento, di cui ecco la descrizione.
Prendesi una piccola assicella ben drizzata, larga 11 centimetri, lunga 32 centimetri, o più, e di 22 millimetri di grossezza. Ad una delle sue estremità vi sono tre fori, a, a, a, come i tre angoli di un triangolo equilatero (fig. 1). Il secondo pezzo di questo istrumento è un'altra assicella di figura rotonda da un capo, mentre il resto è foggiata a manico, per cui si tiene. Si fanno nel cerchio tre fori simili ai primi e che corrispondono esattamente a quelli. In ciascuno di essi si passa un uncinetto di filo di ottone piegato a manubrio di grandezza naturale, come vedesi alla fig. 2. La parte b d'ogni uncino passa in uno dei fori a dell'assicella, e la parte c dello stesso uncino passa in uno dei fori corrispondenti della paletta (fig. 3). Costruito in tal modo l'istrumento si fissa ad altezza conveniente, acciò i crini ed i pesi, di cui parleremo, non tocchino il suolo (fig. 4). Dopo aver annodati i due o tre crini ad un'estremità, si attaccano le altre a ciascuno degli uncini. Sospendesi con un uncino m al nodo inferiore un peso di piombo n che tiene tesi i crini; fra essi si pone uu turacciolo di sovero conico p, sul cui orlo vi sono tre intagli, o, o, o, per impedire che i crini si accavalchino (fig. 5).... Mettendo in moto la paletta, si fanno girare in pari tempo i tre uncini, i crini si attorcono sotto al turacciolo, che va risalendo di mano in mano che la corda si attortiglia. [da Manuale del Dilettante della pesca, pag. 3]

Per torcere i fili della lenza sonvi pure altri istrumenti, simili al suddescritto (fig. 6).

Setale

Col nome di setale, (vulg. sedàl, o pél de cavallée), nome che ci ricorda la dominazione spagnuola, si chiama da noi la seta levata dal baco del bombix mori. In commercio è conosciuto sotto i nomi di pelo di Firenze, crine marino, e molti altri.

Si prende il bigatto, allorché compite le quattro mute sta per incominciare il bozzolo, ed é alquanto diafano, o come si dice vulgarmente maturo. Lo si ripone in un recipiente ripieno di buon aceto, cui si copre, e lo vi si lascia in fusione circa ventiquattro ore. Estratto il bigatto, si apre e gli si levano quei due fili aurei, che avrebbe esso svolto in seta sul bozzolo; si tiene l'estremo di un filo con una mano, e coll'allra, tenendolo stretto fra l'indice ed il pollice con un pezzolino di lana, si tira, per modo che allungandosi n'esca un filo da 30 in 35 centimetri, trasparente e forte almeno quanto dodici crini uniti. Deve essere rotondo ed uguale su tutta la sua lunghezza. Si può tingere del colore che si desidera.

Siccome la lunga esperienza e l'istinto della propria conservazione rende diffidenti e scaltri anche i pesci, i quali se appena entrano in sospetto che gatta ci covi, fuggono e più non ritornano, perciò si deve porre ogni cura nel coprir l'amo coll'esca, e attaccare a questo per qualche tratto un filo che difficilmente riesca visibile nell'acqua, acciò i pesci non s'avveggano dell'inganno, e più facilmente inghiottano l'esca. A tal uopo servono i fili o peli di setale, che si pongono fra l'amo e la funicella della lenza. Le lenze devono il loro maggiore perfezionamento alla scoperta ed all'uso del setale.

I varii peli di setale si uniscono fra loro colla cordicella, con tale un nodo che non li pieghi troppo rigidamente, affinché non abbia di leggieri a rompersi, e tale che non possa scorrere. Varie sono le specie di nodi che si possono usare; io qui ne descriverò due sole:
  1. Si prendono i due capi dei due fili, e si fanno passare nello stesso anello, e si stringe tirando i due capi a con una mano, ed i due capi b coll'altra (fig. 7). Questo chiamasi nodo da lenza.
  2. Si prendono i due capi dei due fili, e si fanno sorpassare l'uno all'altro tanto che si possa formare un nodo, facendo trascorrere i due capi una sol volta nell'anello, indi si tirano coll'una mano i due capi a b, e coll'altra i capi a'b' (fig. 8). Dicesi nodo della rete.

Questi nodi non si sciolgono quando si abbia l'avvertenza, prima di stringere, di bagnare alquanto il setale, tenendolo in bocca alcuni minuti. Quando il nodo è ben stretto, tagliansi i capi per quanto è possibile presso il nodo; senza di che le estremità salienti, formando uncino, farebbero intralciare la lenza nell'adoperarla.

Il miglior setale che fra noi si venda in commercio viene dall'estero, però io sono d’avviso che usando un po’ più di diligenza nella fabbricazione, e scegliendo bachi non difettosi, anche da noi si potrebbe ottenere un ottimo setate, ne più avremmo bisogno di farlo venire d'oltremonte.

Ami

L'amo è un piccolo ordigno di ferro a guisa di uncinetto, il cui braccio più corto è appuntato, e termina a foggia di dardo, ossia in una piccola mezza freccia; il braccio più lungo è ordinariamente il doppio dell'altro. Il pesce l'ingoia coll'esca; non appena si avvede dell'inganno, si scuote, si dibatte, tenta rigettarlo, ogni mezzo pone in opera per uscire d'impaccio, ma invanamente: que' suoi sforzi ad altro non servono che a meglio conficcar nelle proprie carni l'acuto uncino, il quale non può uscirne poiché lo vieta il piccolo dardo.

L'amo deve essere, generalmente parlando, lungo di fusto, alquanto grosso nella circonferenza, e colla punta acuta e dritta. La sua elasticità deve essere tale, ch'esso dietro uno sforzo non abbia a rompersi, né distendersi e rimaner dritto, ma riprendere la sua forma primitiva. Vi sono varie sorta di ami secondo le varie lenze, la qualità e grossezza dei pesci.

Gli ami comuni sono di acciaio, e generalmente i due bracci non si trovano nello stesso piano, essendo il più corto alquanto ripiegato. Ve ne sono di tutte le grandezze, marcati in commercio con differenti numeri progressivi. Alcuni all’estremità del braccio più lungo sono alquanto acuti (fig. 9), altri invece hanno un piccolo cappelletto (fig. 10); i primi servono allorquando si vogliono unire assieme fra loro due o tre ami (fig. 11). Per attaccare l'amo al filo della lenza si prende l'estremo del filo, e si unisce con un nodo doppio al braccio dell'amo che non è fornito di freccia là, dove incomincia la curvatura dell'altro braccio, e gli si attorcigliano intorno su tutta la sua lunghezza dei fili sottili di seta alcun poco incerati.

Un metodo facile e sicurissimo per unire il setale all'amo è il seguente. Si pone l'estremo del setale a rammolare nell'acqua per alcuni minuti: indi con un nodo si unisce al basso del braccio più lungo dell'amo, e rivolgendo il filo, si formano intorno al fusto tanti nodi finché il braccio dell'amo sia tutto ricoperto. Il setale asciugando si restringe, e resta saldamente unito all'amo.

Gli ami di spaderna sono in generale simili ai precedenti, di ferro ; e affinchè non irruginiscano, si coprono di stagno : il che si fa bagnando l'amo in acqua in cui siavi sciolto del sale ammoniaco, indi immergendolo nello stagno fuso. Alcuni hanno un piccolo cappelletto, altri invece hanno l'estremo rivoltato in guisa di formare on piccolo anello, (fig. 12). La lenza vi si attacca con un nodo. Per le spaderne si usano anche degli ami fatti ad ancora a tre punte, e sono di filo di ottone, acuti e senza freccia, e diconsi vulgarmente bagg (fig. 13).

Diversi dai precedenti sono gli ami di lanzettera. Si costruiscono di filo di ferro o di ottone sottilissimo, ed hanno la figura di due pezzetti di filo uniti sotto un angolo ottuso. Ognuno può costruirli da sé con facilità. Un estremo è acuto e senza dardo, e il braccio non acuto si unisce all’estremità della lenza con filo di seta come negli altri ami (fig. 14).

Vi sono pure varie altre sorta di ami: gli ami doppii, dei quali, alcuni hanno due piegature contrarie l’una all’altra, che all’estremità dei bracci più lunghi formano un piccolo anelletto per attaccarvi la cordicella (fig. 15), altri hanno le piegature dalla stessa parte (fig. 16): ami colla molla, la quale quando il pesce ha abboccato l’uncino, si apre e lo prende colla bocca aperta (fig. 17): ami ingolatori o adescanti, i quali sono simili agli ami comuni bicurvi, la cui ripiegatura forma due gomiti molto pronunciati (fig. 19, 20), ed altri; ma tutte queste varietà d’ami non sono usate generalemnte sul nostro lago. Sulle sponde dell’Oceano alcuni pescatori si servono di ami di legno, formati di uno spino a cui lasciano attaccato un poco di legno del tronco.

Gli ami migliori sono quelli, che si fabbricano in Inghilterra ed in Irlanda; ma ciò non toglie che in altri paesi ed anche in Italia si possano costruire ami eccellenti.

Esca

Conoscere quali sieno le esche che maggiormente tornano gradite ai pesci, secondo le varie specie, e nelle diverse stagioni, è cosa essenziale per il pescatore all'amo. Gli Inglesi, che molto si dedicano a questo genere di pesca, fecero degli studi, istituirono delle osservazioni sul gusto dei varii pesci, e sulla diversa qualità delle esche, sì che la pèsca all'amo presso quegli isolani toccò un perfezionamento maggiore, che presso gli altri popoli.

Le esche si distinguono in naturali e artificiali.

Esche naturali. Queste ci vengono fornite dalla stessa natura, e ponno dividersi in semplici se vengono usate senza alcuna modificazione, ed in composte se sono formate di varie sostanze.
Le esche semplici consistono principalmente in piccoli animalucci, come i vermi di terra detti lombrici, i vermi della carne imputridita, le mosche, le formiche alate, le uova di alcuni insetti, i bruchi, le farfalle e gli scarafaggi. Servono pure quali esche i piccoli pesciolini, i gamberi, le rane, i molluschi sì terrestri che di lago, i sorci, i pulcini ed altri animali appena sortiti dall'uovo, non che i frutti di alcuni vegetali.

I lombrici ritrovansi in gran numero nei letamai, nelle terre grasse degli orti, sotto le pietre ed i vasi di fiori nei giardini, e fra i ciottoli nel letto dei torrenti. Per farli sortire dalle loro tane, si ficca un paletto nel suolo e si scuote fortemente, ovvero si versa sulla terra acqua salsa o decozione di foglie di noce. Dopo la pioggia si trovano alla superficie, e di notte, mentre quei vermicciuoli escono strisciando sul terreno, si raccolgono al chiarore di un lume.

Per conservarli lungo tempo si pongono in un vaso ripieno di muschio umettato, che rinnovasi dopo alcuni giorni. Anche gli altri vermi si conservano in vasi ripieni di muschio, e se dopo qualche tempo immagriscono (il che si conosce dai nodi che sono verso la metà del corpo i quali mostransi più salienti) si imbeve il muschio di un poco di latte, e questa operazione si ripete tutti i giorni.

Le esche composte sono di molte specie. Impastando insieme vermi di carne imputridita, argilla e stereo cavallino, oppure mollica di pane bagnato nel latte, formaggio vecchio grattugiato e lardo rancido, ottengosi esche ottime a prendere molte specie di pesci. Altre esche si compongono con mollica di pane mista a carne cruda triturata; con fave palustri cotte col miele; con frumento, orzo e canapuccia bollite insieme; con bocconi di polenta, ecc.

Esche artificiali. Quantunque il pescatore all'amo conosca minutamente quali sieno le esche naturali che più vengono gradite dai varii pesci, pure siccome di esse alcune non ritrovansi che in certe stagioni dell'anno, altre non sono comuni a tutti i paesi, così gli torna impossibile il procurarsele ogni qualvolta gli talenta, od in quella quantità che gli abbisogna. A tale inconveniente il pescatore rimedia coll'uso delle esche artificiali, le quali consistono in insetti, pesciolini ed altri animalucci artefatti, che nel colore e nelle forme rassomigliano i pesciolini e gli insetti naturali, che meglio riescono siccome esche. E vero che l'arte non può al tutto uguagliare le minute forme delle membra, e la variata vivacità dei colori di certi insetti, e che le esche artificiali quasi sempre non figurano che imperfettamente gli animali che si vollero imitare e di cui portano il nome; ma ciò punto non scema l'importanza delle esche artefatte, poiché l'esperienza ci dimostra che i pesci hanno tale una voracità, che abboccano alle più goffe imitazioni.

I pescatori fanno uso delle diverse esche artificiali, secondo le diverse ore del giorno e le circostanze in cui pescano: un insetto è migliore la mattina, l'altro la sera, questo quando è nuvoloso, quell'altro quando è sereno. Credo inutile distendermi su tale argomento, bastando l'osservare che in generale i piccoli insetti sono preferibili ai grandi, e che quelli di color chiaro riescono meglio quando è nuvoloso, e quelli di color oscuro quando splende il sole.

Facile è la costruzione degli insetti artificiali, ed ognuno può di leggieri prepararli da sé. Il corpo si forma con pezzetti di stoffa, uniti con fili di seta, di lana, ovvero d'argento e d'oro. Le ali si compongono con piumicine colorate di volatili, a cui si dà una conveniente forma e posizione. Col crine, il vello ed il pelo degli animali s'imita il vellutato di certi insetti. Se devono galleggiare, si formano con stoffa di lana.

Questi insetti artificiali si uniscono saldamente al braccio più lungo dell'amo, formando cosi gli ami adescanti e ingolatori, dei quali uno solo serve a prendere molti pesci (fig. 21, 22, 23, 24).

Fra le esche artificiali si usano comunemente i pesciolini, che si compongono di stoffe colorate e lucenti, di argento, di cristallo, di madreperla e di guttaperca, Un pezzetto di pelle bianca foggiata a guisa di pesce, od una semplice piumicina servono allo stesso scopo. Le rane, i topi e gli altri animali s'imitano pure artificialmente, ma sono di un uso meno comune.

I varii generi di esche artificiali formano un piccolo ramo d'industria, di cui trovasi un completo assortimento nelle botteghe di strumenti per la pesca.

Pesca alla canna

I. Lenza comune.  La lenza comune, o lenza propriamente detta, consta di una bacchetta a cui si attacca una cordicella, la quale alla sua estremità è armata di un amo; fra questo e la cordicella pongonsi alncuni peli di setale (fig. 25).

Se si pescano piccoli pesciolini; l'amo sarà pure piccolissimo, ed il filo corto e sottile: ma se si desidera più grossa preda, l'amo sarà più grande ed il cordoncino più forte e di maggiore lunghezza. La lenza deve sempre crescere in fortezza partendo dall'amo andando verso la canna.

La bacchetta perché sia leggiera si fa comunemente di canna, più o meno lunga, ed alla sua estremità si pone una piccola bacchettina di legno, pieghevole ma abbastanza forte. Questa si unisce alla canna introducendola nell'ultimo suo nodo, indi legandola stretta con più giri di ramino o di filo torto ed incerato.

La canna può essere formata di varii pezzi di diversa grossezza, essendo perciò più comoda a trasportarsi. Quando si vuol porre in opera, si congiunge introducendo alquanto nell'ultimo nodo del pezzo più grosso, il pezzo susseguente in grossezza, il quale vi si adatta perfettamente, e vi si affranca. Più comode sono le canne in forma di bastone. Levata la cima che vi si adatta a vite, si estraggono i vari pezzi di canna l'uno dall'altro a guisa dei tubi d'un cannocchiale, e all'estremità vi si attacca la lenza, che si tiene ben piagata in una scatola.

Sonvi pure delle lunghe canne fornite su tutta la loro lunghezza di piccoli anelli di rame o di ferro, i quali servono a condurre la lenza lungo la canna mediante un molinello applicato al suo principio; ma queste canne si usano per lo più alla pesca dei grassi pesci di mare.

In generale la canna deve essere leggera, flessibile, senza mollezza, lunga e forte. Quelle di bambou e di noce bianco d’America, e le nostre canne comuni sono le migliori. Si possono usare anche altri legni, come nocciuolo, salice, pioppo, ecc., purché abbiano i suesposti requisiti. Presso i fabbricatori se ne trovano di eleganti, e ben lavorati, ma ognuno può di leggieri costruirli da sé.

A compiere la lenza fa d'uopo d'una piva, o volgarmente veletta o velina, la quale consta di un cannone di penna, nel quale si fa passare la cordicella che tu con due turaccioletti di sovero, con un anellelto, od in altro modo (fig. 26),  potrai affrancare a conveniente altezza, secondoché vorrai dare più o meno fondo all'amo, stando la veletta sempre alla superficie dell'acqua. Se la lenza è molto grossa, allora farai passare il cannone della penna in una palla di sovero forato e colorito (fig. 27, 28 e 29). Le velette si possono costruire di diverse materie, e di variate foggie e grandezze: in generale però sono sottili alle estremità e rigonfie nel mezzo. Quando esse servono a tener sospesa l’esca, devono essere proporzionate ai piombi attaccati alla lenza. La veletta, come lo indica lo stesso suo nome, serve ad avvertire il pescatore quando il pesce ha abboccato l'esca. La lunghezza della lenza che sta fra l'estremo della canna e la piva deve essere tanta quanto quella della canna stessa.

Le lenze possono dividersi in tante specie, quante sono le specie dei pesci che si ponno prendere; ma la loro differenza non consiste che nell'amo più e meno grande, nel filo più e mene forte, e nella
canna più o meno lunga. Colla lenza comune si può pescare in due modi: coll'uno l'esca rimane sospesa nell'acqua, e coll'altro l’esca tocca il fondo.

Si deve aver molta cura nel caricar l'amo coll'esca, poiché da ciò dipende sovente la maggiore o minor presa di pesci. I vermi s'infilzano nella loro lunghezza finché abbiano oltrepassato la freccia dell'amo; e se sono piccoli, se ne pongono molti uniti, infilzandoli attraverso la metà del corpo. In ogni caso è sempre necessario che il piccolo dardo dell'amo sia intieramente coperto.

I lombrici si caricano facendo passar l'amo lungo il loro corpo, e lasciandone libera una parte, la quale co' suoi movimenti serve ad attirar più facilmente i pesci. Se i lombrici fossero piccoli, se ne adoperano due, e coll'uno si copre tutto l'amo sino all'estremità del braccio lungo, e coll'altro si carica come or ora abbiam detto.

Nell'attaccare il piccolo pesciolino vivo, si deve avere l'avvertenza di non troppo offenderne le carni, acciò possa vivere lungo tempo.

L'esca varia col variare dei pesci che si vogliono prendere. Vuoi tu pescare alborelle, triotti esimili pesciolini? Sulla freccia del piccolo amo porrai piccola pallottola di mollica di pane, un moscherino, un vermicciuolo o che so io. Dove tu vedi brolicare sciame di pesciolini, getta l'amo, e tenendolo colla canna sospeso o con una piva, non lo lascerai toccare il fondo. L'ingordo pesce ben presto abboccherà l'esca; tu allora darai una tirata, ma avverti bene che l'esca gli sia del tutto entrata in bocca, poiché altrimenti correresti rischio di non pigliarlo. In breve ti verrà fatto accalappiarne di molti, principalmente se peschi fra le erbe ed i sassi che sono vicini ai giardini ed alle case, che si specchiano nel lago. Questi pescetti si pescano quasi in tutte le stagioni dell'anno, e ponno servire a caricare le altre lenze a più grossa preda.

Astutissimo è il cavedine, però tu potrai prenderlo di leggieri, usando per esca una crisalide del baco da seta (vulg. bordôch), di cui esso va ghiotto. Introduci diligentemente l'amo nella crisalide in guisa che punto non si vegga, e lo getta nelle acque in luogo ove facilmente venga adocchiato dai pesci. Talora se ne prendono di assai grossi, specialmente d'estate in vicinanza alle filande, ove le donne vanno a sciacquattare la baccaccia.

Per pescare i pesci persici, si carica l'amo con un lombrico o verme di terra. Se tu all'amo sovrapponi un boccone o di polenta, o di alcune delle esche composte, e lo getti a molta profondità nel lago, potrai facilmente prendere tinche; barbi ed altri grossi pesci; però convien scegliere luoghi opportuni.
Il pescatore non appena ha gettato l'amo deve conservare il massimo silenzio, star fermo al suo posto, evitare che l’ombra del suo corpo vada a cadere nell'acqua nella direzione dell'esca, e star coll'occhio attento alla veletta per tirare non appena essa, curvandosi sotto l'acqua, dà segno che il pesce ha ingoiato l’esea;

Molto interessa al pescatore il conoscere le stagioni, le ore e le circostanze, in cui i pesci più facilmente abboccano, non che i luoghi che sogliono frequentare e le loro abitudini.

