Quantcast
Channel: Associazione Arbit
Viewing all 110 articles
Browse latest View live

Descrizione geografica, fisica, e naturale del Lago Trasimeno

0
0
Quella che segue è la trascrizione della Descrizione geografica, fisica, e naturale del Lago Trasimeno comunemente detto il Lago di Perugia che Bartolomeo Borghi scrisse negli anni '70 del XVIII secolo e che fu pubblicata postuma nel 1821.



Descrizione geografica, fisica, e naturale del Lago Trasimeno comunemente detto il Lago di Perugia.
Del Signore Arciprete Borghi.

Spoleto MDCCCXXI. Dalla Tipografia Bassoni (Con App.)

In quella parte dello Stato della Chiesa, che chiamasi Territorio di Perugia, e verso il Maestrale di quello, è situato il Lago dagli antichi Romani chiamato Trasimeno, il quale in oggi benché fra la colta gente abbia conservato il suo nome, chiamasi nonostante dalla comune il Lago di Perugia, abbenché ne sia lontano circa dodici miglia, e rimanga da questa separato da una catena di monti. Una catena di questi monti, la quale distaccasi dall'Appennino verso le sorgenti dell'Arno, e del Tevere, si stende tortuosamente fino a quella parte, gli sovrasta a Tramontana, e degenerata poscia in alti Colli, lo fiancheggia dalla parte di Levante fino al Castello di S. Savino. Un'altra catena di monti, la quale partendo dal monte della Peglia nell’Orvietano, e dal monte Erile, detto più communte la montagna di Pratalenza, e del Piegajo, stendesi tortuosa, fin là, lo fiancheggia dalla parte di Mezzogiorno. A Ponente egli lambisce le Pianure del così detto Marchesato di Castiglione.

La figura di questo Lago, benché dagli antichi Topografi, ci sia stata rappresentata rotonda, o quasi ovale, ella è nulladimeno irregolare, formata da varj seni, che s'inoltrano dentro terra, i più rimarcabili de’ quali, sono quello, che si approssima al Castello del Borghetto, l'altro a mezzogiorno di Castiglione, il terzo considerabile, che si estende fino alle falde dei monti, ove sono situati i Castelli di Montebuono, e S. Savino, chiavmato la Valle di S. Savino, ed il quarto anche più rimarchevole, che s'inoltra dal Monte del Lago, e la terra di Passignano fino alla Torricella. Due Promoutorj, anzi Penisole, l'una a Levante, e l'altra a Ponente, cui giace la terra di Castiglione , lo dividono in certa maniera in due porzioni quasi eguali, una delle quali rimane a Tramontana, e contiene poco distante dal Lido le due isolette, l'una chiamata maggiore, e l'altra minore, o Isoletta, abitata la prima, e l’altra deserta. L'altra porzione rimane a mezzogiorno, e contiene una terza Isola chiamata Polvese, prossimamente giacente al Castello di S. Feliziano.

La sua geografica situazione comincia a 43°.6.30., ed estendesi fino a 43°.13 di latitudine Settentrionalea in longitudine comincia a 29°. 35. e termina a 29° 45. La sua maggior lunghezza nella direzione da Scirocco a Maestro è di miglia noveb, e la sua maggior larghezza. è di miglia sette, o poco meno da Levante a Ponente.

Stanti le sue incessanti escrescenze, e decrescenze, le quali succedono secondo la maggiore, o minore quantità delle piogge, che cadono nei varj anni, non é possibile determinare definitivamente la di lui superficie. Non ostante ella può determinarsi approssimativamente a quaranta miglia quadre, cosicché valutando ogni miglio cento ottanta rubbia, e mezzo, tutta l'area a rubbia sette mila duecento venti, che è lo stesso che a Mine vent’otto mila, ottocento ottanta misura di Perugia.

Oltre l'annuale periodo di escrescenza nell'Inverno, e Primavera, e di decrescenza nell'Estate, il quale poco più, poco meno realmente esiste, secondo le Invernate o primavere più, o meno pìovose, é stato da molti creduto, ed asserito, che questo Lago abbia un costante periodo di escrescenza, e decrescenza ogni 30. anni. Le osservazioni, ed i fatti peraltro mi comprovano esser falso l'asserto.

In generale può dirsi, che nei tempi remoti, abbia durato qualche secolo lo stato di massima decrescenza, poiché notasi in Passignano, che esistono sott'acqua, e molto distanti dal lido le fondamenta di molte case, le quali costituivano un'altr'ala di Vicolo inferiore all'attuale, ove passa la Corriera Toscana. Poco prima della metà del secolo passato egli stette 20. anni in continua decrescenza, di maniera che essendo rimasto in secco l'Emissario per lo spazio di 14. anni, si continuò a fare delle Accolte di Molini da detto Emissario mantenute, tanti orti per il Cavolo, e tante Canapine.