La stagione migliore per pescare alla canna è in generale la primavera; ma si può pescare con profitto dal mese di marzo a tutto novembre. Le ore più propizie sono la mattina avanti il sorgere del sole, e la sera sul tramonto. Le giornate calde, ma coperte di nubi, principalmente dopo una notte illuminata dalla luna, e le ore che precedono ai temporali sono assai favorevoli a questo genere di pesca. Nei tempi procellosi i pesci si avvicinano alla riva, ma solo nei luoghi profondi; se forte soffia il vento ritraggonsi nelle cavità degli scogli, ma un leggier venticello li attira verso la sponda e li invita all'esca. Quando sulla superficie del lago cadono o piccoli moscherini o sciame d'effemeridi, essi pure vengono a galla. D'estate dopo un forte acquazzone si avvicinano alla riva per predarvi gl'insetti ch'esso seco trasporta.

Questa pesca si conviene a qualsiasi ceto di persone, ed a qualsiasi età, ma i fanciulli specialmente vi si dedicano con diletto. Ed oh! quanto grata ancor mi giunge al core la rimembranza de' miei primi anni, quando nelle autunnali vacanze ritornava al mio paesello natio, e seduto sovra uno scoglio, sovente coll'amo e colla canna tendeva insidie ai pesciolini, che a frotta guizzavano nella purissima onda!

II. Mescoletta.  Chiamasi volgarmente mescoletta, o meglio moscoletta una lenza simile alla precedente attaccata ad una lunga canna. Il nome le venne dall'usar per esca una mosca od una farfalla. Questa lenza può esser munita di un solo amo, o di più ami i quali distano fra loro 15 o 20 centimetri, e si uniscono al filo principale con un pelo di setale della lunghezza pure di 15 a 20 centimetri. Per esca si usano generalmente insetti o scarafaggi: anche gli ami ingolatori ed adescanti si ponno fornire di bruchi e farfalle artificiali.

Per pescare alla mescoletta si sta in piedi su la prora di un battello, che sen va riva riva, e scuotendo la canna si getta l'amo in avanti. Si sofferma la barchetta, ed il pesce che dal fondo vede cadere sulle acque un insetto, precipitosamente con avidità si avventa contro di esso, l’abbocca, e trova così la sua morte. Tal pesca si fa principalmente in vicinanza agli scogli, e nelle giornate in cui il lago è leggermente increspato da venticello. Si prendono cavedani ed altri pesci.

Con questa lenza si pescano pure pesci persici, lucci, e simili. A tal uopo si adopera per esca un'alborella viva, la quale cala al fondo trattavi da un pezzettino di piombo attaccato all'estremità della cordicella. Colla canna si getta l'alborella alcun poco avanti la prora della barca, la quale si sofferma, e coll'occhio attento si sta alla veletta. Se dopo qualche tempo la veletta non dà alcun segnale, allora si progredisce colla barca, e si rimove la lenza dal luogo ove si trova. Nei bassi fondi ricoperti di ciottoloni e di erbe acquatiche più proficuo riesce un tal pesca. Talora si prendono dei lucci molto grossi.

III. Lanzettera. È una lenza che porta molti ami, detti di lanzettera, e diversi degli altri, come abbiam già detto sopra. L'estremità della lanzettera si forma di crine; al filo principale che consta di più crini attorcigliati, alla distanza di 10 a 15 centimetri, si attaccano altri fili d'un sol crine, a cui sono uniti gli ami (fig. 30). Un pezzettino di piombo attaccato all'estremo del filo principale serve a tenerla verticale nell'acqua, mettendovi alla superficie una veletta.

Per esca si usano i vermi di terra, detti lombrici. Questa lenza serve solo a prendere le alborelle ed altri simili pesci (sul lago di Como serve pure a prendere gli agoni). Per pescare si prende una lunghissima canna, e scuotendola si getta nel lago la lunga serie degli ami. Ovvero con un battello si calano qua e colà gli ami nel lago, tenendoli sospesi con un pezzo di sovero o di canna. Dopo qualche tempo si vedrà la veletta muoversi, il che indica che già qualche alborella vi si è attaccata. Quando tu crederai opportuno, estrarrai la lenza dal lago e vi vedrai attaccati molti pesciolini. Levali questi e ricaricati gli ami che sono privi di esca, li getterai nuovamente nelle acque.

Questo genere di pesca era molto in uso in tutti i paesi vicini alla riva, ma al presente, e per la diminuzione delle alborelle, e per l'introduzione degli alboretti e tremaggini, in allora proibiti, cadde quasi in dimenticanza. Ma forse si tornerà a ripigliarlo, poiché essendo ora sul nostro lago vietato l'uso del sibiello all'epoca della frega degli agoni, si potrebbe con utilità introdurre per la loro pesca questo genere di lenza, il quale se non darà la quantità dei pesci che si prendevano pel passato col sibiello. potrà almeno fornirne quanto basti all'ordinario consumo dei litorani.

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  • Questo brano è tratto dal volume dell’Ing. Giovanni Cetti, Il pescatore del Lario, descrizione delle reti e dei vari generi di pesca in uso sul lago di Como, pubblicato a Como nel 1862, dagli editori Carlo e Felice Ostinelli, pp. 39-64.



A che punto è l'Atlante delle barche dei laghi e dei fiumi dell'Italia Centrale

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di Marco Bonino

Incontro: Storia di barche, Castiglione del Lago, 18 maggio 2013

L’argomento delle imbarcazioni antiche e tradizionali delle acque interne dell’Italia Centrale fa parte di una ricerca, parallela a quella sulle imbarcazioni marittime, iniziata una trentina di anni fa con l'Atlante Linguistico dei Laghi Italiani (ALLI), la cui attività è stata ripercorsa dalla relazione di Antonio Batinti a questo convegno di Castiglione del Lago del 18 Maggio 2013. Attraverso ricerche sul campo, incontri, congressi, pubblicazioni ed attività museali, mi è stato possibile redigere un atlante dei tipi, ormai prossimo al completamento.


- Figura 11. Gaspar Van Wittel, veduta del Tevere al Ponte Sisto (1681 – 1683).

L'indicazione dei nomi dei tipi navali sulla carta topografica è stata completata dalla ricerca su ogni tipo e varietà, con la schedatura e lo studio tecnico navale, storico ed etnografico - linguistico di ciascuno di essi, nel quadro dell’ambiente tradizionale in cui sono stati costruiti ed impiegati.

Contemporaneamente si approfondivano temi ed aspetti dell'archeologia navale anche delle acque interne, che permettevano di collocare le tecniche costruttive tradizionali in un discorso evolutivo più ampio, soprattutto con lo studio dei documenti neolitici e del bronzo (laghi di Bracciano e di Bolsena, Sarno), arcaici (villanoviani ed etruschi) e di età romana (soprattutto le barche F ed H di Pisa S. Rossore).


- Figura 2a. Termini dialettali relativi alla barca del lago Trasimeno.

Nel quadro delle regioni tradizionali navali ancora vive tra la metà dell'Ottocento e la metà del Novecento, in cui si può suddividere il territorio e le coste italiane, la zona interna tra l'Arno ed il Sele è stata sede di una cultura navale abbastanza uniforme e la sua interazione con il territorio può essere esemplificata dall'idrografia delle acque navigabili, ma anche dalla distribuzione dei traghetti, che erano numerosissimi, prima della costruzione di molti ponti, avvenuta per lo più tra la fine dell'Ottocento e la metà del Novecento. Quindi navigazione sui laghi, sulle lagune costiere, sui canali navigabili e sui fiumi, ma anche nei punti del corsi dei fiumi che avevano abbastanza acqua da permettere il galleggiamento ed il movimento di una barca da traghetto, anche se il fiume poteva non essere navigabile con continuità (figura 1).


- Figura 2b. Termini dialettali relativi alla barca del lago di Chiusi.


- Figura 2c. Termini dialettali relativi alla barca del lago di Piediluco.

La ricerca sulla grande regione centrale interna è iniziata appunto dal Lago Trasimeno con l'identificazione precisa dei tipi di barche e dei termini dialettali che qui vengono paragonati a quelli usati sui laghi di Chiusi e Piediluco (figura 2a, figura 2b, figura 2c) ed a quelli del Lago di Bolsena e di Vico (figura 3a e figura 3b).


- Figura 3a. Termini dialettali relativi alla barca del lago di Bolsena.


- Figura 3b. Termini dialettali relativi alla barca del lago di Vico.

Tra i tasselli mancanti alla schedatura delle barche tradizionali delle acque interne vi erano le barche del Lago di Bracciano (la barca e la battana). Ho potuto ricostruire questi tipi grazie all'iconografia nota da tempo, ad alcune notizie recenti, ma soprattutto ad esemplari osservati nel 2004 (figura 4a e figura 4b); essi erano stati rimaneggiati con strutture di ferro e con rivestimento di vetroresina, ma rivelavano ancora le caratteristiche dei tipi tradizionali. La barca (figura 5 e scheda 1) era simile, più piccola e semplificata nella parte di poppa, a quella del Lago di Bolsena e rispetto ad essa aveva il sistema di voga con due scalmi simmetrici sui due capodibanda. La battana (figura 6 e scheda 2) era strutturalmente simile alla barca, tuttavia la prua non aveva l'asta, ma lo specchio, come sul Lago di Vico e soprattutto come sul Tevere. Questa battàna sembra sia stata introdotta sul Lago di Bracciano poco prima dell’ultima guerra, stando alla documentazione pittorica e fotografica.


- Figura 5. Barca del Lago di Bracciano (v. - figura 4a).

I legnami impiegati in origine erano in accordo anche con la tradizione del Lago di Bolsena: olivo o pesco per le strutture, abete per il fasciame e pino o larice per l'interno del capodibanda e le panche. La loro nomenclatura dialettale si ricollega a quella dei laghi di Bolsena e di Vico (figura 3a e figura 3b): punta, culatta, per prua e poppa a specchio, piro e piràja per scalmo e scalmiera ed altrettanto dicasi per il metodo costruttivo: esso è basato sostanzialmente sulla conformazione dello scafo sulla forma e sulla struttura del fondo, attorno a cui vengono montate e conformate le sponde. Sui laghi umbri (Trasimeno, Chiusi, Piediluco) questa tecnica è particolare, in quanto è una parte del fondo, l'uscio, fatto con tavole trasversali, che costituisce la base per la costruzione (figura 7), mentre sugli altri laghi questa funzione è esercitata dall’intero fondo, preformato con tavole longitudinali unite da un numero maggiore di traverse.


- Figura 6. Battàna del Lago di Bracciano (v. - figura 4b).

Questa barca e questa battana del Lago Sabatino sono rimaste sostanzialmente invariate dal Secolo XV - XVI, come mostrano gli affreschi della scuola di Antoniazzo Romano nella Sala d'Ercole del castello Orsini Odescalchi di Bracciano (1491 - 1500) e l’affresco della Battaglia d Ostia di Giulio Romano in Vaticano (1520). È una continuità tipologica che si nota anche per le barche del Trasimeno (Matteo dell'Isola 15, descrizioni di Giovanni Campano 1457), di Piediluco (fregio di S. Francesco, fine del XIII secolo) e dei barchini e navi da traghetto di Firenze (veduta della Catena, 1470), come se la tradizione avesse cristallizzato tipi piuttosto antichi.


- Figura 7. Fasi costruttive della barca del Lago Trasimeno.

Il metodo costruttivo ci riporta ancora più indietro, all’origine della costruzione a partire dalla zattera primigenia, di cui il fondo, in ognuno di questi casi, in Umbria e nel Lazio, ne mantiene la forma strutturale. È un concetto riconosciuto da tempo ed esplicitato anche dallo scoordinamento tra le strutture orizzontali (traverse, dragoni, matèi) e quelle verticali (peducci, coste, matèi); la semplicità del sistema ed il fatto che molti esemplari siano stati costruiti da maestranze non specializzate in costruzioni navali, fa pensare ad un ripiegamento su metodi arcaici. Il segno distintivo della funzione del fondo come elemento di conformazione dell'intera barca è dato dal fatto che le sponde siano fissate attorno al fondo e lo racchiudono. Invece il barchino di Fucecchio, le navi da traghetto dell'Arno e la barca della Barcaccia di Valfabbrica (figura 10) hanno il fondo che sporge da sotto le sponde, il che vuol dire che il suo rivestimento può essere stato messo dopo la conformazione delle sponde e del volume generale dello scafo, un po' come nella costruzione dei battèlli veneti e padani. Analogamente troviamo il fondo che sporge da sotto le fiancate in una versione locale, adattata al turismo, della barca sul Lago di Albano (figura 9), diversamente dalla struttura originale con il fondo racchiuso dalle fiancate. Il senso di queste differenze potrà essere più chiaro quando si potrà dipanare la matassa dei tipi fluviali e delle loro origini, a volte tradizionali in senso proprio, ma a volte forzate dal turismo o dall’introduzione di tipi navali industriali.


- Figura 10. Barca da traghetto alla Barcaccia di Valfabbrica.

Ma, anche avendo riconosciuta l’origine dalle zattere di alcuni tipi navali tradizionali, si nota in queste barche una robustezza longitudinale, che spesso pare fare a meno delle strutture interne. È il caso della naue di Posta Fibreno e della barca alla pescatora di Piediluco (figura 2c). In queste è chiaro che la probabile zattera originaria ha avuto apporti culturali da altre soluzioni. Si tratta della monòssile, o piroga, che nelle nostre acque è documentata dal Neolitico al Medioevo. In particolare la forma delle monòssili di Passignano, datate al 1200, mostra una coabitazione tra le monòssili stesse e le barche derivate dalle zattere, con una reciproca influenza: la forma della sezione quadrangolare delle monòssili (ad imitazione di quella delle barche di tavole, come nel caso dello zòppolo istriano - dalmata) e, appunto, la mancanza di strutture trasversali di qualche importanza, nel caso delle barche sopra ricordate. Occorre notare inoltre che la sezione quadrangolare delle monòssili di Passignano si ritrova, in epoche molto distanti, a Sarno nell'età del Bronzo, nel Lago di Nemi forse di età romana ed a Bièntina, di età forse altomedioevale, a conferma di una sostanziale uniformità di tipi, che pare accompagnare quella delle barche antiche (come la barca H di Pisa) e tradizionali di tavole dei nostri laghi.


- Fugura 8a. Ricostruzione di una barca a fondo piatto, tipo barca H di Pisa, da lampade etrusche (Vulci, Veio) e da pitture vascolari attiche.

Questo non vuol dire che non vi fossero soluzioni diverse e difatti troviamo monòssili con lo scafo a sezione tonda nel Lago di Bracciano fin dal neolitico e di Bolsena in età del bronzo e poi simili scafi si ritrovano nelle le terrecotte villanoviane ed etrusche (figura 8a, figura 8b e figura 8c), nella la barca di Pisa F, ad esse paragonabile, o nella monòssile del Sasso di Furbara (Cerveteri), che ha uno scafo accuratamente carenato. Questi scafi a sezione tonda appaiono, a prima vista, di tipologia più antica di quelle con sezione rettangolare e si riconducono più tardi alla navigazione mediterranea, la stessa che in età romana ha portato tipi di barche evoluti sui laghi di Piediluco e di Nemi (ad accompagnare le due grandi navi), oltre che sul medio e basso corso del Tevere.


- Fugura 8b. Ricostruzione di una barca a fondo tondo, tipo terrecotte di Capena e Falerii e barca F di Pisa.

Nelle figure 8a, 8b e 8c sono indicati tre tipi ascrivibili all'età proto etrusca e che ci riportano appunto ai due filoni evolutivi accennati: la barca di tavole a fondo piatto, con le sue sinergie con le monòssili, il suo paragone con simili evoluzioni avvenute in Sardegna e sul Mare Egeo, e poi la barca a fondo tondo, altrettanto collegata con l’evoluzione dalla monòssile, come i modelli di terracotta di Capena e la barca F di Pisa, ma anche legata ai tipi marittimi, come nel caso dell’ipotesi sulla barca dell'olla di Bisenzio.


- Fugura 8c. Ricostruzione di una barca a scafo tondo, del tipo raffigurato sull’olla di Bisenzio.

Ma se per i tipi di piccole dimensioni è possibile identificare un percorso evolutivo abbastanza lineare, dalla zattera e dalla monòssile, o con interazione di entrambe, è meno documentata, ad esclusione del Trasimeno, la posizione e talvolta anche la natura delle barche di dimensioni maggiori, o di quelle riconducibili alle costruzioni navali colte. Di queste ultime, come accennato, abbiamo suggerimenti interessanti di età romana (Piediluco, Nemi) e moderna (Sec. XVII - XIX a Roma), fino alla sostanziale uniformità di tipi imposta sull’Arno dai cantieri di Limite, agli elementi colti riconoscibili nel barchino di Fucecchio e nel navicello livornese.

Sul Lago di Bracciano è documentata, nel primo Novecento, una barca di dimensioni fino agli 11 metri di lunghezza, che era molto simile alla barca del Lago di Bolsena, ma di dimensioni maggiori e con la struttura simile, cioè troviamo anche qui un rapporto con la barca, simile a quello che c'era sul Trasimeno tra la il barchètto del gorro ed il navigiuolo.

In questo caso è utile accennare al fatto che sul Lago di Bolsena, diversamente dagli altri laghi, e dalla maggior parte dei fiumi, si usava una vela tarchia semplificata e stesa tra l’albero (puntòne) e la struzza (puntoncèllo) ; è un aspetto unico, che riporta ad epoche antiche come l’età romana. Tale vela tarchia era usata anche sul basso corso dell’Arno e sul Lago di Massaciuccoli dai barchètti e dai navicèlli, mentre ad Orbetello e sul basso corso del Tevere si usava la vela latina. La vela tarchia pare provenire dal Mare Tirreno, dove era comune: la si trovava appunto con continuità dal Mar Ligure alla Sicilia e sul Mare Jonio, mentre non compare sull’Adriatico.

Riguardo al sistema di voga, sul Trasimeno e sul Lago di Bolsena si usava una voga asimmetrica, con uno scalmo indietro a sinistra e due scalmi a destra a metà barca; se ne trova qualche esempio anche sul Lago di Bracciano, quando la tipologia di barca, di dimensioni medio-grandi, è simile a quella del Lago di Bolsena. In atre parti d’Italia troviamo questa voga solo sul Lago d'Iseo ed ancora non è chiaro il motivo di tale distribuzione.

Mentre il discorso navale tecnico e culturale per gli ultimi 500 anni, è abbastanza uniforme e lineare sui nostri laghi, anche quando il ferro sostituì il legno dopo la seconda guerra mondiale, la situazione si complica quando si esamini la situazione dei fiumi. Vi sono, a macchia di leopardo, ambienti costruttivi affini a quelli dei laghi vicini, con l'uso di barche dei laghi sul fiume, ma anche manifestazioni diverse. La ricerca è complessa, in quanto, ad esempio è ancora difficile identificare cantieri fissi da cui trarre informazioni di prima mano; l'argomento dei costruttori e dei cantieri è ancora da approfondire, in quanto molti sono scomparsi (come Roberto Baldoni di Tuoro) e nei documenti storici difficilmente compaiono. Inoltre alcune diversità strutturali delle imbarcazioni suggeriscono l'opera di maestri d’ascia itineranti, ad esempio, dai cantieri dell’Arno e da quelli del basso Tevere; in altre situazioni, come attorno ad Umbertide, sui laghi di Bolsena e di Bracciano, vi è stata una semplificazione dei sistemi costruttivi da parte di falegnami, o di fabbri, per gli scafi in ferro, piuttosto che di costruttori di barche professionisti.

Di queste diversità si possono indicare alcune linee (figura 1).


- Figura 1. Carta dei tipi navali tradizionali delle acque interne in Italia Centrale. L'estensione alla Romagna è per sottolineare la profonda differenza tra la battana romagnola e quella tra il Tevere e il Lago di Bracciano.

Barche grandi: l’ultima studiata è la barca alla Barcaccia di Valfabbrica, sul Chiascio, che è affine alle navi da traghetto dell’Arno (Nave a Rovezzano, Nave a Brozzi, ... ). Altre imbarcazioni da traghetto di dimensioni medio - grandi erano usate sul basso corso del Tevere e si chiamavano scafe, la cui natura poteva essere diversa in funzione dei diversi apporti tradizionali che si intersecavano lungo il corso del fiume. Di questi abbiamo dai disegni e dai dipinti che risalgono fin dai tempi del Ghirlandaio alla Cappella Sistina, e poi dal Van Wittel, dal Piranesi, dal Roesler Franz e dagli scritti del Guglielmotti. Corollari a questi documenti sono le raffigurazioni di Foiano della Chiana e di Deruta, che mostrano una presenza capillare di queste barche medio - grandi anche in ambienti molto più a monte della capitale.

Barche analoghe a quelle del Trasimeno: attorno ad Umbertide (Collepepe), traghetto di Marsciano che impiegava una barca simile al barchètto del gorro del Trasimeno. Un esemplare simile è segnalato negli anni '80 sul Tevere a valle di Roma.

Barche "quadrate" con struttura semplificata: Alta Valle Tiberina, sia di legno, che di ferro (Ramiro di Umbertide, e Umbertide), con forme tendenzialmente quadrangolari. Dopo la guerra si è diffuso l'uso di barche di ferro (come nel caso del Lago di Bolsena), spesso con la forme delle barche tradizionali, ma altre volte recuperate da attrezzature militari o costruite come dei cassoni.

Distribuzione dei tipi barca e battanatra il Lago di Bracciano, il Tevere a Roma ed il Lago di Albano. La barca simile a quella di Bracciano si trova sul Lago di Albano e si ha l'impressione che essa sia stata lì la barca più propriamente tradizionale. Ne vidi alcuni esemplari nel 1999 a Catelgandolfo, ridotti allo stato di relitto e semiaffondati, e un'intervista presso la Cooperativa Catarci di qualche anno prima ha confermato che i tipi usati per la pesca erano sostanzialmente due: la barca e la battana. Di quest'ultima è stato riferito il nome di battàna fiumarola cioè a dire la barca del Tevere con specchi a prua ed a poppa, ma non ne ho visto esemplari sul Lago di Albano. Questa barca del Tevere era sostanzialmente simile a quella di Anguillara Sabazia, ma con scafo in proporzione più basso e largo, più adatto al fiume e la si trovava almeno da Orte alla foce.

Forse una semplificazione analoga a quella avvenuta sul Tevere e la pressione culturale e dialettale esercitata dalla Capitale hanno contributo a fare accettare anche sui Laghi di Bracciano e di Vico la versione di barca con gli specchi (culate) a prua ed a poppa, detta appunto battana, che si differenzia da quella di Roma per le proporzioni più alte e strette e per la maggiore curvatura del fondo. Tra l’altro viene considerata inferiore dal punto di vista nautico, rispetto alla barca di Bracciano con la prua ad asta.

Il riconoscimento di questi filoni passa attraverso la conoscenza delle tecniche costruttive e del vocabolario dialettale delle parti e il caso del Lago di Albano è molto istruttivo in questo senso: la terminologia non è così "limpida" come sugli altri laghi (dal Trasimeno al Sabatino), in quanto è evidente l’influenza dei termini provenienti dall’italiano corrente o dalla terminologia militare. Si trovano parole come sàndalo, lancia, zatterone, che non hanno riscontro nella tradizione.

Ritengo che la scarsa navigabilità del Tevere, con il suo frazionamento degli ultimi secoli, abbia impedito lo stabilirsi di una forte tradizione costruttiva unitaria paragonabile, ad esempio, a quella del Po, per cui ad una tradizione debole si sono sovrapposte infiltrazioni locali di tecniche, tipi e termini forestieri, legati a migrazioni interne o ad altri eventi storici.


- Figura 9. Barche post tradizionali del Lago di Albano - foto Merisio (c.a. 1970).

Si nota quindi, tra i fossili guida, che la giunzione tra il fondo e le sponde, passa dal tipo del Trasimeno, Bolsena e Bracciano (fondo racchiuso dalla sponde) a quello di Valfabbrica o di alcune barche grandi di Roma (sponde appoggiate sul fondo, che sporge leggermente sotto di esse) con una distribuzione, che ora è ancora da approfondire. Ad esempio, a conferma di quanto detto prima sugli influssi "cittadini" sul Lago di Albano, si trovavano, negli anni '70, barche ad uso turistico, simili a quelle tradizionali, ma con il fondo che sporgeva da sotto le fiancate, diversamente da quello delle barca tradizionale (figura 9).

La ricerca continua per esplorare i particolari di questa storia e questa ricerca non potrà essere individuale, ma per produrre risultati dovrà essere approfondita da iniziative coordinate. Le strutture per tale ordinamento ci sono: oltre ai ricercatori individuali vi è l'Atlante Linguistico dei Laghi Italiani, che ha patrocinato la formazione dei Musei di S. Feliciano e di Passignano, vi sono il Museo della Navigazione di Capodimonte (VT) e il Museo "Augusto Montori" di Anguillara Sabazia (RM), che ha in programma il recupero delle barche locali.

È auspicabile un coordinamento tra queste iniziative, attraverso l'ALLI ed anche attraverso un forum sul sito internet dell’Associazione Recupero Barche Interne Tradizionali (Arbit), che ha ideato questo incontro.

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Illustrazioni (i disegni sono tutti dell'autore)

Figura 1: Carta dei tipi navali tradizionali delle acque interne in Italia Centrale.
L’estensione alla Romagna è per sottolineare la profonda differenza tra la battana
romagnola e quella tra il Tevere e il Lago di Bracciano.

Figura 2a: Termini dialettali relativi alla barca del lagoTrasimeno.

Figura 2b: Termini dialettali relativi alla barca del lago di Chiusi.

Figura 2c: Termini dialettali relativi alla barca del lago di Piediluco.

Figura 3a: Termini dialettali relativi alla barca del lago di Bolsena.

Figura 3b: Termini dialettali relativi alla barca del lago di Vico.

Figura 4a: Barca del Lago di Bracciano (2004).

Figura 4b: Battàna del Lago di Bracciano (2004).

Figura 5: Barca del Lago di Bracciano (v. Figura 4a).

Figura 6: Battàna del Lago di Bracciano (v. Figura 4b).

Figura 7: Fasi costruttive della barca del Lago Trasimeno.

Figura 8: Ricostruzione di alcuni tipi di barche proto etrusche:
Figura 9: Barche post tradizionali del Lago di Albano (c.a. 1970).

Figura 10 : Barca da traghetto alla Barcaccia di Valfabbrica.

Figura 11: G. Van Wittel, Veduta del Tevere al Ponte Sisto (1681 – 1683).

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Scheda N. 1: Dati della Barca del Lago di Bracciano (vedi Figura 4a e Figura 5)

Tipo di imbarcazioneBarca
LocalitàTrevignano Romano
Lunghezzam. 4,10
Larghezzam. 1,50
Altezza a prua m. 0,63
Altezza a poppam. 0,53
Altezza alla sezione maestram. 0,45
Sporgenza della pruam. 0,60
Sporgenza della poppam. 0,03
Cavallino a pruam. 0,10

Cavallino a poppam. 0,07

Larghezza del fondo piatto (piano)m. 1,10
Numero ordinate4



Distanza tra le ordinatem. 0,70 - 1,0
Spessore delle ordinatem. 0,03
Numero delle traverse6

Sezione dei madieri (traverse)m. 0,025 - 0,09

Distanza tra i madierim. 0,05

Numero dei bagli2 panche
Dimensioni specchio di poppam. 1,10 x 0,70 x 0,45 (L x l x h)
Spessore del fasciamecm. 2,5
Numero dei remi e dimensioni4 lungh. m. 2,60, pala m. 1,20
Pali di spinta numero e dimensionisi usano i remi
AlberiNo
VeleNo
Timone (tipo, dimensioni)No
ManovreRemaggio a remi pari, 2  o in coppia (4), con 2 scalmi
simmetrici per parte
Ancorapietra legata ad una cima, cima di ormeggio legata all'anello
di prua
Legnami impiegatiattualmente mogano e 2 ordinate in ferro, ma in origine:
fasciame: abete, matèi, asta e cianchètti: ulivo e pesco, listone
d’impavesata: pino o larice.
Coloreattualmente rivestita in vetroresina dipinta di bianco e
celeste, in origine nero di pece l’esterno sotto il capodibanda, cinta
bianca, il resto legno naturale
Portata2 - 3 uomini
ImpegnoPesca
Data di costruzionec.a. 1950
ProprietarioRistorante Acquarella
Luogo di costruzioneBracciano
CostruttoreFalegnameria e non cantiere
Sezioni di riferimentoMaestra e specchio di poppa
PosizioneSezione maestra a m. 1,70 dallo specchio di poppa
VarieIl proprietario del ristorante era pescatore, il quale ha
fatto rifare la barca varie volte: alcune strutture devono essere
ricostruite archeologicamente, ma l’impianto tradizionale è rimasto
Allegati3 fotografie; 2 schizzi
Disegni rielaboratiN° 1, Figura 5
Data del rilevamento9 luglio 2004
RilevatoreM. Bonino
Data30 aprile 2013


- Figura 4a. Barca del Lago di Bracciano (2004).


Scheda N. 2: Dati della Battàna del Lago di Bracciano (vedi Figura 4b e Figura 6)

Tipo di imbarcazioneBattana
LocalitàAnguillara Sabazia
Lunghezzam. 4,05
Larghezzam. 1,40
Altezza a prua m. 0,70
Altezza a poppam. 0,72
Altezza alla sezione maestram. 0,50
Sporgenza della pruam. 0,03
Sporgenza della poppam. 0,03
Cavallino a pruam. 0,14
Cavallino a poppam. 0,12
Larghezza del fondo piatto (piano)m. 1,10
Numero ordinate4 (5?)
Distanza tra le ordinatem. 0,50 - 1,0
Spessore delle ordinatem. 0,03
Numero delle traverse6
Sezione dei madieri (traverse)m. 0,09 - 0,025
Distanza tra i madierim. 0,50
Numero dei bagli2 panche
Dimensioni specchio di poppam. 1,10 x 0,70 x 0,47 (L x l x h)
Dimensioni specchio di pruam. 0,65 x 0,45 x 0,46 (L x l x h)
Numero dei remi e dimensioni4 lungh. m. 2,60, pala m. 1,20
Pali di spinta numero e dimensionisi usano i remi
AlberiNo
VeleNo
Timone (tipo, dimensioni)No
ManovreRemaggio a remi pari, 2  o in coppia (4), con 2 scalmi
simmetrici per parte
Ancorapietra legata ad una cima, cima di ormeggio legata all'anello
di prua
Legnami impiegatiAbete per il fasciame (coperto dal rivestimento in
vetroresina), i madieri e le ordinate in origine erano di ulivo e di
pesco. Pino o larice per il listone dell’impavesata e per i sostegni
delle panche (probabilmente). Ora ci sono 4 ordinate in ferro
ColoreOra vetroresina verniciata in celeste e bianco, in origine
nero di pece l’esterno sotto il capodibanda, cinta bianca e il resto
legno naturale.
Portata2 - 3 uomini
ImpegnoPesca
Data di costruzionec.a. 1960
Luogo di costruzioneAnguillara Sabazia
CostruttoreFalegnameria e non cantiere
Sezioni di riferimentoMaestra e specchio di poppa
PosizioneSezione maestra a m. 1,70 dallo specchio di poppa
VarieFasciame spesso 2,5 cm; sezione della cinta: cm 8 x 1; ordinate larghe 2,5 cm all’impavesata
AllegatiFotografie N. 3; schizzi N. 2
Disegni rielaboratiN° 1, Figura 6
Data del rilevamento10 luglio 2004
RilevatoreM. Bonino
Data30 aprile 2013


- Figura 4b. Battàna del Lago di Bracciano (2004).

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Le grandi imbarcazioni tradizionali in uso al Lago di Perugia nella pesca dei tori tra Quattro e Cinquecento

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di Ermanno Gambini

Incontro: Storia di barche, Castiglione del Lago, 18 maggio 2013

I pescatori del Lago Trasimeno utilizzano oggi una sola tipologia di imbarcazione a fondo piatto, realizzata in materiale plastico, in anni recenti, in due modelli, leggermente diversi tra loro per dimensione e forma, che richiamano quelli tradizionali. Queste barche sono condotte a motore fuoribordo o, in genere, a 2 remi. La scalmiera (in gergo cavijjóne), collocata presso la poppa (utilizzata per muovere il remo, allo stesso tempo per guidare e spingere), è collocata, in genere, sulla sponda destra (tranne che a Passignano e ad Isola Maggiore dove la troviamo inserita sulla sponda sinistra); la scalmiera centrale (utilizzata per spingere) si trova sulla sponda opposta.


- La nave, da un disegno di Matteo dall’Isola (vedi la figura n. 8).

Nel primo Novecento navigavano sul lago ben 5 modelli di imbarcazione realizzati con tavole di legno, a fondo piatto, diversi per dimensione, legati a funzioni e ad ambienti diversi, ma tutti derivati da una zattera (in gergo uscio), simile appunto ad una porta, con tavole longitudinali tenute insieme da assi trasversali (i dragóni), a cui erano poi collegate le altre componenti.

I barchini, che Matteo dall’Isola nella sua opera Trasimenide del 1537, chiama lintres, sono rimasti in uso fino ad anni recenti. Venivano utilizzati sui bassi fondali e all’interno dei canneti e mossi da un uomo solo, facendo forza sul fondo del lago con un palo o un remo (remata a puntóne o a pignóne). Erano lunghi non più di 4 m, con sponde basse e prua poco rialzata (figura n. 1). Negli anni Cinquanta e Sessanta del secolo scorso, quando ebbe termine la produzione delle barche tradizionali, il legno impiegato era, in genere, il larice. Le tavole, molto leggere, avevano uno spessore di circa 2 cm.


- Figura 1. Prospetto e pianta di un barchino. Disegno di E. Pasquali – Passignano sul Trasimeno

La barca a due remi, che Giannantonio de Teolis, detto il Campano, nella sua epistola Thrasimeni descriptio, del 1458, chiama caravella piccola, è rimasta in uso fino ad anni recenti. Lunga m 4,70-5,00 (figura n. 2), negli ultimi decenni della sua produzione artigianale era composta di tavole leggere di larice di cm 2,50 di spessore. Queste barche, condotte da uno o due uomini, non erano ritenute sicure per attraversare il lago.


- Figura 2. Prospetto e pianta di una caravella piccola. Disegno di E. Pasquali – Passignano sul Trasimeno.

Le barche spinte da 2 o 3 remi, in uso anch’esse fino a pochi decenni or sono, vengono chiamate dal Campano caravelle grandi. Leggermente più ampie delle precedenti, raggiungono la lunghezza di m 5,50-6,00 m (figura n. 3). Vengono utilizzate per spostamenti più lunghi e per operazioni in cui è necessaria maggiore stabilità e capacità di carico.


- Figura 3. Prospetto e pianta di una caravella grande. Disegno di E. Pasquali – Passignano sul Trasimeno.

Nei primi decenni del secolo scorso erano ancora presenti al Trasimeno barconi realizzati con spesse tavole di quercia, le navi. Essi erano utilizzati per il trasporto dei materiali pesanti, delle persone e soprattutto per la pesca delle lasche nei pòrti (in gergo pesca-nave). Gli impianti fissi di cattura erano costituiti da lunghi corridoi d’acqua, perpendicolari alle rive, prospicienti gli abitati di Passignano, Torricella, Monte del Lago, S. Feliciano e La Frusta, chiusi ai lati da due palizzate di tronchi, ricolmi nel mezzo di strati di fascine di quercia e di erica, dove in inverno questa specie cercava riparo in gran numero. Le navi erano lunghe circa 10 m (figura n. 4) e presentavano una prua molto rialzata (2 m e oltre). Sulla testa delle sponde erano inchiodate una serie di assi. Su questi soprasponda erano presenti dei fori verticali ove venivano inserite delle staffe di forma cilindrica che costituivano il fulcro della manovra dei remi, lunghi m 4,50.


- Figura 4. Prospetto e pianta di una nave ottocentesca. Disegno di E. Pasquali – Passignano sul Trasimeno.

Imbarcazione di stazza intermedia, lunga circa m 7,00-7,50, era il barchétto del górro, necessario allo svolgimento della pesca con la grande rete a strascico in uso al Trasimeno sino alla metà degli anni Trenta del secolo scorso, da cui prendeva il nome. Il barchétto era costruito allo stesso modo della nave (figura n. 5), con la prua rialzata, ma con tavole di 4,00-4,50 cm di spessore. Come la nave, anche questa barca intermedia era in grado di affrontare la navigazione sul lago aperto e lo faceva con maggiore maneggevolezza e celerità.


- Figura 5. Prospetto e pianta di un navigiolo/barchétto del górro. Disegno di E. Pasquali – Passignano sul Trasimeno.

Nel primo Cinquecento, e probabilmente fino alla fine del secolo, sul Trasimeno navigavano le imbarcazioni utilizzate nelle varie fasi di una grande pesca con impianti fissi per la cattura del pesce grosso (tinche, lucci e anguille) praticata al lago già nell’Alto Medioevo.


- Figura 6. Prospetto e pianta di una nave del primo Cinquecento. Disegno di E. Pasquali – Passignano sul Trasimeno.

Grandi mucchi di fascine di quercia e rovere, di forma simile ad una piramide, venivano accatastati sul fondo del lago, a poche centinaia di metri dalle rive, per attrarre in inverno i pesci: erano chiamati tori. Questo nome deriva dalla voce latina torus, -i: in origine significava ‘protuberanza, rigonfiamento’, nel Medioevo assunse il significato di ‘collicello, piccolo rilievo’, in questo caso subacqueo. In estate, soprattutto tra luglio ed agosto, questi fasci, dopo essere stati appesantiti affogandoli nell’acqua bassa lungo il litorale, venivano caricati su dei barconi a fondo piatto lunghi 11 m e larghi sino a 3,50 (figura n. 6). Ogni Compagnia di pescatori di tori era composta da 8 uomini di fatica e da un capo barca (navarca). Gli uomini dovevano caricare la propria nave 12 volte per reinfrascare i 50-60 tori di loro competenza, aggiungendo nuove fascine verdi a quelle rimaste sul fondo del lago dall’anno precedente. Matteo dall’Isola scrive che quanto le navi cariche si muovevano lentamente verso il largo sembrava che delle isole galleggiassero sull’acqua.


- Figura 7. Prospetto e pianta di una nave di grande stazza del primo Cinquecento. Disegno di E. Pasquali – Passignano sul Trasimeno.

In inverno si svolgeva la pesca vera e propria. Ciascun equipaggio partiva dagli approdi che era ancora buio. La nave portava a rimorchio un navigiolo, ovvero un’imbarcazione analoga per forma, ma più piccola e maneggevole della prima, utilizzata di supporto durante le complesse e faticose operazioni compiute dall’equipaggio (figura n. 5) che, come vedremo meglio in seguito, corrisponde al già citato barchétto.

La pesca di un toro richiedeva un’intera giornata di lavoro. I pescatori scioglievano le funi dell’ormeggio quando era ancora notte, al lume delle torce, per raggiungere all’alba lo spazio d’acqua ove si trovavano i propri tori sommersi. Il navarca scendeva sul navigiolo e guidava i rematori al fine di individuare la posizione precisa del mucchio prescelto per la pesca del giorno. Egli doveva ritrovare i riferimenti che a suo tempo furono presi a vista e appuntati in un quadernuccio. Egli aveva incolonnati, lungo almeno due direttrici ortogonali, un riferimento vicino (un albero sulla riva) e uno lontano, sullo sfondo (una torre) (figura n. 8). Questa operazione era detta in gergo prendere l listro (ovvero le mire). Il metodo era molto preciso. Bastava scostarsi di pochi metri dal punto di incrocio per non vedere più allineate le coppie dei riferimenti. Il navarca, preso bene l listro, calava nell’acqua una lunga pertica saggiando le proporzioni del toro. Se con il suo legno, toccando le fascine, coglieva un fremito, un tremore, era questo un buon segno: poteva significare che la catasta dei fasci era frequentata da molto pesce. Il capo barca chiamava allora i compagni. Il grande barcone, con tutte le attrezzature (pali, pertiche, reti, aste uncinate, rastrelli, forche, ganci...) raggiungeva il luogo indicato: la pesca poteva avere inizio.


- Figura 8. Pianta di un toro da pesca nel primo Cinquecento con i riferimenti a terra necessari alla sua individuazione. Fase dello smantellamento del mucchio delle fascine che vengono caricate sulla nave. Disegno di Matteo dall’Isola, tratto dalla sua opera Trasimenide del 1537. (Biblioteca Augusta di Perugia, ms. 1085, II Libro, 62 r.).

Le sue varie fasi erano molto lunghe e faticose, da compiere in un ambiente ostile e con un clima rigido. Il mucchio delle fascine, con il suo contenuto di pesci, veniva circondato piantando profondamente nel fango del fondale una serie di robusti pali. Gli uomini infiggevano profondamente nei legni dei ganci di ferro dalla parte rivolta verso il toro. A circa mezzo metro di altezza, fuor d’acqua, vi appendevano poi due grandi reti di canapa a maglie molto strette, chiamate travencole o travencule, alte circa 9 m e lunghe in totale quasi 80, che cucivano tra loro con una cordicella di giunco. L’altra estremità di esse, legata in più punti con delle funi, veniva fatta scendere lungo i pali e in parte distesa sul fondo del lago. Le corde erano poi appuntate alle altre pertiche che componevano la seconda palizzata circolare, di diametro inferiore alla prima, che i pescatori avevano piantato ad alcuni metri di distanza.

Fatto questo, il cumulo dei fasci veniva smantellato completamente; gli uomini accatastavano più volte le fascine grondanti d’acqua sulla nave e poi le gettavano al di là dei tronchi del circuito esterno. Si costruiva così la base del toro per l’anno successivo. Intanto i pesci, impauriti, schizzavano via in ogni direzione, ma non potevano uscire dalla camera di rete.

Sulla sommità dei pali del circuito esterno i pescatori avevano legato delle fascine. Era questo il momento per farle discendere a mezz’acqua. I pesci potevano ritrovare così, nel volgere di poche ore, intorno a queste fronde, un ambiente a loro noto e si calmavano disponendosi lungo la rete. Intanto gli uomini, saliti tutti sul navigiolo, erano usciti dal circuito e, toccata terra, avevano acceso il fuoco; mentre si asciugavano le vesti e si riscaldavano le membra gelate, i pescatori consumavano un frugale pasto.

Nel pomeriggio tutti rientravano all’interno dell’impianto da pesca, disponevano le imbarcazioni nello spazio centrale, lungo la palizzata interna, e poi sollevavano rapidamente le funi e con essere la rete che fermavano ai pali. Il pesce era così tutto racchiuso all’interno di un’enorme borsa circolare (figura n. 9).

Mentre la nave veniva fatta entrare tra le due palizzate e gli uomini recuperavano la rete staccandola dai ganci posti sui pali, dal navigiolo di pensava a tirar fuori dall’acqua le fascine che erano state calate in precedenza. Il circuito di rete pian piano si riduceva e il pesce era costretto in uno spazio sempre più esiguo.


- Figura 9. Pesca dei tori. Con il sollevamento del lembo sommerso della rete, si forma una borsa circolare con tutto il pesce contenuto all’interno. Ricostruzione in un acquerello di E. Pasquali (da Gambini, Pasquali 1996).

Alfine, entrambe le imbarcazioni si stringevano. Il pesce saltava e l’acqua ribolliva nell’esaltazione generale. Gli uomini, a più impulsi, travasavano con attenzione le prede in un sacco di rete, il mutilo. Dopo aver smontato le palizzate, i pescatori tornavano finalmente verso casa portando legata alla poppa del barcone la sacca con i pesci catturati. Era ormai il tramonto quando scendevano a terra; subito travasavano i pesci in dei grandi cestoni di vinco, i bacai, che consentivano di mantenerli alcuni giorni vivi nell’acqua fino al momento della loro destinazione; stendevano poi le reti ad asciugare. Solo allora potevano mangiare e riposare, sognando -scrive Matteo- le catture del giorno seguente. Stanchi com’erano non potevano nemmeno godere dei piaceri coniugali.

Nella sua lettera a Pandolfo Baglioni il Campano afferma che erano presenti sul lago 40 navi e 2.000 tori. Matteo scrive che intorno al 1480, ai tempi di Papa Sisto IV, il numero delle navi e delle relative Compagnie era sceso a 36 (12 navi e relativi equipaggi aveva I. Maggiore, 8 Passignano e I. Polvese, 2 Zocco, 4 Monte del Lago e 2 S. Feliciano), mentre ai suoi tempi la flotta dei barconi del lago era ridotta a 30 elementi. Il livello del lago nei primi decenni del Quattrocento era salito notevolmente mettendo in difficoltà i pescatori. Occorrevano pali sempre più lunghi e reti sempre più grandi per cingere il toro. La tendenza in atto era quella di ridurre il numero delle strutture, ingigantirle e avvicinarle a terra. Il letterato laghigiano scrive che ai suoi tempi si costruivano navi ampie fino a 5 m e mezzo (figura n. 7), delle vere e proprie chiatte. Serviva evidentemente una capacità di carico maggiore. Gli impianti da pesca raggiunsero a quel tempo un diametro di circa 26-27 m; i pali utilizzati erano lunghi 10 m, dei veri tronchi d’albero. In questi tori -riferisce sempre Matteo- non era difficile compiere catture di 5.000 libbre di pesce (16,50 q). Le fatiche dei pescatori divennero alfine insostenibili.

Nel 1580 fu stampata una carta del territorio perugino del grande geografo e matematico Ignazio Danti. Davanti Passignano troviamo rappresentati gli impianti dei tori (figura n. 10). È l’ultima volta che ne abbiamo notizia. Probabilmente, durante la grande piena conosciuta dal lago sullo scorcio del Cinquecento, che durò ben 12 anni ed ebbe il suo culmine nel 1602 (figura n. 11), questa pesca non venne più praticata. La sua memoria è solo negli antichi documenti; la tradizione orale la ignora.



- Figura 10. Danti, I. (1580), Descrittione del territorio di Perugia Augusta et dei luoghi circonvicini del P. M. Egnazio Danti da Perugia matematico dello Studio di Bologna (dimensioni mm 620x800, incisione su rame). La carta fu pubblicata a Roma nel 1580 da Mario Cartaro, su rilievi compiuti nel 1577 da Ignazio Danti. Viene qui presentata solo una porzione del Lago Trasimeno, con in primo piano il litorale di Passignano ove è stata ricostruita dall’autore, in modo schematico, la pianta dei tori subacquei.

Nel corso del Seicento Isola Maggiore, che era stato il centro peschereccio principale per la pesca dei tori, perse gran parte della sua popolazione; Isola Polvese, anche per cause di guerra, si spopolò completamente. Tante attrezzature da pesca nel 1643, durante la Guerra di Castro, furono rovinate e distrutte. Avvenne un vero terremoto nella gerarchia dei centri pescherecci del lago. San Feliciano, prima centro minore, divenne il principale per la cattura del pesce grosso. Poteva contare, infatti, sulla profonda insenatura sud-orientale del lago, nota come La Valle, ove erano presenti gli unici impianti fissi rimasti per la cattura delle anguille, e a tempo debito anche dei lucci e delle tinche, le arèlle.

Questo sconvolgimento coinvolse in parte anche la navigazione sul lago. Finita la pesca dei tori, le navi gigantesche del Cinquecento furono in breve abbandonate. Rimasero in uso solo imbarcazioni idonee al trasporto dei materiali e alla pesca nei pòrti alle lasche che non necessitavano di grande stazza. I barconi utilizzati per questa pesca, di cui abbiamo documentazione tra Otto e Novecento, avevano una lunghezza di 10 m e una larghezza massima di 2 m e mezzo.


- Figura 11. Perusiae Augustae vetustate originis, gloriaq. Armorum ac litterarum clarissime imago a Livio Eusebio Perugino diligenter expressa et in aere incisa A. D. MDCII. La carta del 1602 di Livio Eusebio Perugino fu edita e ridisegnata da Alessandro Bellucci e da Aldo Borrello nel 1904-1906. Si presenta qui solo la porzione che concerne il Trasimeno Il perimetro esterno del lago, con le sue espansioni nelle bassure di Borghetto e Panicarola, corrisponde al livello raggiunto al culmine della più grande piena conosciuta dal Trasimeno in epoca storica, appunto nell’anno 1602. Il secondo giro, più interno e segnato in modo più marcato, si riferisce al livello medio delle acque nel periodo.

Del navigiolo si perse il nome, ma non l’uso, legato ormai soprattutto alla pesca con la grande rete a strascico. Questa imbarcazione intermedia, nominata già nei documenti perugini del sec. XIII e XIV, ha avuto continuità di utilizzo sino al primo Novecento. Un esemplare, trasformato per diporto, è ancora visibile davanti all’ingresso del Museo della pesca di San Feliciano.

Ma andiamo a scoprire -grazie sempre a Matteo dall’Isola- qualche ulteriore dettaglio sull’imbarcazione principale utilizzata nella pesca dei tori. La nave era costruita con spesse tavole di pino. Il letterato di Isola Maggiore disegna il barcone nella sua opera Trasimenide e scrive che ne riproduce le forme in modo preciso (figura n. 8). La nave del Trasimeno aveva il fondo piatto (non a forma di ventre come le imbarcazioni marine) che le conferiva buona stabilità e capacità di carico, favorita da una poppa bassa e ampia, che chiamavano sgabello, un comodo sedile per le fanciulle. Le sponde erano alte non più di 2 piedi (73 cm circa). La connessione tra le spesse tavole che le costituivano era ottenuta con anse di ferro che garantivano stabilità per molti anni. La prua, molto lunga e stretta, sorgeva come un arco teso ed era fornita anteriormente di un rostro appuntito ove venivano raccolte spire di funi.

Alla base della prua spuntavano su entrambe le sponde delle forme ricurve, simili a grandi “orecchie”. La loro funzione non è chiara. Forse servivano da appoggio, ma la presenza di analoghe protuberanze di dimensioni ridotte presso la sommità della prua farebbe pensare piuttosto ad una decorazione con significato simbolico, che in effetti si è tramandata fino al secolo scorso ed è presente in tutte le imbarcazioni di stazza media e grande (barchétti del górro e navi).

Gli scalmi erano 4, disposti 2 per sponda, fatti di legno, ben arrotondato, della forma di ampie forche rovesciate. Essi venivano inseriti a forza e assicurati battendoli con delle pietre entro dei grossi fori realizzati ogni due piedi, probabilmente all’interno di spessi e ampi soprasponda. Questo sistema consentiva di spostare la posizione dei remi a seconda di quella del carico.

I remi, lunghissimi, erano fermati agli scalmi con degli stroppi di forma circolare, fatti con una treccia di fusti, a sezione triangolare, di giunco quadréllo (Scirpus maritimus), che galleggiava perfettamente nell’acqua ed era possibile facilmente recuperare. Gli uomini di fatica, addetti alla manovra, facevano forza in 2 su ogni remo tirandolo a sé.


- Figura 12. Barcone di Isola Polvese. Semina di avannotti di coregone, 5 febbraio 1937. Dal visione di fianco emerge la notevole lunghezza dell’imbarcazione, la prua molto rilevata con le caratteristiche “orecchie” emergenti alla base e alla sommità. Proprietà foto Famiglia Danesi, Castiglione del Lago.


- Figura 13. Barcone di Isola Polvese. Semina di avannotti di coregone, 5 febbraio 1937. Si noti come la poppa sia molto bassa. Proprietà foto Famiglia Danesi, Castiglione del Lago.


- Figura 15. Barcone di Isola Polvese. Semina di avannotti di coregone, 5 febbraio 1937. Si notino le cuciture con grappe di ferro presenti tra le tavole della sponda.cProprietà foto Famiglia Danesi, Castiglione del Lago.


Un barcone di questa stazza è stato utilizzato nel secolo scorso dai proprietari dell’Isola Polvese ove è rimasto sino agli anni Ottanta. Nel 1937 con esso fu compiuta la semina degli avannotti di coregone vicino ad Isola Polvese e ad Isola Maggiore da parte del Consorzio pesca e acquicoltura del Trasimeno, diretto a quel tempo da Enelindo Danesi di Castiglione del Lago. Le foto che vengono presentate (figura n. 12; figura n. 13; figura n. 14 e figura n. 15) ci restituiscono un’imbarcazione che corrisponde quasi perfettamente a quella descritta da Matteo dall’Isola 400 anni prima. Manca il rostro e per quanto concerne la scalmatura troviamo dei fori isolati sui soprasponda ove venivano inserite le staffe. La capacità di carico di questo barcone era veramente notevole. Accoglieva la macchina per battere il grano o il carro agricolo con una coppia di buoi e l’intero carico di sacchi pieni di cereali. Coloro che hanno visto partire dalla riva il barcone di Isola Polvese ricordano che i primi colpi di remo non riuscivano a metterlo in movimento; solo dopo ripetuti sforzi l’imbarcazione cominciava a muoversi in modo appena percettibile. Sono molto evidenti dalle foto le grappe di ferro che cucivano le tavole delle sponde, la prua molto rilevata e la poppa bassa che favoriva il carico e lo scarico dei materiali. Lo spessore del legname utilizzato raggiungeva la misura di almeno 8 cm. Il soprasponda era composto da assi ampie 15-20 cm e lunghe 100 circa.


- Figura 14. Barcone di Isola Polvese. Semina di avannotti di coregone, 5 febbraio 1937. Si noti l’ampiezza dell’imbarcazione e la presenza di fori per staffe sul soprasponda. Proprietà foto Famiglia Danesi, Castiglione del Lago.

I soprasponda dei barconi del Cinquecento erano certo ancora più robusti, visto che dovevano accogliere non i piccoli fori delle staffe ma quelli più ampi necessari ad inserire le forche rovesciate di legno, e sopportare l’azione di remi molto lunghi, tirati ciascuno da 2 uomini.

Della nave otto-novecentesca, come abbiamo detto, inferiore per stazza a quella del Cinquecento, sono disponibili molte foto, facili da trovare nelle pubblicazioni sul Lago Trasimeno (figura n. 16; figura n. 17 e figura n. 18).


- Figura 16. Passignano sul Trasimeno, 8 luglio 1908, Gare di nuoto. In primo piano una nave per la pesca nei pòrti alle lasche, colma di spettatori. Si notano le caratteristiche cuciture che tengono insieme le tavole delle sponde e le grandi "orecchie" che emergono alla base della prua. Cartolina della serie "L'Umbria Illustrata" di Tilli-Giugliarelli di Perugia. (Da Mormorio, Toccaceli 1990: 3).


- Figura 17. Nave di fine Ottocento in partenza da un molo in pietra di Isola Maggiore con 5 remi in acqua.
Foto Fratelli Alinari, Firenze, agosto 1896. (Da Mormorio, Toccaceli 1990: 86).



- Figura 18. Nave di fine Ottocento ormeggiata presso Monte del Lago. Particolare della prua. Foto Giugliarelli, primi anni Dieci del Novecento. (Da Mormorio, Toccaceli 1990: 50).


Figura 19. Navigiolo/barchétto ormeggiato presso un molo doppio in pietra dell’Isola Minore. Foto di anonimo, 1910 ca. (Da Mormorio, Toccaceli 1990: 13).

Quanto poi al barchétto del górro (ex navigiolo) ne possiamo osservare con un buon dettaglio un bell’esemplare, adattato per il trasporto delle persone, in una foto di circa un secolo fa, presa al molo doppio in pietra di Isola Minore (figura n. 19). Per le ragioni suesposte quello che vediamo non dovrebbe essere molto diverso da un navigiolo in uso nel Basso Medioevo o all’inizio dell’Età Moderna. È interessante soprattutto la scalmatura che presenta: abbiamo due grandi cavijjóni accoppiati con relativi ròcci e remi inseriti sulle due sponde presso l’attacco della prua, utilizzati per la remata in croce. Si notano poi dei soprasponda dove sono inserite due staffe, una a metà circa della sponda destra, l’altra presso la poppa sull’angolo sinistro, nella posizione tipica che troviamo nelle barche di Passignano e di Isola Maggiore. Sono ben evidenti anche le caratteristiche coppie di “orecchie” che emergono prima dell'attacco della prua e alla sua sommità. L’immagine successiva (figura n. 20), che si riferisce al litorale di Passignano, è coeva alla precedente. Vediamo al centro un barchétto del górro ormeggiato a riva e sulla destra, presso il pontile, il sacco terminale (codelo) di un górro appeso ad asciugare. L’ultima foto, del 1908 (figura n. 21), mette a confronto la stazza delle navi otto-novecentesche con quella dei barchétti del górro (ex navigioli).



Figura 20. Navigiolo/barchétto ormeggiato sul litorale di Passignano. Cartolina della serie "L'Umbria Illustrata" di Tilli-Giugliarelli di Perugia, 1910 ca. (Collezione privata Foto GIM, Passignano sul Trasimeno).

Invito caldamente l'Associazione Arbit di Castiglione del Lago, che ha promosso questo incontro, a valutare l'opportunità di ricostruire in scala 1:1 le imbarcazioni utilizzate nella pesca dei tori nel primo Cinquecento. I dati forniti dal Campano e soprattutto da Matteo dall'Isola, insieme al ricco patrimonio fotografico relativo ad imbarcazioni della fine dell'Ottocento e del primo Novecento che -come abbiamo visto- differiscono molto poco da quelle che navigavano 4 secoli prima, sono sufficienti a garantire il successo di questa impresa. La nave e il navigiolo del Cinquecento potrebbero fare bella mostra di sé presso la ricostruzione, sempre in scala 1:1, di un toro del primo Cinquecento, che è in programma negli spazi esterni del complesso museale dell'ex aeroporto Eleuteri di Castiglione del Lago. L'attività di un piccolo cantiere rivestirà un grande interesse dal punto di vista didattico: l'idea di "museo diffuso", a cui si pensa per valorizzare le opportunità offerte dal territorio del Comune di Castiglione del Lago, troverà qui un’ottima occasione per recuperare antichi mestieri e far conoscere attività e tecniche tradizionali di costruzione e di remeggio proprie del Lago Trasimeno, coinvolgendo appassionati e pescatori locali.

Ringrazio per la collaborazione offerta Giorgio Giorgini dell'Associazione ARBIT di Castiglione del Lago e Claudio Marinelli di S. Feliciano.



Figura 21. Passignano sul Trasimeno, 8 luglio 1908, Gare di nuoto. Al centro dell’immagine una serie di navigioli/barchétti, a destra, alcune navi per la pesca delle lasche. Significativo il confronto tra la stazza delle due imbarcazioni. Cartolina della serie "L'Umbria Illustrata" di Tilli-Giugliarelli di Perugia. (Da Mormorio, Toccaceli 1990: 4).

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- Ermanno Gambini; Laura Peruzzi; Marco Bonino e Antonio Batinti a Palazzo della Corgna il 18 maggio 2013.

I luoghi di costruzione navale fra archeologia ed etnologia

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di Laura Peruzzi

Incontro: Storia di barche, Castiglione del Lago, 18 maggio 2013

La cantieristica navale è un argomento per molto tempo considerato secondario rispetto allo studio dei relitti, dei carichi e di tutti gli argomenti classici dell’archeologia delle acque, ed è solo da alcuni anni che le cose stanno cambiando grazie anche ad una serie di rinvenimenti archeologici (navi di Pisa San Rossore e scavo del porto di Olbia) la cui spettacolarità ha contribuito ad aumentare la sensibilità su aspetti specifici della cultura materiale e artigianale di ambito navale. Questi contesti sono infatti i primi in area mediterranea in cui si sono rinvenuti contesti fluviali o marittimi, integri, sigillati da eventi alluvionali (figura 1 e figura 2) .



- Figura 1. Navi di Pisa, fasi di scavo (immagini via Cantiere delle Navi Antiche di Pisa).

Lo studio dei luoghi di costruzione navale, cantieri e arsenali, si è basato a lungo sulle fonti archivistiche, sull’iconografia e sull’etnografia, data la quasi totale assenza di rinvenimenti archeologici in ambito italiano (questo non vale ad esempio per il Nord Europa dove esiste una tradizione di studi già consolidata e numerosi rinvenimenti). I dati d’archivio consentono di conoscere nel dettaglio l’organizzazione interna del lavoro nei cantieri, le figure coinvolte, gli aspetti legislativi, ma anche elementi tecnici come le tipologie di imbarcazioni, le misure, i committenti, l’approvvigionamento di materie prime, la dislocazione dei cantieri in un dato territorio, e talvolta ci aiutano ad avere un’idea della struttura fisica dell’edificio-cantiere.


- Figura 2. Navi di Olbia, fasi di scavo (immagini via Mare magazine).

Il dato etnografico è molto importante perché consente di farsi un’idea chiara dei metodi di lavorazione dei piccoli cantieri del passato, osservando i pochi ancora attivi, il settore è infatti caratterizzato da notevole conservatività per strumenti e tecniche (figura 3 e figura 4).


- Figura 3 (sx). Stele funeraria del "faber navalis" Publio Longidieno (particolare), Museo Nazionale di Ravenna.
- Figura 5 (dx). Squero di Venezia, il cantiere (foto L. Peruzzi, 2003).


Le fonti iconografiche ci aiutano invece principalmente nella conoscenza degli arsenali.
Il dato archeologico è invece quello più problematico, soprattutto relativamente ai piccoli cantieri privati e ancor più per le acque interne.

La parola cantiere deriva dal greco καντήλιος (grosso asino da soma) e dal latino canthērium (cavallo). In entrambi i casi il significato è legato al concetto di portare pesi, fungere da sostegno. In latino i canterii erano anche le travi di sostegno del tetto, ma anche quelle che oggi vengono variamente indicate come incavallature, cavalle, capre, capriate, da cui si dipartono le falde di un tetto, o che servono da appoggio per la costruzione di un manufatto. Il cantiere ha poi avuto una più ampia accezione di significati, tutti legati alla costruzione: cantiere è, in primo luogo, il sostegno su cui si imposta la costruzione di un’imbarcazione, o l’impalcatura che si realizza per costruire un edificio ma anche il luogo, comprensivo di strutture e attrezzature, dove si svolge la costruzione stessa (figura 5). La struttura dei cantieri privati si conosce a partire dal medioevo grazie alle fonti documentarie (le zone maggiormente meglio note sono l’area adriatica da Ravenna ad Aquileia e l’arco ligure), poco si sa di quelli precedenti. La struttura generalmente riscontrabile e più comune è molto semplice, composta da alzato ligneo impostato su fondazione in muratura, talvolta portelloni scorrevoli, tetto a doppio spiovente, rive in declivio non banchinate per facilitare il varo, operazione resa possibile anche grazie all’ausilio di rulli di scorrimento, corsie per la chiglia ricavate su una superficie in pietra o nel legno (figura 6).


- Figura 4 (sx). Jacopo de' Barbari, Veduta di Venezia, xilografia, 1500, (particolare: squero sull'isola della Giudecca - immagine digitale via Matteo Salval).
- Figura 6 (dx). Struttura di un cantiere tradizionale di Venezia (foto L.Peruzzi, 2003).


“L’arsenale è il luogo dove si costruiscono, riparano e armano le navi da guerra”. La parola è probabilmente un adattamento veneziano dell’arabo dār as-sin' ah, che significa “casa del lavoro, fabbrica”, e da cui deriva anche il termine darsena, indicante, in generale, il bacino interno di un arsenale o di un porto, collegato al mare da uno o più canali. Gli arsenali, così come i navalia romani o i νεώρια greci sono quindi legati alle flotte pubbliche e spesso le operazioni di costruzione vera e propria non avvenivano al loro interno ma nelle immediate vicinanze1. Sono complessi in cui si ritrova la ripetizione seriale e modulare della struttura del cantiere privato, si tratta infatti di numerose rimesse, comunicanti fra di loro, impostate su pilastri di mattoni reggenti una volta, hanno copertura a doppio spiovente, affacciate su una o più darsene. Sono spesso vere e proprie città nella città, protetti da una cinta muraria fortificata, ospitavano anche altre attività come la produzione di materiali accessori (cordame, vele), depositi di materiale da costruzione, produzione e stoccaggio di armi e polvere da sparo, forni, fornaci, abitazioni dei magistrati preposti al loro funzionamento (figura 7).


- Figura 7. Jacopo de' Barbari, Veduta di Venezia, xilografia, 1500, (particolare dell'arsenale - immagine digitale via Matteo Salval).

Prendendo in esame il centro Italia si possono prendere in esame pochi esempi e confrontarli con strutture talvolta molto lontane fra loro geograficamente e cronologicamente.

Pisa, arsenali repubblicani. Malgrado la millenaria storia marittima di Pisa, la città conserva poco delle sue strutture di costruzione navale medievali e nulla per quelle di epoca romana. Forse anche causa della forte instabilità idrogeologica che caratterizza l’area, le strutture cantierististiche si concentrano, almeno a partire dall’epoca medievale, in città lungo il fiume Arno.

Le fonti scritte più importanti per la storia navale di Pisa sono il De Reditu suo di Rutilio Namaziano (V sec. d.C.), il Liber Maiolichinus (XII sec.), la cronaca di Bernardo Maragone contenuta negli Annales Pisani (XII sec.), la cosiddetta Carta Pisana de Filadelfia (XI-XII sec.), i Gesta triumphalia per pisanos facta (metà XI sec.), i vari Statuti comunali. Molti documenti sono andati perduti in un grave incendio degli archivi del Comune, nel 1316, quindi la lacunosità circa gli aspetti della costruzione navale potrebbe in parte essere imputabile a questo.


- Figura 8. Veduta del recinto dell'arsenale di Pisa e degli arsenali medicei. A sinistra, a ridosso della ferrovia, le rimesse della Tersana di Pisa.

Per quanto riguarda le strutture si conserva bene tutta la cinta muraria dell’arsenale che si addossa al tratto murario urbano di metà XII secolo e le 4 torri, ma ben poco delle strutture voltate delle rimesse, fortemente danneggiate dai bombardamenti della seconda guerra mondiale e dall’incendio appiccato dai cittadini stessi per impedirne l’utilizzo ai fiorentini quando nel 1406 questi ultimi conquistano la città. Dai Brevi del Comune non si ha notizia di una struttura compiuta dell’arsenale prima del 1200. Le strutture oggi visibili sono solo poche arcate, ma si sa dalle fonti che un tempo la Tersana poteva ospitare fino ad 80 rimesse, secondo la tipolgia già descrittà, di strutture voltate impostate su pilastri, e affacciate su una darsena interna. Sappiamo che la costruzione avveniva quasi totalmente all’esterno della cinta, nella zona definita come tersanie di San Vito, in corrispondenza del luogo in cui attualmente sorgono gli Arsenali Medicei (figura 8 e figura 9).


- Figura 9. Particolare delle rimesse della Tersana di Pisa (foto Daniele Napoletano).

L’area è stata recentemente oggetto di indagini archeologiche2, che hanno sostanzialmente confermato quanto già noto circa la struttura e le funzioni di rimessaggio e riparazione che vi si svolgevano, ma ci dicono di nuovo che al suo interno, a partire dal XVI secolo, si svolgevano una serie di altre attività collaterali, come il deposito di materiali da costruzione, lo stoccaggio di salnitro e di armi, l’attività di macinazione del grano e la cottura del cosiddetto biscotto (la galletta salata, base dell’alimentazione di equipaggi navali ed eserciti), ma anche la produzione dello smeriglio (pietra abrasiva per l’affilatura di armi e lisciatura delle palle di cannone) e le stalle. I dati degli scavi non sono ancora pubblicati ma già da queste informazioni possiamo dire che l’arsenale di Pisa si configura come una struttura produttiva molto più articolata di quanto finora noto, e simile all’arsenale di Venezia (che rappresenta uno degli esempi di maggiore evoluzione per questa tipologia di strutture).

- Figura 10. Il bacino esagonale del Porto di Traiano.

Navalia di Portus. La zona portuale di Portus, si sviluppa separatamente dalla vicina Ostia, sede del primo porto fluviale di Roma, con l’imperatore Claudio (nel 42 d.C. viene infatti cominciata la costruzione del grande porto marittimo artificiale, ultimata poi sotto Nerone), ma è con Traiano che si ha il maggiore sviluppo dell’area e la realizzazione del noto bacino esagonale, che aumenta notevolmente la capacità di attracco e risolve in parte i problemi legati all’insabbiamento del bacino marittimo (figura 10). Le recenti campagne di scavo, condotte dall'Università di Southampton nell’ambito del progetto Portus, hanno contribuito a chiarire molti aspetti della topografia dell’area, fra cui la natura di alcune strutture, individuate già da R. Lanciani nella metà del XIX secolo e interperatate come horrea. Si tratta di strutture individuate a ridosso del bacino esagonale e contigue al Palazzo Imperiale, di notevole imponenza, le indagini sulle fondamenta hanno infatti chiarito che il complesso nasce come un’unica struttura di 247m x58 m, suddiviso in più ambienti. Anche in questo caso sono strutture in laterizi pogginati su pilastri, probabilmente a sostegno di una volta e di copertura a doppio spiovente, è evidente la ripetizione seriale e modulare degli spazi, (come è ben evidente dalla ricostruzione grafica) in cui le rimesse vere e proprie si alternano, a gruppi di 3, ad un altro ambiente dalla funzione ancora non chiara (figura 11, figura 12 e figura 13). Lo scavo non ha restituito materiali che indichino costruzione. Il primo impianto è databile alla metà del II sec. d.C., la strutture subisce poi modificazioni intorno alla fine del II d.C., e viene suddivisa in molti ambienti di piccole dimensioni, andando probabilemente a rivestire in questa fase, quella funzione di magazzino evidenziata già da Lanciani, e protrattasi fino al VI d.C.. Ulteriore conferma della funzione di queste strutture come navalia (quindi con funzione di rimessa e riparazione degli scafi) è inoltre confermata dalla raffigurazione presente sul sesterzio di Traiano recante la dicitura PORTUM TRAIANI, databile fra 112 e 114 d.C. (figura 14).


- Figura 11. Le strutture dei navalia (immagine tratta da KEAY, An interim report on an enigmatic new trajanic building on Portus, 2012).


- Figura 12. Alzato delle strutture dei navalia di Portus (fotp PA).


- Figura 13. Ricostruzione grafica dei navalia (via Portus Project, Archaeological Computing Research Group, University of Southampton).


- Figura 14. Sesterzio, profilo di Traiano / Portum Traiani.

Porto e cantiere navale di Narnia. Il sito ubicato il località Le Mole, fra i borghi di Nera Montoro e Stifone, sul fiume Nera, deriva l’origine del toponimo attuale alle attività molitorie che si sono concentarte sul fiume almeno a partire dal medieovo (figura 15). La storiografia locale, la tradizione orale e le fonti antiche parlano più o meno direttamente della presenza di un porto fluviale sul Nera, riferibile alla colonia di Narnia3, si è quindi formata e tramandata l’idea consolidata della presenza di un porto e di un cantiere navale di una certa consistenza.


- Figura 15. Localizzazione geografica dell'area de Le Mole.

Tacito (Annales III, 9), narrando del viaggio di ritorno dalla Siria a Roma del console G. Calpurnio Pisone, dice che “A partire da Narni (…) seguì il corso del fiume Nera e poi del Tevere”.

Strabone (Geographia V, 2, 10) afferma invece che “Al di qua degli Appennini, lungo la Via Flaminia, città degne di nota sono Otricoli, in vicinanza del Tevere, Narni, attraversata dal fiume Nera, che confluisce nel Tevere poco a monte di Otricoli ed è navigabile con imbarcazioni di piccole dimensioni”, confermando sostanzialmente la navigabilità del fiume nei pressi di Narni.

Nel XVI secolo il gesuita Fulvio Cardoli ci da una collocazione spaziale dei resti del porto romano4:
"Esistono anc'oggi, in ripa a esso fiume, passato il Castel di Taizzano, un tre miglia da Narni, alcune vestigia del porto, dove alfin la Nera, dopo aver lottato, strettamente rinchiusa tra mezzo altissimi monti, contro l’impaccio degli scogli e de’ sassi del suo letto, incomincia a sostener le barche, ed ivi veggonsi pure i ferrei anelli impiombati nel vivo sasso, ai quali siccome a palo ferrato legavansi le barche".
Tale testimonianza fu poi ripresa e trascritta dal marchese G. Battista Eroli, il quale si occupò anche di far fare una ricognizione di questa porzione di riva, testimoniando quindi che alcuni resti di queste strutture erano ancora visibili nel 1879.

Nel tempo numerosi altri studiosi e appassionati si sono interessati a questi sito ed in generale alla questione del porto e del cantiere navale, e recentemente il giornalista pubblicista Christian Armadori ha raccolto in uno studio di tipo storico, i dati desumibili dalle fonti e le ipotesi interpretative susseguitesi nei secoli5, studio che costituisce un buon punto di partenza per l’analisi dell’area e la sua contestualizzazione storico geografica.

Oltre ad una serie di strutture murarie affioranti nel letto del Nera, riconosciute dagli eruditi locali come riferibili a quelle di un approdo (figura 16 e figura 17), ma la cui conformazione non consente un’interpretazione così lampante (anche per la loro vicinanza al mulino che si trova allo sbocco del canale), vi è un’opera che ha destato particolare interesse.


- Figure 16 e 17. Strutture murarie lungo il fiume Nera, interpretate come resti del porto (foto L. Peruzzi, 2012).

La struttura in questione è un canale artificiale in parte parallelo al corso del Nera, lungo 280 m, largo 16 m, di profondità incerta (in elevato di circa 4 m di altezza, ma probabilmente continua sotto un consistente deposito). Secondo una carta catastale della metà del XX secolo il canale era probabilmente in origine collegato al fiume sia a monte che a valle. La caratteristica più importante è la presenza di una serie di incavi di forma quadrangolare, a sezione triangolare (che presuppongono quindi il sostegno di elementi dal basso verso l’alto). Se ne contano 30 su ogni parete (di cui alcuni ben conservati mentre altri solamente intuibili perché molto abrasi dal tempo e dalle acque), disposti su 3 file piuttosto regolari e simmetrici sui due lati, coprono un fronte di circa 13 metri (figura 18 e figura 19). Sono proprio questi incavi che hanno favorito lo sviluppo dell’ipotesi di una struttura riferibile ad un cantiere navale. Questi incavi vengono infatti interpretati come alloggi per i sostegni lignei posti a contrasto con lo scafo in costruzione, pratica che, seppure con modalità differenti, si ritrova nella costruzione navale di epoca antica e moderna. L’apertura del canale a monte e a valle viene inoltre interpretata come la possibilità di regolare le acque e quindi poter costruire in sicurezza all’asciutto e di poter usufruire della spinta dell’acqua per facilitare il varo del natante ultimato. Si tratta naturalmente di un’ipotesi da verificare, e si deve ricordare che la zona non è mai stata oggetto di indagini archeologiche né di prospezioni, ma solo di ricognizioni (in vari momenti e per scopi diversi, una di queste effettuata da chi scrive), e di rilievo topografico delle strutture in occasione di una ripulitura della zona dalla fitta vegetazione.


- Figura 18 (sx). figura 18, Canale parallelo al fiume Nera (particolare di una foto tratta da ARMADORI, Il Porto di Narnia e il cantiere navale romano sul fiume Nera, 2012).
- Figura 19 (dx). Canale lungo il fiume Nera, particolare degli incavi nella parete (
particolare di una foto tratta da ARMADORI, Il Porto di Narnia e il cantiere navale romano sul fiume Nera, 2012).

L’obiezione principale e l’ipotesi alternativa è che si possa trattare di incavi relativi al sostegno di un ponte in legno o della centina per la realizzazione di un ponte in muratura, pare però anche in questo caso anomalo il cospicuo numero di incavi (infatti nemmeno il vicino e maestoso ponte augusteo di Narni, presenta così tanti incavi per il sostegno delle centine lignee servite per la sua costruzione) e sembra inspiegabile la necessità di costruire un ponte tanto robusto per attraversare solamente il canale e non tutto il fiume.

Non è questa la sede adatta per approfondire tesi e ipotesi contrarie o favorevoli alle varie interpretazioni, poiché prima di qualsiasi altra argomentazione, appare indispensabile un’adeguata indagine archeologica della zona, fra l’altro interessata da numerose altre testimonianze di epoca romana. Occorre comunque sottolineare la particolarità del sito, l’imponenza dell’opera idraulica realizzata la cui datazione al momento non è precisabile, e la mancanza a tutt’oggi di certezze relativamente alla struttura dei luoghi di costruzione navale antica (eccetto gli arsenali), soprattutto in aree fluviali.


- Laura Peruzzi a Palazzo della Corgna il 18 maggio 2013.

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Note:

1 Il significato stesso di νεώρια indica un “ luogo dove si ha cura delle navi”, non richiama quindi il significato di area di costruzione. Vedi Enciclopedia italiana Treccani 1949, pag.606.

2 Prospezioni, analisi gradiometriche e scavi archeologici realizzati in occasione dei lavori di sistemazione dell’area degli arsenali repubblicani per il recupero di aree per servizi al pubblico del Museo delle Navi (il museo delle Navi che ospiterà materiali e relitti del sito di San Rossore avrà sede nei vicini Arsenali Medicei). Non ci sono al momento ancora risultati pubblicati.

3Nequinum diviene colonia romana con il nome di Narnia a partire dal 299 a.C. ed avamposto di fondamentale importanza per il controllo dell’Umbria da parte romana.

4 CARDOLI, 1862, cit. pp. 320-323.

5Il porto di Narnia e il cantiere navale sul fiume Nera.

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RICCARDI E., I relitti del porto di Olbia, in Africa Romana, XIV/2002, 1263-1274.

«The lovely lake Thrasymene». Da Perugia alla Polvese nel 1854

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di Mrs. J. E. Westropp

Al nostro ritorno in albergo abbiamo preso contatto con un uomo che possiede delle carrozze, accordandoci con lui per farci portare al Lago Trasimeno l’indomani mattina.

Da quando son giunta a Perugia ho desiderato fare questa gita, ma il conte e la contessa mi dissero che avrebbero gradito molto venire anche loro, pregandomi di aspettarli. Ancora non si sono decisi e, non volendo aspettare oltre, ho detto loro che, non potendo accompagnarmi, avrei invitato qualcuno della famiglia P.

In serata è arrivato Don Porfidio, lo abbiamo pregato di venire con noi. Era troppo occupato e non poteva assentarsi da Perugia ma, molto gentilmente, ci ha fornito numerose informazioni e ci ha scritto una lettera di presentazione per un suo amico che ci avrebbe procurato il permesso per visitare una delle isole.



Sabato 26 è stata una bella giornata. Colazione con un po’ di caffè e uova. Alle sei e mezzo siamo partiti, lasciando la città da Porta di San Carlo. La vettura era molto bella, la strada pianeggiante si snodava attraverso le fertili pianure lungo la valle del Caina, uno stretto torrente, luminoso e chiaro. Qui la principale coltivazione è la vite.

Su di un alto colle, ben visibile già da lontano, una suggestiva torre medievale coperta d’edera. Si chiama La Magione, ed è a circa dieci miglia da Perugia. La collina è così ripida che abbiamo avuto bisogno dei buoi per farci tirare fin su. Dopo essere entrati nel piccolo villaggio che ha lo stesso nome della torre, siamo scesi dalla carrozza, ma non vi era niente da vedere, la chiesa era misera, e alcune immagini che potevano ritenersi accettabili erano state rovinate dall'inserimento di piccole corone e orpelli sopra il capo della Vergine e del Bambino; una pratica molto diffusa in Italia.

A breve distanza dal villaggio ci siamo fermati di nuovo per visitare un interessante e pittoresco castello chiamato l'Abbazia di La Magione. Si tratta di un quadrato e massiccio edificio con quattro torri agli angoli, tutte diverse tra loro - una delle quali è rotonda. Nel centro vi è un campanile o torre campanaria. Una parte delle mura antiche ancora rimane, e anche una vecchia porta da cui siamo entrati. L'interno ha un aspetto molto orientale, c'è un grande cortile, intorno al quale corrono le gallerie ad archi che si sviluppano su tre livelli. Attualmente è occupato da un contadino e tutto sembra tristemente trascurato - botti, utensili agricoli, maiali, polli e cani sono ovunque. L'uomo che ci ha mostrato il castello era particolarmente intelligente e ci ha dato informazioni molto interessanti sui proprietari.

In passato è stato il possedimento più influente e più ricco dei Cavalieri di San Giovanni di Gerusalemme e ancora appartiene all’ordine. La gente di solito pensa che questo ordine non esista più, ma non è così. L'ultimo Gran Maestro è stato L’Ile d'Adam, quando l'ordine fu soppresso da Napoleone. Anche se morto già da un pezzo, non ha mai avuto un successore; lui era il capo militare, i giorni della cavalleria sono finiti e un nuovo capo non è indispensabile. Il Gran Priore, che anticamente era il secondo in comando, ora è il primo, deve essere un cardinale e principe romano. Il cardinale Lambruschini, che è morto due o tre mesi fa, ha ricoperto la carica per molti anni, il suo successore è il cardinale Treschi. Il capo vive in una casa appartenente all'ordine, in via dei Condotti, a Roma. Non ricordo il suo nome, non è molto amato e si dice che non abbia a cuore gli interessi dell'ordine. Ci sono un gran numero di cavalieri che indossano una divisa rossa con paramento nero, pantaloni bianchi, e la croce del loro ordine, eleggono il loro capo, fatta salva l'approvazione del Papa.

Gli introiti di questa tenuta di La Magione spettano alla società di Propaganda che a sua volta versa 4.000 corone l'anno (poco più di 800 sterline inglesi) per il Gran Priore, e la stessa somma per il sub-Priore, che vive sempre sull'Aventino, a Santa Maria del Priorato e si suppone segua tutti gli affari dell’ordine, avendo il cardinale capo altre occupazioni e altri luoghi di dimora. Anche il capo riceve 4.000 corone. Suppongo che Propaganda trattenga qualcosa per se stessa, oltre le 12.000 corone che versa, ma questo non posso asserirlo con certezza.

Ho tracciato un piccolo schizzo di questo interessante castello, poi, risaliti in carrozza, abbiamo disceso una ripida collina e poco dopo siamo giunti a vedere il grazioso lago. Ha più di trenta miglia di circonferenza ed è di solo quattro miglia nella parte più larga. È davvero grazioso, circondato da montagne e con i piccoli villaggi bianchi lungo le sue sponde immersi tra gli alberi. Abbiamo continuato per circa due miglia, prima di fermarci al piccolo villaggio di San Feliciano, un miserabile piccolo posto così sporco, ma che locanda! C’era una grande cucina e due piccole camere da letto, una occupata dalla famiglia, dentro la quale il padrone di casa, che gemeva terribilmente, era a letto malato. Abbiamo ordinato un po' di cibo e, mentre veniva preparato, siamo usciti fuori.

Il Conte F. ha portato la lettera di Don Porfidio al curato e al suo ritorno siamo andati a vedere una enorme regina di ventiquattro libbre. È un pesce ottimo, peculiare di questo lago, solitamente di circa quattro o cinque libbre di peso. Era esposto e i proprietari lo vendevano a peso.

Al nostro ritorno alla locanda abbiamo trovato la tavola imbandita in una delle camere da letto. Nel frattempo erano giunti il curato e il suo vicario, che si sono uniti al nostro banchetto, molto apprezzato da tutti. C’erano pesci alla griglia - regina e tinca - davvero eccellenti e cotti alla perfezione; uova; patate e mele. Il pane era pessimo. Del vino, mi è stato detto, che era davvero buono ma non l’ho assaggiato. Il curato era molto gentile e così il vicario: un giovane simpatico di ventidue anni che indossava un vestito di velluto, dall’aspetto non molto clericale.

Il vicario uscì per approntare la grande barca di proprietà del titolare dell'isola. Il lago era mosso e c'era un bel po' di vento. Quando tutti noi fummo pronti, uscimmo.

Trovammo una imbarcazione a fondo piatto grande come una stanza. Quattro sedie erano state predisponete per i forestieri e sua eccellenza, un fascio di paglia per il vicario che aveva scelto un numeroso equipaggio per manovrare l’ingombrante imbarcazione.

Eravamo sulla rotta per Isola Polvese, a una distanza di due miglia. Il povero prete non trovava piacevole essere in acqua: c'erano onde continue e il vento era così forte che la barca ci ha fatto oscillare parecchio. Il sacerdote si faceva continuamente il segno della croce, invocando "Maria Santissima" e supplicando di non annegare. Vicino all'isola il lago era più calmo e l’acqua di un delicato verde pallido.

Oltre alle bellezze naturali, i ricordi storici del Lago Trasimeno aggiungono molto al piacere dell’occhio. Queste montagne, queste isole e il lago sono rimasti come ai tempi di Annibale. Ho chiesto al vicario di mostrarmi la torre costruita sul luogo del campo di Annibale, il Monte Gualandro, che attraversò per entrare nella valle del lago e il Sanguinetto, un piccolo fiume in cui scorreva il sangue dei romani. Ma questi luoghi erano distanti, dalla parte opposta del lago.

Dopo mezz’ora di traversata siamo arrivati all’Isola Polvese. Il guardiano è venuto giù alla barca, don Giam Maria Seraphinis è sceso a parlargli. Dopo di che ci è stato dato il permesso di sbarcare.

Si tratta di una piccola isola molto bella, ha tre miglia di circonferenza. È molto fertile. Sul punto più alto vi sono i resti molto pittoreschi di un castello. Siamo entrati in un cortile circondato da alte mura e una torre: queste rovine sono del XV secolo. A poca distanza si trovano i resti di un convento dei monaci Olivetani. La chiesa deve essere stata grande e bella, ora è senza tetto, invasa da un tappeto erboso, la maggior parte degli archi che dividevano il centro dalle navate laterali sono crollati. I monaci scelgono sempre bei luoghi per i loro conventi. La vista sul lago da questo punto è molto bella, le montagne che lo circondano, le altre due isole più piccole, Maggiore e Minore, la prima abitata, il suo piccolo paese sormontato dalla chiesa che brillava alla luce del sole. I monaci Olivetani hanno posseduto l’Isola Polvese fino a circa 300 anni fa, quando l’hanno venduta. L'attuale proprietario è un conte romano che la usa principalmente come riserva di caccia. È disabitata se si esclude la famiglia del guardiano.

Abbiamo attraversato l'isola in lungo e in largo. I nostri barcaioli hanno tagliato le canne che vi crescono rigogliose, e battuto i cespugli per mostrarci i numerosi fagiani, lepri e conigli. Non ho mai visto così tanti fagiani tutti insieme. Ma il tempo scorreva veloce, erano già le tre,. occorreva far presto e risalire sulla barca. Il vento era sceso, il povero don Gianmaria non aveva più paura per la sua vita, ma temeva di prendere freddo e l’influenza, per evitare malanni ha tirato fuori un fazzoletto colorato e se l’è annodato sul capo come una parrucca sotto il suo cappello da prete, con gran divertimento del vicario.

Il sacerdote deve venire in questa isola di tanto in tanto a dire messa per i guardiani ma, avendo paura dell'acqua, manda il vicario, che viene una volta al mese, quando il vento e le onde lo permettono, a dire messa in una piccola cappella.

Quando siamo arrivati sulla terra ferma, siamo andati a casa di don Gianmaria, dalla quale si gode di una splendida vista del lago. Sua sorella ci ha portato un po'di caffè, e ci siamo fermati a chiacchierare mezz’ora con lei e con il nipote, un bambino di dieci anni. Alle pareti della stanza erano appese delle incisioni, il valido prete ci ha anche mostrato un curioso armadietto intarsiato con scomparti segreti, di cui è molto orgoglioso. In estate, questa deve essere una residenza molto piacevole ma in inverno fredda ed esposta. Siamo poi andati in chiesa, un luogo molto infelice. Il conte F. mi sussurrò di fare un complimento, perché don Gianmaria si aspettava che lodassi la sua chiesa, ma la realtà me lo ha vietato, non riuscivo proprio a trovare qualcosa da lodare. Alla fine l’occhio mi è caduto su una serie di basse panche e ho detto che ero felice che avesse tanti bambini in chiesa. Questo commento ha fatto molto piacere al buon uomo che era molto affezionato ai bambini e per un po' abbiamo parlato delle scuole. Ci ha anche mostrato una orribile testa di San Girolamo, più simile a un’insegna, e ci ha detto che il disegno è stato attribuito a Lo Spagno! I miei amici si sono complimentati con lui ma io davvero non ci sono riuscita.

Il vicario ha poi annunciato l’arrivo della nostra carrozza. Siamo tornati nella locanda, abbiamo pagato il conto, stretta la mano a don Gianmaria e al vicario e siamo partiti con tutto il villaggio raccolto a salutare la nostra partenza; la visita dei forestieri è un grande evento per queste persone semplici.

Alle quattro e mezzo abbiamo lasciato San Feliciano.


  • Il resoconto è tratto da una lettera spedita da Mrs. J. E. Westroop al fratello il 28 agosto 1854 e pubblicata nel volume Summer Experiences of Rome, Perugia, and Siena, in 1854: and Sketches of the Islands in the Bay of Naples. By Mrs. J. E. Westropp. Pubblicato da William Skeffington a Londra nel 1856. Qui la Letter XIV. – Abbey of La Magione – Isola Polvese – Lake Thrasymene.

Processione delle barche per Santa Maria Maddalena

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Di seguito alcune foto scattate ieri sera durante la processione delle barche per la festa di Santa Maria Maddalena, patrona di Castiglione del Lago.







Proposte del progetto ALLI per i centri di documentazione sulla pesca e sulle imbarcazioni al Lago Trasimeno

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di Antonio Batinti

Incontro: Storia di barche, Castiglione del Lago, 18 maggio 2013.

1. - Ringrazio vivamente gli organizzatori dell'Incontro di studio Storia di barche. Navigare tra archelogia e tradizione, per l'invito personale e come rappresentante dell'ALLI1, in quanto svolgo temporaneamente la funzione di responsabile scientifico e di coordinatore nazionale del progetto etnolinguistico.


- Figura 1. Prima sede del Museo della pesca del Lago Trasimeno.

Accolgo volentieri il richiamo degli animatori dell'iniziativa a "navigare" non solo tra archeologia e tradizione (come il titolo del Convegno richiederebbe), ma tra le "emozioni", d'altronde le motivazioni di tutti gli intervenuti sono rinforzate oltre che dalla curiosità e dalla necessità di accrescere le conoscenze, anche dalla passione e dall'entusiasmo.

In sintonia con le emozioni, ricordo che trenta anni fa proprio in questo prestigioso Palazzo della Corgna di Castiglione del Lago, il 23 settembre 1982, si inaugurava la Mostra sulle Le imbarcazioni tradizionali delle acque interne nel'Italia Centrale, predisposta dall'Atlante Linguistico dei Laghi Italiani (ALLI) e realizzata sotto il patrocinio della Regione dell'Umbria e del Comune di Castiglione del Lago, in occasione dei lavori del Convegno nazionale Lingua, storia e vita dei laghi italiani. Per un Atltante Linguistico dei Laghi Italiani (Lago Trasimeno 23-25 settembre 1982)2.

Autore del Catalogo Barche tradizionali delle acque interneè stato l'amico e collega, qui presente, Marco Bonino, che ancora ringrazio per la continua, tenace e preziosa collaborazione, alimentata da grande passione e competenza.

Il nostro ricordo affettuoso e riconoscente va a Giovanni Moretti, l'ispiratore e ideatore del progetto ALLI, che la maggior parte dei presenti ha potuto apprezzare per le sue straordinarie doti umane e per le sue qualità nel campo scientifico.

2. - Nel Convegno del 1982 a Castiglione del Lago fu approvata una mozione a conclusione dei lavori, nella quale si evidenziava la necessità di dare vita a Centri di documentazione quali momenti, non solo di sintesi per la ricerca scientifica, articolata e complessa per i molteplici settori che la compongono (linguistico, antropologico, etnologico, storico, geografico, zoologico, botanico, …), ma quali luoghi dove proporre chiavi di lettura e di interpretazione del passato e del presente, ambiti di progettualità per il futuro degli ambienti studiati (laghi, lagune, fiumi, …) in una visione aperta, dinamica, critica del concetto di documentazione museale.

Una tale prospettiva impegnava e impegna i ricercatori, gli studiosi e le Amministrazioni pubbliche, nei loro ambiti di competenza.

Nel progetto sono previsti, quindi, nel caso che gli Enti locali delle zone interessate alla ricerca raccolgano le indicazioni dell'ALLI, dei Centri di documentazione che illustrino i risultati delle indagini.

Essendo le indagini a carattere nazionale, lo studio e l'approfondimento delle diversità e delle relazioni esistenti fra tutte le realtà lacustri della penisola, contribuirà a riconquistare e a mettere nella dovuta luce l'originaria e originale identità culturale e linguistica della civiltà delle acque interne che tanta parte ha avuto nella storia d'Italia3.

Per l'intera area lacuale del Trasimeno, quale zona di documentazione, è prevista una articolazione modulare, che tenga conto delle peculiari tradizioni storiche e ambientali dei centri lacustri più importanti.

Due sono, per il momento, le iniziative realizzate.

La primaè il Museo della Pesca di San Feliciano, allestito nel suo nucleo originario dal Comune di Magione con la collaborazione determinante dell'ALLI, con lo spazio espositivo articolato nel 1984 in due sale, secondo percorsi storici e didattici allestiti nell'ex hangar della Scuola per piloti di idrovolanti da combattimento di proprietà della locale Cooperativa dei pescatori (figura 1). Nella nuova sede, inaugurata il 30 settembre del 2000, l'impianto museale è aggiornato alle conoscenze acquisite in questi lunghi anni dai ricercatori dell'ALLI nei vari indirizzi disciplinari; la proposta del nuovo percorso, preparata, in collaborazione con Alessandro Franceschini, da Ermanno Gambini, insostituibile punto di riferimento del progetto per il grande sapere accumulato, si pone come sintesi ed elaborazione del tema centrale rappresentato dal rapporto uomo-acqua. L'incontro tra gli ambienti, caratterizzati, dalla presenza dell'acqua, e l'uomo nei suoi molteplici atteggiamenti e nelle sue varie attività, ha determinato lo sviluppo della cultura e della civiltà delle acque interne. La storia della terra (formazione del Lago Trasimeno) e la storia dell'uomo (presenza delle prime comunità umane) trovano nelle tappe del percorso significativi spunti e rappresentazioni delle fasi di continuità e di cesura di queste vicende millenarie4.

L'attuale allestimento è frutto degli studi compiuti da studiosi di varie discipline, collegati al progetto ALLI, e del contributo di informatori residenti in tutti i centri pescherecci del lago. La soluzione proposta prevede all'ingresso l'immersione nell'ambiente lacustre. Nel primo spazio -nella cosiddetta "sala alba"- si offrono informazioni sull'origine ed evoluzione del lago e sulle prime presenze umane lungo le sue rive. Le profonde radici della grande tradizione peschereccia del Trasimeno sono documentate a partire dai due stupendi ami in selce, riferibili al Paleolitico superiore/Mesolitico, Lo studio dei reperti metallici (ami) e in terracotta (pesi da rete), rinvenuti a seguito di scavi e dragaggi, ha permesso di stabilire che, almeno a partire dalla fine dell'età del Bronzo, sono in attività pescatori professionisti. Durante l'Alto Medioevo la pesca acquista sempre maggior rilievo: le nuove consuetudini alimentari, legate alla proibizione del consumo di carne per circa 150 giorni all'anno, accrescono la domanda di pesce che si concentra nel periodo quaresimale. A queste nuove necessità si risponde sperimentando nuove tecniche di cattura con impianti fissi. Nella "sala mezzogiorno" viene presentato il momento di maggior splendore della pesca in questo lago tra Medioevo ed Età Moderna. La grande pesca dei tori sul lago aperto e quelle spondali (arèlle e pòrti) sono regolamentate dal Comune di Perugia e poi dal Governo Pontificio che gestiscono per secoli il lago come un bene prezioso mantenendo equilibrio tra interventi di sfruttamento e di tutela. Nella "sala pomeriggio" vengono descritte minuziosamente le tantissime "pesche minori", frutto dell'attività dei professionisti, dei pescatori a part-time e dei contadini. Nella "sala sera" viene affrontato il tema del declino della pesca professionale. Con l'entrata in funzione del nuovo emissario di fine Ottocento nel volgere di pochi anni le condizioni ambientali mutano: le crisi di impaludamento provocano danni notevoli anche alle specie ittiche e la pesca professionale di tipo imprenditoriale viene così abbandonata. I mancati investimenti nel settore da parte dei possidenti -ormai rivolti altrove- impediscono la modernizzazione delle tecniche di cattura, lo sviluppo della pescicoltura e quindi, del settore della trasformazione, promozione e commercializzazione del pescato.

L'allestimento consente lo sviluppo di vari percorsi didattici e presenta approfondimenti che riguardano, di volta in volta, gli aspetti ambientali, linguistici e giuridici.


- Figura 2. La mostra delle imbarcazioni nella cultura delle acque interne. Passignano sul Trasimeno, 26 settembre – 26 ottobre 1987.

La seconda, dopo la Mostra delle imbarcazioni nella cultura delle acque interne, attuata dal Comune di Passignano sul Trasimeno nel settembre 1987 (figura 2), è il Centro di documentazione sulle Imbarcazioni tradizionali delle acque interne italiane inaugurato il 17 luglio del 2004.

La scelta di Passignano come sede permanente del Centro corrisponde alla particolare vocazione per la costruzioni navali di questa località del Trasimeno. Lo attestano la documentazione archeologica, storica, a cui si collega la presenza degli ex cantieri SAI, dove sono state realizzate le famose imbarcazioni Azzurra 3 e Azzurra 4, la sede del Servizio Provinciale di Navigazione e un importante club velico5.

Nel Centro sono esposte alcune imbarcazioni tradizionali del Lago Trasimeno, del Lago di Chiusi, del Lago di Piediluco, del Padule di Fucecchio e dello Stagno di Cabras in Sardegna.

Per il Trasimeno sono presentati due tipi di caravella, documentati già nel secolo XV e in uso ancora intorno alla metà del Novecento tra i pescatori di professione. Negli spazi esterni è presente una ricostruzione del barchetto del gorro, un barcone utilizzato sino alla metà degli anni Trenta del secolo scorso per la pesca con la grande rete a strascico, detta appunto gorro. Le monòssili, scavate in legno di quercia, rinvenute a seguito di dragaggi compiuti lungo la riva del lago a Passignano, sono state datate al sec. XIII. Esse sono certamente gli esemplari più importanti tra quelli presentati.

L'allestimento si compone di 21 pannelli tematici (con testi e immagini) che costituiscono la trama espositiva in cui i reperti trovano la loro contestualizzazione e la loro correlazione con gli altri aspetti della cultura delle acque interne. La scelta dei temi e l'organizzazione delle informazioni favoriscono una lettura secondo varie prospettive di ricerca (linguistica, storica e archeologica).

Le barche, in Italia centrale come altrove, sono il risultato di sovrapposizioni tecniche e storiche. In particolare, per quanto concerne l'Italia centrale interna, nella tipologia costruttiva delle barche sono ancora evidenti le tracce delle forme arcaiche di imbarcazioni come le monòssili e le zattere.

In avanzata fase di preparazione è la terza iniziativa, ad opera del Comune di Castiglione del Lago, che si colloca nel progetto di valorizzazione dell'area dell'ex aeroporto Eleuteri, con l'allestimento di spazi museali interni ed estern.

Il progetto ALLI offrirà la propria collaborazione alle iniziative legate a vari settori di ricerca (geologico, geografico-storico, etno-linguistico, zoologico, botanico, …) indagati negli ultimi decenni dai collaboratori del progetto interdisciplinare dell'Atlante Linguistico dei Laghi Italiani, anche in collaborazione con specialisti esterni, che hanno recuperato e messo in valore la cultura delle comunità alieutiche dei laghi e stagni, con una particolare attenzione al Lago Trasimeno, a cui sono state dedicate oltre venti pubblicazioni.

Seguirà questa iniziativa che porterà, ci auguriamo nel volgere di pochi anni, alla creazione e allo sviluppo di un tessuto museale diffuso nel territorio comunale, il dr. Ermanno Gambini, Segretario dell'ALLI, in possesso delle competenze necessarie e di un adeguato curriculum.

Il contributo del nostro progetto dovrà portare alla:
  • ricostruzione, in scala 1:1, di un impianto fisso di pesca in uso al Lago Trasimeno nella prima metà del sec. XVI, detto toro, con pannelli illustrativi;
  • preparazione di una mostra permanente sulla storia della caccia agli uccelli acquatici al Lago Trasimeno;
  • realizzazione di schede botanico-linguistiche relative alla flora del Lago Trasimeno;
  • redazione di schede linguistiche relative ai nomi locali dell'avifauna nelle principali zone umide d'Italia, con particolare riguardo al Lago Trasimeno;
  • alla preparazione di schede relative all'origine e all'evoluzione del Trasimeno e alla geografia storica del lago, con particolare riferimento alle oscillazioni storiche deI livello delle acque, ai loro rapporti con l'insediamento e le attività umane e con la gestione di questo particolare ambiente a partire dalla seconda metà del sec. XIII;
  • all'allestimento della "Biblioteca del progetto ALLI", consistente nelle 48 pubblicazioni (alcune delle quali edite in formato digitale) con relative schede-sommari in italiano e inglese.

3. - I contributi che seguiranno di Marco Bonino, di Ermanno Gambini, di Laura Peruzzi e di Maria Rosa Villani alimenteranno la nostra comune passione e approfondiranno le nostre conoscenze sul tema indagato da osservatori provenienti da diversi indirizzi disciplinari.

La "navigazione" può cominciare, passo la parola al collega Marco Bonino.



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Illustrazioni

Figura 1 - Prima sede del Museo della pesca del Lago Trasimeno, presso i locali della Cooperativa pescatori di S. Feliciano. Da O. B. PAPARELLI, F. MINCIARELLI, I centri di documentazione del Trasimeno, in (G. Moretti, a cura di) Per un Atlante Linguistico dei Laghi Italiani. ALLI. Tecniche di esecuzione e stato delle ricerche, Atti del II Convegno dell'Atlante Linguistico dei Laghi Italiani, Piediluco (Terni), 25-27 ottobre 1986, p. 573.

Figura 2 - La mostra delle imbarcazioni nella cultura delle acque interne. Passignano sul Trasimeno, 26 settembre – 26 ottobre 1987. Da O. B. PAPARELLI, F. MINCIARELLI, I centri di documentazione del Trasimeno, op. cit., p. 596.

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Note

1 L'Atlante Linguistico dei Laghi Italiani è un progetto geolinguistico ed etnolinguistico finalizzato alla raccolta, alla documentazione e allo studio della vita, storia e lingua delle comunità vissute presso le acque interne italiane. Partecipano all'impresa studiosi appartenenti a dodici Università italiane. Il programma è stato ideato e avviato dal prof. Giovanni Moretti, titolare della cattedra di Dialettologia italiana della Facoltà di Lettere dell'Università di Perugia fino all'anno accademico 1997-98. Le prime indagini sono state svolte in area umbra e hanno consentito di elaborare strumenti e metodi di raccolta e di documentazione. I materiali linguistici ed etnografici raccolti sono stati esaminati nell'ambito di importanti momenti di confronto e di discussione costituiti dai numerosi congressi e seminari. Il progetto ha contribuito a colmare una lacuna nella storia degli studi linguistici italiani, aprendo indirizzi di studio interdisciplinari in un ambito di esperienza, costituito da un settore produttivo e terminologico, fino a quel momento scarsamente attestato e minacciato da profonde trasformazioni. L'ALLI nasce ufficialmente nel 1982 in occasione del I Convegno tenutosi a Castiglione del Lago-Passignano (23-25 settembre) dal titolo Lingua, storia e vita dei laghi d'Italia, ma già dalla seconda metà degli anni Sessanta si erano svolte le prime indagini sul lessico dei pescatori del Lago Trasimeno ad opera di Giovanni Moretti. A S. Feliciano è già attivo dal 1984 il "Museo della pesca del Lago Trasimeno", primo centro di documentazione promosso dal progetto ALLI, che ha curato in questi anni varie iniziative per valorizzare la cultura dei pescatori-cacciatori del lago con la pubblicazione di una collana editoriale (i Quaderni del Museo della Pesca del Lago Trasimeno) composta di nove volumi, più tre CD-ROM tematici. A Passignano sul Trasimeno, nel luglio del 2004, è stato inaugurato il "Centro di documentazione sulle imbarcazioni tradizionali delle acque interne italiane".

2 Cfr. G. Moretti (cur.) (1984), Lingua, storia e vita dei laghi d'Italia. Atti del I Convegno Nazionale dell'Atlante Linguistico dei Laghi Italiani (ALLI) (Lago Trasimeno 23-25 settembre 1982), Perugia, Università degli Studi.

3 Si rinvia a O. BERARDI PAPARELLI, F. MINCIARELLI (1990), I Centri di Documentazione del Trasimeno, in G. Moretti (cur.), Per un atlante linguistico dei laghi italiani (ALLI). Tecniche di esecuzione e stato delle ricerche. Atti del II Convegno Nazionale dell'ALLI (Lago di Piediluco 25-27 ottobre 1986), Napoli, ESI, pp. 559-638.

4 Per approfondimenti vedi A. BATINTI, E. GAMBINI (2004), ALLI: proposta di itinerari di ricerca. Indagini etnolingui¬stiche e archeologiche negli ambienti umidi italiani; La civiltà delle acque interne e l'Atlante Linguistico dei Laghi Italiani. Consuntivo e prospettive; Giovanni Moretti e il Museo della Pesca del Lago Trasimeno, in A. Batinti, M. Bonino, E. Gambini (curr.) (2004), Le acque interne dell'Italia Centrale. Studi offerti a Giovanni Moretti, San Feliciano di Magione (PG), Pro - Loco, pp. 400.

5 Si possono consultare per approfondimenti i seguenti contributi realizzati con le moderne tecnologie:
  • A. Batinti, M. Bonino, E. Gambini (curr.) (2003), Passignano sul Trasimeno: il lago, la pesca, le barche (consulenza scientifica di A. Batinti, testi di M. Bonino, E. Gambini), Videocassetta VHF, Comune di Passignano sul Trasimeno (PG);
  • M. BONINO (2003), Centro di documentazione sulle imbarcazioni tradizionali delle acque interne italiane (consulenza e coordinamento dell'allestimento scientifico di A. Batinti, E. Gambini), Comune di Passignano sul Trasimeno (PG);
  • M. BONINO (2003), Le imbarcazioni tradizionali delle acque interne italiane (consulenza scientifica e coordinamento di A. Batinti, E. Gambini), CD ROM, GAL Trasimeno–Orvietano, Provincia di Perugia, Comunità Montana–Associazione dei Comuni Trasimeno Medio Tevere, Comuni del Comprensorio del Lago Trasimeno.

L’acqua di Perseo

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L’associazione Arbit è stata particolarmente felice di collaborare all’allestimento della mostra “L’acqua – Segni di territorio” che ancora per pochi giorni è visibile a Palazzo della Corgna.

Le opere che Perseo Santiccioli presenta in questa esposizione sono dedicate all’acqua. Un elemento che viene analizzato sotto diversi aspetti, sfruttando in modo originale tecniche e materiali tra i più vari.

I suoi quadri sono visioni che evocano le fatiche, le stagioni, le piante, i venti, il mutare dell’acqua e dei paesaggi.


Trasiremando con la tramontana

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Questa mattina, con una quarantina di minuti di ritardo, ha preso il via la seconda edizione della Trasiremando, la regata non competitiva riservata alle imbarcazioni a remi.

Numerosi gli iscritti che si sono presentati per la partenza alla darsena di Passignano; se non abbiamo capito male, il doppio rispetto al 2012.

A causa del forte vento, il percorso è stato cambiato nel più agevole Passignano-Tuoro-Passignano che ha il vantaggio d’essere prossimo alla riva e con onde meno pericolose.

Qui sotto alcune foto della manifestazione.

From 1833. Fishing boats used on the lake of Orbetello

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Charles Heath Wilson

I now beg your attention for a few minutes, whilst I describe the next drawing.



In the summer of 1833 I made a journey from Leghorn to Rome along the coast, a terra incognita to most travellers, my object being to trace the Via Aurelia. At Orbetello, the last town in the Tuscan States, besides making some interesting antiquarian discoveries, I observed the boats which I am about to describe.

Orbetello stands upon a peninsula, projecting into a shallow lagoon of some extent; the boats which are used upon it, are flat-bottomed, rise considerably at the bow and stern, being lowest at midships, across which part of the vessel a beam is fastened, about four inches thick each way, and which projects about two feet six inches over each side. On each of the ends of this beam an oblong piece of plank is nailed, the longest sides being horizontal, and a stout pin rises from each of these. The oars are of considerable length in proportion to the boat, and of great breadth in the blade, which is of the form shewn in the drawing. These oars rest upon the pieces of board at the ends of the cross-beam, being attached to the pin by means of a piece of cord, in this last respect resembling a mode adopted in boats on our own coasts. The blade of the oar slightly overbalances the portion within the fulcrum on which it rests, the handles nearly touch each other, meeting a-midship. By this contrivance, one man can manage a pair of very powerful oars, and can drive a boat, which is apparently but ill adapted from its form for speed, with surprising rapidity through the water; he can arrest its progress, or turn it with equal rapidity and certainty, and with very little exertion.



My knowledge of boats and ships is indeed very trifling, but l could not help seeing how easily the fisher of Orbetello manouvred his rude boat; and therefore I have been induced to bring forward this notice of a vessel and mode of rowing which I am not aware has been described. Besides, it suggests ideas as to the probable mode in which the ancients managed their triremes, well worthy the attention of the antiquary, especially if he will combine the hint thus obtained with the modes of rowing followed in the Bay of Naples on board the Sorrentine boats, which, I have been led to imagine from an examination of pictures in Pompeii, are much the same in every respect as the galleys which in old times navigated the same sea.

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  • Extracted from the article: Brief Observations on the State of the Arts in Italy, with a short account of Cameo-Cutting, Mosaic Work, Pietra Dura, and also some of the Domestic Arts and Mechanical Contrivances of the Italians. By Charles H. Wilson, Esq. Architect, Edinburgh, A.R.S.A., and M.B.A. Read before the Society of Arts for Scotland, 23d November 1840. Published in: "Edinburg New Philosophical Journal, Exhibiting a View of the Progressive Discoveries and Improvement in the Sciences and the Arts". October 1840 - April 1841, pp. 107-108.
  • Charles Heath Wilson, art teacher and author, son of Andrew Wilson, the landscape-painter, was born in London in 1809. He studied art under his father, and in 1826 accompanied him to Italy. After seven years, he returned to Edinburgh, where he practised as an architect, and was for some time teacher of ornament and design in the school of art.
    In 1849 he accepted the headmastership of the new Glasgow school of design.
    In 1869 he left Scotland and settled at Florence, where he became the life and centre of a large literary and artistic circle. He published a life of Michaelangelo. Victor Emmanuel conferred upon him the cross of the "Corona d'Italia". He died at Florence on 3 July 1882.

Le giovani promesse del Centro Rematori di Passignano

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Ieri mattina intorno alle 10,30 dalla passeggiata del lungolago di Passignano si poteva assistere a una esibizione della tipica remata a due del Trasimeno. A vogare erano i giovani ragazzi che nel mese di agosto hanno seguito i corsi organizzati dall'A.S.D. Centro Rematori Passignano.

Scopo primario del Centro Rematori Passignano è diffondere tra le nuove generazioni la tradizionale remata del lago Trasimeno, per far questo vengono usate le tipiche imbarcazioni da pesca, in particolare quelle già impiegate nelle passate edizioni del palio delle barche che i rioni hanno concesso all’associazione.

Alle lezioni agostane hanno preso parte più di 20 allievi, che hanno seguito gli insegnamenti teorici, ma soprattutto pratici, degli istruttori Alessandro Bigerna, Gianfranco Ceppitelli, Giovanni Ceppitelli, Faliero Coccolini, Giacomo Cozzari, Emanuele Fierloni, Daniele Giappichelli, Paolo Giorgini, Giorgio Infarinati, Paolo Pambianco, Simone Pambianco e David Sordini.

Grazie a Luca Biagini che risoluto "ha fatto i nomi".

[E. F.]

Cosa sono quelle tabelle gialle arrugginite?

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di Anna Rita Ferrarese

Sarà capitato a molti, percorrendo le strade che circondano il lago Trasimeno, di scorgere delle tabelle gialle, molte delle quali in uno stato di conservazione non proprio eccezionale. Cosa sono? Qui sotto cerchiamo, in breve, di ripercorrerne la storia.



Negli anni ’80 del secolo scorso, la Provincia di Perugia ricevette dal Consorzio per la Pesca e l’Acquicoltura del Trasimeno (nato nel 1917, per controllare e incrementare le attività economiche legate al lago) un elenco dattiloscritto delle scese (o scenditoi) di tutto il perimetro lacustre.

Forse è superfluo ricordarlo ma le scese sono le strade, i viottoli, i sentieri (in alcuni casi anche i fossi), più o meno grandi, che permettono l’accesso al lago.

La documentazione del Consorzio, che abbiamo pubblicato nel nostro sito a marzo, riportava la denominazione storica di ogni singolo accesso e, per molte delle scese elencate, la destinazione d’uso, le indicazioni sui proprietari confinanti, le attività che vi si svolgevano e in alcuni casi anche il nome del pescatore che l’utilizzava come ormeggio.

Le informazioni così ottenute dettero il via ad una ricognizione da parte della Provincia sulle coste del Trasimeno per verificare la reale presenza degli accessi al lago e il loro stato di conservazione e fruibilità. Molte delle scese erano strade pubbliche, altre di uso pubblico legate a servitù costituitesi nel tempo per il continuo utilizzo da parte dei laghigiani.



Si raccolsero testimonianze fra i residenti sull’uso e sui nomi. Nomi che spesso erano collegati alle famiglie residenti, alla toponomastica dei poderi vicini, alla vegetazione presente nella zona o agli usi a cui erano state tradizionalmente adibite.

Questo lavoro di approfondimento permise di incrementare l’elenco iniziale del Consorzio e di avviare il ripristino delle servitù scomparse per iniziativa dei proprietari frontisti, che in alcuni casi avevano arato, recintato o sbarrato gli accessi al lago.

Anche per cristallizzare questa azione di recupero e reintegrazione venne deciso di apporre all’inizio di ogni scesa una tabella gialla con riportata in nero la denominazione storica.

L’intento era di perseguire più obiettivi: riaffermare l’uso pubblico di questi accessi; recuperare la coscienza storica e la conoscenza ambientale del luogo; permettere una fruizione del lago a residenti e turisti con un approccio inconsueto, essendo le scese, spesso, fuori dai centri abitati e lontane dalle spiagge.



Quindi è solo agli inizi degli anni ’80 del XX secolo che si eseguirono i primi interventi.
La Provincia non si limitò alla ricognizione e alla predisposizione della segnaletica, ma sistemò alcuni fondi stradali e riassestò la fascia demaniale al termine di alcune scese, “per consentire una razionale e massima godibilità del lago da parte di tutti i cittadini”1.

Ma questo interessante piano di recupero e valorizzazione si arenò. Vediamo perché.

Avvenne quando il progetto provinciale di sistemazione delle scese del Lago Trasimeno fu trasferito dall’amministrazione provinciale ai comuni rivieraschi, a seguito del parere espresso, nel 2000, dall’Ufficio legale della Provincia di Perugia, che indicò i comuni quali titolari delle servitù di uso pubblico e dei poteri sulle strade vicinali. Di fatto, quindi, si inibì l’Amministrazione Provinciale ad intervenire sui proprietari per ripristinare la fruibilità pubblica delle sponde del lago.

L’unitario progetto di riordino e valorizzazione si frantumò così tra le competenze dei comuni che non ebbero la forza, o non vollero portare avanti questo piano che, è bene ricordarlo, potenzialmente poteva portare a dispute anche legali con i proprietari delle strade e dei terreni.

Non tutte le tabelle furono piantate; si dice che nei magazzini dell’amministrazione provinciale giacciano ancora le insegne mai affisse.

Di questo importante lavoro restano solo poche tabelle gialle che lentamente vanno scomparendo.




Elenco delle scese tabellate dalla Provincia di Perugia

La lista che segue è la trascrizione dell'elenco manoscritto redatto dalla Provincia di Perugia nei primi anni ’80 del secolo scorso, delle tabelle gialle che segnalano le scese intorno al lago. L'elenco è suddiviso in zone che corrispondono ai confini comunali. L'indicazione di scesa o strada non corrisponde sempre alla lista delle scese dattiloscritta negli stessi anni dal Consorzio Pesca e Acquicoltura del Trasimeno e mancano alcune scese che sono ancora oggi segnalate da un cartello.

D = Demaniale

Comune di Magione
  1. Scesa del Ciambello
  2. Abbeveratoio (scesa comunale) D
  3. Scesa comunale D
  4. Abbeveratoio
  5. Scesa dell'argine delle donne
  6. Scesa pubblica la Macerina
  7. Scesa del Portino
  8. Scesa della Castagneta
  9. Abbeveratoio del Malanchino
  10. Abbeveratoio
  11. Scesa di San Pietro D
  12. Strada del Roncone
  13. Scesa di Zocco D
  14. Strada della Madonnuccia D
  15. Strada della Rocca
  16. Abbeveratoio il Poderone D
  17. Abbeveratoio Monte Oliveto (chiusa da Coni) D
  18. Strada della Capanna
  19. Strada del Sorbo
  20. Strada della Casella D
  21. Porto San Savino
  22. Strada delle Macchiaie
  23. Strada del Lombardo
  24. Scesa Pubblica per la Gabella
  25. Sasso Serpaio D
  26. Viale della Palazzetta D
  27. Scesa dell'ArginoneD
Comune di Tuoro sul Trasimeno
  1. Scesa della Macerina D
  2. Scesa della Pieve D
  3. Scesa della Pioppeta D
  4. Scesa di Tuoro D
  5. Scesa di Casa del Piano D
  6. Scesa del Rio D
  7. Scesa di Valle Romana D
Comune di Passignano sul Trasimeno
  1. Scesa dell'Oliveto D
Comune di Panicale
  1. Scesa di Poggio di Braccio D
  2. Scesa "Il Viale" D
  3. Scesa della Colonna D
  4. Scesa della Cacina D
Comune di Castiglione del Lago
  1. Scesa "Via delle Parti" D
  2. Scesa del Lino D
  3. Scesa Pubblica della via Prata D
  4. Scesa della Frasca D
  5. Scesa delle Capanne D
  6. Scesa del Vione D
  7. Scesa del Buzzone D
  8. Scesa della Macerina D
  9. Viottolo del Pescatore D
  10. Scesa dell'Olivo Torto D
  11. Scesa del Nocio D
  12. Scesa del Pozzo D
  13. Scesa della Piana D
  14. Scesa Mezzetti D
  15. Scesa Trasimeno D
  16. Scesa della Badiaccia D
Qualcosa si è mosso. Le ultime attività di valorizzazione

Nell’ottobre 2001, la Regione e il Ministero dell’Ambiente siglarono un accordo che per l’area del Trasimeno ha consistito nella realizzazione di un progetto di ripristino di alcune scese demaniali poi realizzato dal Parco del Trasimeno. I progetti hanno interessato la porzione di superficie delle sponde, situata alla fine delle scese e lo specchio d’acqua antistante, migliorando la fruizione da parte dei cittadini e dei turisti, rendendo più visibile il parco, attraverso “finestre” che si affacciano direttamente sul Trasimeno. Questi lavori di ripristino, in alcuni casi, non hanno tenuto conto della destinazione storica della scesa e ne hanno compromesso la funzione di ormeggio.



Il “Progetto Scese – Interventi atti a favorire e migliorare la fruizione delle sponde lacustri” prevedeva la sistemazione e la riattivazione di sei scese demaniali nei cinque comuni consorziati:
  • Comune di Castiglione del Lago - Scesa dell’aeroporto lungo la sponda del Torrente Paganico;
  • Comune di Magione - Scese di Monte del Lago;
  • Comune di Panicale - Scesa Poggio di Braccio e del Grottone;
  • Comune di Passignano sul Trasimeno - Scesa dell’Oliveto;
  • Comune di Tuoro sul Trasimeno - Scesa della Casa del Piano;
  • Comune di Tuoro sul Trasimeno - Isola Maggiore - Scese del Centro Abitato e viabilità pedonale “Sasso di San Francesco”.


Visualizza Associazione Arbit in una mappa di dimensioni maggiori

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Note:
1 Lettera della Provincia di Perugia Prot. N. 12792 del 12.07.1983 al Presidente del Comprensorio del Lago Trasimeno ed ai Sindaci dei Comuni rivieraschi

Un nuovo barchino dal lago di Massaciuccoli

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La scorsa settimana abbiamo avuto il piacere di conoscere Riccardo Genovesi che, giustamente orgoglioso, ci ha mostrato e descritto la sua ultima realizzazione, fresca di varo1. Riccardo non è nuovo a simili imprese, questa è la quarta imbarcazione che costruisce con le sue mani.

Si tratta del tipico barchino a fondo piatto di Torre del Lago utilizzato per la caccia sul lago di Massaciuccoli.

Non è la versione più spartana per il padule, ma quella più elegante e moderna, con pontino a prua, capodibanda, cornici e altre rifiniture.

In questo tipo di imbarcazione sono evidenti le influenze estetiche della nautica da diporto, in parte spiegabili con la vicinanza al mare e con il probabile travaso di teniche costruttive.



Rispetto ai barchini più arcaici si nota come i fianchi siano meno svasati; la sponda più alta; il culaccino (lo specchio di poppa) più largo, alto e robusto, in grado di supportare anche un motore importante.

Sempre a poppa vi sono due inconsueti elementi in acciaio che servono da sostegno per il telo di copertura; due elementi equivalenti si trovano sul ponticino di prua.

In questa imbarcazione la leva (la curvatura longitudinale del fondo) è minima, decisamente ridotta rispetto agli altri modelli in uso sul lago2.

Tutto intorno all'imbarcazione corre un leggero paracolpi in alluminio a protezione del perimetro dello scafo (foto sotto a sinistra).




Nel realizzare la barca, Riccardo si è ispirato a un barchino del costruttore Lazzerini di Torre del Lago, riducendone però la lunghezza a 5 metri; rispetto ai 5,25 del modello (le minime modifiche hanno interessato essenzialmente la zona di prua dell’imbarcazione). 

Per lo scafo ha utilizzato compensato marino da 0,8 mm. Per gli altri elementi come i matini (le ordinate) e la coperta di prua, il legno di cipresso calvo.

Nella foto sopra a destra si possono vedere i vari elementi: il pagliolo in compensato marino non trattato; le ordinate colorate con il fissativo; le tavole del ponticino. Si nota anche il punto in cui la sponda fa l'angolo, ovvero forma un leggero spigolo che si sviluppa longitudinalmente per tutta la sponda alla congiunzione delle due tavole.

Riccardo ci ha anche descritto l'ordine seguito durante la costruzione.
«Ho preparato i matèi di fondo e le costole. Ho iniziato con il fondo in compensato seguendo un modello, poi ho inchiodato i matini di fondo, poi le costole. Ho inserito il culaccino, le fasce, l'arcatura nella parte superiore e per ultimo il pontino».



Nella foto sopra un particolare della sponda con i matini e il dormiente sul quale poggiano le due tavole (panche) rimovibili in abete. Il dormiente non ha una funzione strutturale perché lo spartito dei matèi, il capodibanda e la cornice-falchetta garantiscono all'imbarcazione una solidità più che sufficente a sostenere un motore a scoppio.

Nell’immagine sotto, con il pagliolo alzato, si può vedere il fondo dell’imbarcazione con i matini di fondo.

Il legno è stato trattato con il minio in polvere allungato con olio di lino cotto. Le parti visibili sono state verniciate con uno smalto per legno navy blu.



Il pagliolato è particolarmente preciso, quasi un pavimento, per «garantire una assoluta stabilità a chi è alla guida dell'imbarcazione e ai passeggeri».

Nella foto sotto si possono notare: il pontino; gli ombrinali che permettono l'uscita dell'acqua dal triangolo di prua; il nasetto di punta.

Fatto salvo il motore, la barca si manovra in piedi con un lungo remo di legno utile anche per spingere la barca sui fondi paludosi, ma si usano anche remi in legno più corti per pagaiare da seduti.




Tipo di imbarcazioneBarchino
ProprietarioRiccardo Genovesi
CostruttoreRiccardo Genovesi
LagoMassaciuccoli
LocalitàTorre del Lago Puccini
UsoCaccia
Anno di costruzione2013
Materiali di costruzione dello scafocompensato marino
Colore Navy blu
Spessore del fasciamecm. 0,8
Lunghezza fuori tuttocm. 500
Lunghezza al galleggiamentocm. 445 circa
Larghezza al centrocm. 104
Larghezza del fondo al centrocm. 85
Larghezza della poppacm. 79
Lunghezza della sezione copertacm. 147
Altezza a pruacm. 50
Altezza al centrocm. 48 circa
Altezza a poppacm. 40
Leva di pruacm. 12 (per cm. 230 dalla prua)
Leva di poppacm. 3 (per cm. 150 da poppa)
Numero delle ordinate13
Spessore delle ordinatecm. 2
Distanza tra le ordinatecm. 32
Materiale delle ordinateCipresso calvo
PancaDue panche mobili in abete
Brachet o sostegno per il motoreTavola applicata alla poppa
ManovreMotore elettrico e remi in legno

Il barchino gemello, o quasi

Quello fin qui descritto è il quarto barchino costruito da Riccardo.
Nelle foto che seguono, invece, è possibile osservare il barchino che ha realizzato negli anni '80.



L'imbarcazione è praticamente identica a quella del 2013. Differiscono leggermente le misure: più lunga di cm. 25 e più larga di cm. 5. Come materiale furono utilizzate delle tavole di cipresso e non il compensato marino.

[E. F.]



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1 Questa breve scheda è stata realizzata grazie al supporto di Claudio Del Re. Le misure dell'imbarcazione sono state rilevate con la collaborazione di Ernesto e Robert Iannazzi. Un ringraziamento a Marco Genovesi per la pazienza dimostrata.

2 Sull'evoluzione del barchino di Massaciuccoli vedi Marco Bonino, Il barchino di Fucecchio, in Il lago ...uno spazio domestico, Studi in memoria di Alessandro Alimenti, Quaderni del Museo della pesca del lago Trasimeno, n. 3, pp. 224-226. Per altre immagini dei barchini vedi le foto di Roberto Viciani nel volume Massaciuccoli il lago di Puccini, Greentime, 2002, in particolare le pp. 56, 61, 85, 86, 96. Altre immagini nel filmato dell'Istituto Luce sulla caccia alle folaghe http://youtu.be/Uk6bXEgam-Y.

«A very pretty little island». From Perugia to Polvese Island in the year 1854

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Mrs. J. E. Westropp (Perugia, Aug. 28, 1854).

On our return to the hotel we sent for a man who owned carriages, and agreed with him to take us to Lake Thrasymene the following morning. Ever since my arrival in Perugia I have longed to make this expedition, but the count and countess said they wished to go too, and begged me to wait. I do not think they would have made up their minds now to go, but I would not wait any longer, and said, if they could not accompany me, I should invite some of the P. family to do so. Don Porfidio came in the evening; and we begged him to go with us. He was too occupied to be absent front Perugia, but most kindly gave us much information, and sent us a note of introduction to a friend of his, who would procure us permission to land upon one of the islands.

Saturday the 26th was a beautiful day. We had some coffee and eggs, and started at half-past six, leaving the city by the Porta St. Carlo. The drive was very pretty, the road generally level, and winding through fertile plains along the valley of the “Caina,” a narrow, bright, clear river. The vine was the great object of cultivation. A picturesque middle-age tower, covered with ivy, upon a very high hill, was very conspicuous long before we arrived at it. It is called “La Magione,” and is about ten miles from Perugia. The hill was so steep that we had oxen to drag us up. We left the carriage when we entered the little village of the same name as the tower, but there was nothing to be seen; the church was shabby, and some pictures which would have been tolerable were quite ruined by the insertion of little tinsel crowns over the head of the Virgin and Child, a practice very common in Italy.

At a short distance from the village we stopped again to explore a most interesting and picturesque castle called the Abbey of La Magione. It is a square pile of building with four towers at the corners, all of them differing from each other - one is round. In the centre is a campanile, or bell-tower. Part of the ancient wall still remains, and an old gateway by which we entered. The interior is very oriental in its appearance; there is a large court, round which run galleries with arcades, three stories high. It is occupied now by a farmer, and looked sadly neglected - barrels, farming utensils, pigs, poultry, and dogs, being seen in all parts. The man who showed us the castle was very intelligent, and gave us much interesting information about its proprietors. It was formerly the strongest and richest possession of the Knights of St. John of Jerusalem, and still belongs to the order. People usually think, that this order exists no longer, but this is not the case. The last grand master was L’Ile d’Adam, when the order was suppressed by Napoleon. He died many years since, and has never had a successor; as he was the military head, and the days of chivalry being over, another is not required. The grand prior, formerly the second in command, is now the first; he must be a cardinal and a Roman prince. Cardinal Lambruschini, who died two or three months since, held the office for many years; his successor is Cardinal Treschi. The master lives in a house belonging to the order, in the Via Condotti, in ‘Rome. I forget his name; he is not at all popular, and is said not to have the interests of the order at heart. There are a great many chevaliers, who wear a red uniform with black facing, white trousers, and the cross of their order; they elect their master, subject to the approval of the Pope.

The revenue is derived from this estate of La Magione. It is paid to the society of the Propaganda, who pay 4,000 crowns annually (rather more than £800 English) to the grand prior, and the same sum to the sub-prior, who always lives on the Aventine, at St. Maria del Priorato, and is supposed to do all the business of the order, the cardinal chief having other occupations and places of abode. The master also receives 4,000 crowns. I conclude the Propaganda make something for themselves, over and above the 12,000 crowns they pay, but this I could not learn.

I took a little sketch of this interesting castle, and then we entered the carriage, descended a steep hill, and soon came in sight of the lovely lake. It is more than thirty miles in circumference, and only four miles broad in the widest part. It really was most lovely, surrounded by mountains, and the little white villages nestling among trees along its banks. We drove by it for about two miles, when we stopped at the little village of St. Feliciano, such a miserable dirty little place, and, oh, such an inn! There was a large kitchen, and two small bedrooms, one occupied by the family, where the landlord lay sick, groaning dreadfully. We ordered some food, and while it was being prepared, went out.



Count F. took Don Porfldio’s note to the curate, and on his return we went to see a huge “regina,” twenty-four pounds’ weight. This is an excellent fish, peculiar to this lake, and usually about four or five pounds’weight. It was being exhibited, and its owners then meant to sell it by the pound. Upon our return to the inn we found a table prepared in one of the bedrooms. The curate with his vicar had arrived, and joined us in our repast, which we enjoyed greatly. We had broiled fish - “regina” and “tincha” - which was excellent, and cooked to perfection; eggs, potatoes, and apples. The bread was very bad. The wine was said to be very good, but I did not taste it. The curate was most polite, and so was the vicar, a good humoured young man of twenty-two, in a suit of cotton velvet, and very unclerical in his appearance. He went out to order the large boat belonging to the proprietor of the island, for the little cockle-shells used for fishing are very dangerous when there are squalls, and there was a good deal of wind. When all was ready we went out, and found a huge flat-bottomed boat like a room. Four chairs were prepared for the “forestieri” and “his reverence,” and a bundle of straw for the vicar, who had selected a numerous crew to manage the unwieldy vessel. We were soon off for Isola Polvese, a distance of two miles. The poor priest did not at all enjoy being on the water: there were regular waves, and the wind was so strong that the boat rocked greatly. The priest continually crossed himself, invoked “Maria Santissima,”. and asked if we should not be drowned. As we approached the island the water was smoother, and was of the most delicate pale green.

Besides the natural beauties, the historical recollections of Lake Thrasymene add greatly to one’s pleasure. These mountains, islands, and the lake remain as they were in the days of Hannibal. I asked the vicar to show me the tower built on the site of Hannibal’s camp, the Monte Gualandro, which he crossed to enter the valley of the lake, and the Sanguinetto, the little river which ran with Roman blood. All these places were at some distance, near the furthest extremity of the lake.

Half-an-hour in the boat brought us to the “Isola Polvese.” The “guardiano” came down to the boat, and Don Giam-Maria Seraphinis, the priest, got out and spoke to him; after which permission was given us to disembark. It is a very pretty little island, three miles in circumference,.and is very fertile. On the highest point are very picturesque remains of a castle. We entered a court-yard surrounded by high walls, and a tower: these ruins date from the fifteenth century. At a little distance are the remains of a convent of Olivetani monks. The church must have been large and handsome; now it is roofless, carpeted with turf, and most of the arches dividing the centre from the side aisles are broken. The monks always choose fine situations for their convents. The view from this spot is most lovely over the lake, which is surrounded by mountains, and the other two smaller islands, Maggiore and Minore, the former of which is inhabited, and its little town surmounted by the church; shone bright and white in the sun. The Olivetani monks possessed Isola Polvese till about 300 years since, when they sold it. The present possessor is a Roman Count, who uses it principally as a game preserve. It is uninhabited except by one family of “guardiani.”

We walked over the island in all directions. Our boatmen cut the large reeds and canes which grew in profusion, and beat the bushes to show us the numbers of hares, rabbits, and pheasants. I never saw so many pheasants together anywhere. But time advanced, and. it was necessary soon after three to get into the boat. The wind had fallen, and poor Don Giam-Maria was not in fear for his life, but lest he should catch cold, to avert which catastrophe he took out a coloured pocket-handkerchief and knotted it on his head like a wig under his clerical hat, to the great amusement of the vicar. The priest ought to come over to this island occasionally to say mass for the “guardiani,” but, being afraid of the water, he sends the vicar, who comes once a month, when “wind and waves permit,” to say mass at a tiny chapel.

When safe on terra firma, we went to Don Giam-Maria’s house, which commands a beautiful view over the lake. His sister brought us some coffee, and we stayed half-an-hour in conversation with her and the niece, a child of ten years of age. The walls of the room were hung with engravings, and the worthy priest had a curious inlaid cabinet with secret drawers, of which he was very proud. In summer this must be a very pleasant residence, but very cold and exposed in winter. We went afterwards to the church, a very wretched place. Count F--- whispered to me to prepare a compliment, as Don Gian-Maria expected we should praise his church, but truth forbade my doing so, as I could not find one thing to praise. At last my eye fell on a number of low benches, and I said I was glad to find he had so large an attendance of children. This remark pleased the good man, who was very fond of children, and we talked some time about schools. He showed us a wretched head of St. Jerome, like a sign-board, and said that the design was said to be by Lo Spagno!! My friends complimented him on such a possession, but I really could not.

The vicar then announced our carriage. We returned to the hotel, paid our bill, shook hands with Don Giam-Maria and the vicar, and drove off, all the village being assembled to witness our departure, for a visit of “forestieri” is a great event to these simple people.
We left St. Feliciano at half-past four.

[Questo testo in italiano]



[Summer Experiences of Rome, Perugia, and Siena, in 1854: and Sketches of the Islands in the Bay of Naples. By Mrs. J. E. Westropp. London: William Skeffington, 1856, pp. 194-201, Letter XIV. – Abbey of La Magione – Isola Polvese – Lake Thrasymene.]

Lago di Massaciuccoli. Un barchino da Quiesa

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Torniamo ad occuparci del lago di Massaciuccoli. Questa volta per un barchino in legno di cui ci parlò Claudio, ormai più di un anno fa.



È sabato mattina, siamo con Robert ed Ernesto, diligenti seguiamo le indicazioni stradali. Parcheggiamo e alle undici eccoci sul luogo dell'appuntamento. Superiamo il cancello e ci dirigiamo verso il fondo, dove c'è la siepe di lauro, la barca è lì, vicino alla rete di recinzione, sotto un telo azzurro.

Rimuoviamo la copertura, il barchino è rovesciato, poggiato su due due assi di legno. Lo raddrizziamo, così da poter vedere l'interno con le costole. Da qualche tempo non viene più utilizzato ma è ancora in buone condizioni. La vernice grigia in alcuni punti è consumata, qua e là tracce di uno smalto verde bandiera.



Il barchino è stato costruito negli anni '70 a Bozzano in provincia di Lucca da un artigiano di nome Vincenzo. È da lui che l'acquistò Giorgio per la caccia nel padule.

Questa barca semplice e leggera è nata per essere manovrata agevolmente nelle acque basse e paludose, tra canali e canneti.  Imbarcazioni simili erano utilizzate per la pesca, la caccia, la raccolta di erbe palustri o per piccoli trasporti.

Nell'immagine sopra è possibile vedere quanto sia accentuata la leva (la curvatura longitudinale del fondo) sia a prua sia a poppa dove l'altezza delle sponde si riduce notevolmente.



La forma è più lanceolata rispetto al barchino moderno che, invece, è tendente al rettangolare. Anche le sponde sono più basse e svasate, salgono diritte senza fare l'angolo.

L'inclinazione del culaccino (lo specchio di poppa) è più accentuata rispetto alla barca costruita da Riccardo Genovesi. Nella parte superiore dello specchio si nota la tavola sagomata che è stata aggiunta per supportare il motore, nella parte interna si notano i due rinforzi in acciaio.




Il fondo è formato da tre larghe tavole. L'interno è cadenzato dagli unici matei (le ordinate). Sulle costole corre un dormiente continuo, sul quale poggiano due panche fisse e una terza tavola rimovibile.
Qualche anno fa, la parte esterna dello scafo è stata ricoperta in vetroresina.



Tipo di imbarcazionebarchino
ProprietarioGiorgio Giorgi
CostruttoreVincenzo di Bozzano
LagoMassaciuccoli
LocalitàQuiesa
Usocaccia
Anno di costruzioneanni '70
Materiali di costruzione dello scafosamba - obeche
Colore grigio
Spessore del fasciamecm. 2
Lunghezza fuori tuttocm. 441
Lunghezza al galleggiamentocm. 300 circa
Larghezza al centrocm. 108
Larghezza del fondo al centrocm. 91,5
Larghezza della poppacm. 70
Altezza a pruacm. 43
Altezza al centrocm. 38 circa
Altezza a poppacm. 56
Numero delle ordinate11
Spessore delle ordinatecm. 2,6 - 2,8
Distanza tra le ordinatecm. 32
Materiale delle ordinatesamba - obeche
Pancadue panche fisse e una mobile
Brachet o sostegno per il motorein legno a poppa
Manovremotore elettrico e remi in legno

Pescatori tra le onde del Trasimeno in un vhs degli anni '80

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Grazie all'intervento di un socio, siamo riusciti a recuperare un vecchio vhs girato sul finire degli anni '80 a Castiglione del Lago.

Si vedono Andrea Pagnotta e Nazzareno Buchicchio che, partendo dalla vecchia cooperativa, escono a pesca affrontando un lago particolarmente minaccioso.

Si può notare l'abilità di Andrea nel mantenere la barca remando, mentre soffia un forte vento. Intanto Nazzareno recupera dai tofi una notevole quantità di agone (letterini).



Ringraziamo Rita che ha girato queste immagini e ha conservato la videocassetta. Colonna sonora Christian Alamanni (Kriss96), Reverb in the sea.


Anche la tassa sul pesce... ma è il 1859

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NOTIFICAZIONE

Il delegato apostolico della città e provincia di Perugia

La santità di Nostro Signore si è degnata di approvare alcune riforme proposte per l’amministrazione del Lago Trasimeno alla cui sopraintendenza è stato per Sovrana nomina destinato Sua Eccellenza il Sig. Conte Alessandro Baldeschi Eugeni gran Croce dell’Ordine Piano, ed è perciò che si ordina quanto appresso.
  1. La Tassa di appalto pei porti viene indistintamente ridotta a baj. 60.
  2. L’altra Tassa per i privilegi di pescare detta Chirografo sarà da qui innanzi parificata per tutte le poste, e stabilita indistintamente nella misura di § 4 per ciascuna.
  3. Si dichiara abolita la tara del 10 per cento sul peso del Pesce di qualunque sorta, contemplata già nell’Art. 38 del Moto Proprio della Santa Memoria di Pio VII del 3 Agosto 1822.
  4. Si dispone in ultimo che il dazio sul Pesce debba essere equilibrato, e che perciò l’attuale in vigore venga ridotto per ogni 100 libre come segue:
    • Dal primo Settembre a tutto Gennaro per il Pesce Bianco SCUDO UNO, per le Anguille, Ancone, e Valle SCUDI DUE, per Luccio, Tinga, e Regina SCUDO UNO E BAJOCCHI DIECI.
    • Dal primo Febbraro a tutto Aprile pel Pesce Bianco BAJOCCHI OTTANTA, per l’Anguille, Ancone, e Valle, SCUDI DUE.
    • Dal primo Maggio a tutto Agosto pel Pesce Bianco BAJOCCHI SESSANTA, per l’Anguille, Ancone, e Valle, SCIDO UNO E BAJOCCHI SESSANTA, mantenendosi sempre il suindicato Dazio di SCUDO UNO E BAJ. DIECI pel Luccio, Tinga, e Regina.
Per tutto ciò poi che non si oppone alle presenti disposizioni, che dovranno aver principio col primo del prossimo di Settembre, rimane in pieno vigore il citato Motu-Proprio Piano che viene ora richiamato in osservanza, e segnatamente negli articoli 89 e 90.

Data della Nostra Residenza Delegatizia in Fuligno lì 27 Agosto 1859.

Il Delegato Apostolico Luigi Giordani



  • L'ottimo Paolo Magionami ci ricorda che "Luigi Giordani il 27 agosto 1859, promulga l'editto da Foligno, città dove riparò a seguito dei moti "perugini" del 14 giugno 1859 e poco dopo sedati dalle truppe pontificie, era il 20 giugno 1859".
  • L'abbreviazione usata per la parola "scudi" è stata resa con il simbolo §.
  • La scansione del documento si può trovare nella sezione Storia e memoria della Biblioteca di Castiglione del Lago.

1871. La pesca nel lago di Orbetello

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La relazione che si può leggere qui sotto è tratta dalla raccolta La pesca in Italia. Documenti raccolti per cura del Ministero di Agricoltura, Industria e Commercio del Regno d'Italia, ordinati da Ed. Adolfo Targioni Tozzetti, Vol. I., Parte I. Annali del Ministero di Agricoltura, Industria e Commercio. Genova, Tipografia del R. Istituto Sordo-Muti, 1871, pp. 618-620.



Della pesca nel lago di Orbetello

Indicato da Strabone nel dire di Cosa (lacum marinum prpe portumhercullis), il lago di cui si parla è chiuso fra il Monte Argentario, e la costa continentale per due lati uno a S. O. l'altro a N. E. e per altre due una a Levante una a N. O. dallo stretto Istmo della Feniglia, e dalla diga anco più stretta del Tombolo. Ha figura di un trapezio, entro il quale dal mezzo della costa di levante si avanza la punta con la città di Orbetello alla testa, e un ponte diga che riunisce questa col Monte Argentario medesimo.

In comunicazione col mare anticamente per i quattro angoli suoi, due delle bocche, cioè quella di Ansidonia e di Portuso a S. O. e a S. E. furon chiuse per naturali interrimenti; artificialmente fu chiusa dopo il 1859, quella a N. E., rimase quindi aperta soltanto quella detta di Nassa all'estremità occidentale del Tombolo, dove questo si unisce a Monte Argentario, ristretta però da due cateratte o peschiere l'una di m. 1.60, l'altra di m. 1.21 di luce.

Per la bocca N. E. prima che fosse chiusa aprivasi il canale di Fibbia e con questo scaricavasi nello stagno o lago un grosso corpo di acque del fiume Albegna; di acque dolci vi è però ancora afflueuza dal littorale dell'Argentario e del continente. La superficie del lago è molto variabile. Essa colle massime piene misura circa 32 Chil., 26 e 30 Chil., nelle stagioni più secche; l'acqua con livello più alto del mare ambiente si valuta in media a 1.30 da alcuno in profondità, variando per altri con un minimo che dopo la chiusura del canale di Fibbia sarebbe sceso da 45 a 25 centim. Le acque dello stagno sono molto più salate dell'acqua del mare.

Antica stazione di pesca e di conserva di pesci, come ha poco lontano fuori del Tombolo Porto S. Stefano (Cetaria Portus), dove ancora trovasi una Tonnara, avrebbe avuto un'altra Cetaria o conserva col nome di Cetaria Domitiana, per alcuni dove oggi è Orbetello, per altri presso la Torre di S. Liberata. Qui fin dal secolo passato l'Holstein avvertiva, certi antichi muraglioni, che verisimilmente servivano a chiudere le conserve per alimentarvi il pesce. Questi però si considerano da altri (Paolo Savi) oggidì come la parte inferiore di un grande edifizio, sommerso per abbassamento di terreno.a

Comunque sia lo stagno o lago se si vuole, alimenta oggi Cefali, Mazzardi, Codirosse Spigole, Acerate, Aguglie, Ghiozzi denominati, in complesso Pesce bianco, e Pesce nero cioè Anguille - di cui distinguono i Capitoni, le Anguille gentili o diritte e le Anguille dette torte o paglierine -.

La pesca vi si fa con Tramagli, Bertavelli, Arelle, Arelloni altra volta proibite; colla Fiocina, e la Coffa più innocue alla conservazione della specie, ma molto peggio con siepi di canne palustri, disposte ad angolo, al vertice del quale si pongono fittissimo reti, che tutto fermano a gran detrimento dei futuri guadagni.

Si contavano prima di queste nuovità nel modo di pescare 30 barche, ciascuna montata da tre pescatori, oggi alle barche sono sostituiti barchetti di minor conto, ed in piccolissimo numero.

Il lago è proprietà del municipio fino dalla costituzione di questo, e fino dal 1414 appartenne al municipio stesso la privativa delle peschiere di Nassa a Ponente, e di Fibbia a Tramontana, dalle quali si traeva frutto per mezzo di pescatori, pagati col 5% del pesce nero pescato, finché a questo sistema non fece poi luogo quel dell'appalto.

Costruita la diga che congiunge l’Argentario a Orbetello, (1842), un Decreto granducale assegnò al comune la parte a ponente (N. 0.) dello specchio d'acqua, lasciò alla libera pesca quella a levante (S. E.).

Il reddito annuo delle peschiere si valuta ora a 23,000 lire, e per la sua proprietà il municipio orbetellano paga L. 6.000 di contributo fondiario.b.


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Note:

a V. Gio. Targioni Tozzetti Viaggi per la Toscana 2 ed., T. 9, p. 314. Savi. Docum. per servire alla costituzione fisica della Toscana mem. 1 - Antonelli; il lago si Orbetello mem. 1 e 2. Cocchi. Note geologiche sopra Cosa, Orbetello e Monte Argentario provincia di Grosseto 1871.


b Informazioni particolari del sig. Avv. Movizzo.
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