È voce fra il volgo, e fra gli eruditi opinione, che l'Emissario o cunicolo, di cui si tratta, fosse secondo questi ultimi, opera, molto antica fondati sù certe espressioni di Strabone, per verità ambigue, e secondo gli altri in prima nominati, fosse un'opera di Braccio Fortebraccj famoso Avventuriere di Montone, allorché colla forza si rese padrone di Perugia nel principio del secolo decimoterzo. Il vero si è però, che ne fu l'Autore, o per meglio dire l'Architetto, ed Ingegnere un certo Sarelli, il quale per quella via pretese dar l'esito alle acque sovrabbondanti, e porre in un certo equilibrio le rimanenti. L'opera nacque per verità in secoli barbari, poiché dai rimasugli si vede ocularmente, che essa fu piuttosto abborrociata, che tirata a perfezione. Esiste essa nella Valle di S. Savino, e sotto un Collicello scorre in forma i Cunicolo alla profondità  di cento piedi Perugini in punto, guarnito di undici Sfiatatoj, sgorgando nel piano della Maggione col nome di  Anguillara, facendo agire colle sue acque cinque Molini a grano, con due Valchiere una dopo l'altra. La sua lunghezza è di Canne Romane 530. ovvero palmi Romani 5,300. eguali a piedi Parigini 3,643. 1/3 . Il primo terzo di questo Cunicolo è passabilmente costruito, largo  fra li tre, e i quattro piedi Perugini, alto circa cinque, e sormontato di Volte; Il secondo terzo sembra piuttosto una tana di Granchio ricolma di andirivieni, e di stretti senza muri,  ed  in pochissimi luoghi guarnito di Volte; L'ultimo terzo è un alveo veramente meschino, il cui fondo finacheggiato da muri a sprone, e sormontato di volte non eccede il piede Perugino in larghezza.

Si vede, che nel lasso di poco più di tre secoli dalla sua origine, andò quest'opera talmente a soffrire, che dette luogo all'escrescenza del 1480. di cui esiste memoria nell'Archivio Comunale di Perugia, trovandosi sotto detto anno registrato (Volume 4°. Registro de' Brevi pag. ...) un Breve del Pontefice allora Regnante Innocenzo VIII, il quale fin da quell'epoca ordinò delle riparazioni all'Emissario per frenare in perpetuo, dice il Breve, le rovinose acque del lago, e restituire a quella amena Valle, colla sua fertilità, una perpetua sicurezza. L'altra più forte escrescenza, di cui ci resti memoria, quella si è avvenuta nel 1602. sotto il Pontificato di Clemente VIII.c Anche questo Pontefice, mosso dalli incalcolabili danni recati da quell'inondazione, fece riparare l'Emissario. L'ampollosa memoria di tale riparazioni trovasi in una marmorea iscrizione situata sulla parete esteriore del Casotto dell'Emissario verso il piano della Magione. Essa è del seguente tenore.

CLEMENS VIII. PONT. MAX.
VETUS EMISSARIUM CHASMATE
PLURIBUS IN LOCIS INTERCLUSUM PENITUS ADAPERUIT
OPERE CONCAMERATO MUNIVIT
PUTEUM PROFUNDISSIMUM EFFODIT
ILLINC UBI SOLI VITIUM MAJUS DEFLECTES
UT AGRI ET OPPIDA TRASIMENI
SUPERSTAGNANTIBUS AQUIS OBRUTA
PRISTINO CULTUI AC DECORI RESTITUERENTUR
ANNO MDCIII PONTIF. XI.

Seguitarono quindi le forti escrescenze, e ne accadde un'altra nel 1750. altra finalmente, di cui non mi ricordo nel 1762., che durò fino al 1773, nella quale rimasero allagate la Chiesa di S. Maria de’ Servi, e di S. Bernardino, e rovinarono quasi tutte le case dell'ala inferiore della strada Carriera in Passignano, ove si penetrava colle barche perfino nelle Piazze.

In tutte queste straordinarie escrescenze si è sempre procurato di ovviare ai danni incalcolabili, col riattare l'Emissario, volgarmente la Cava. Si sono spesi a più riprese immensi tesori, ma non si è pensato mai  al fondamentale rimedio, quell'unico cioè di togliere le tortuosità, e le strettezze del Cunicolo. Veramente alcune volte essersi provato a raddrizare queste tortuosità, e si vede manifestamente, che circa ai due terzi del suo corso, si è tentato di tagliare, o forare un masso di pietra detta volgarmente Serena, ma gl'Ingegneri, e gli Architetti non ricordandosi,  che

Gutta cavat lapidem, non bis sed saepe cadendo,
e che
Quod fieri ferro, validore potest electro

hanno ai primi colpi di Scalpello abbandonata l'impresa, ed hanno lasciate le vestigia di una patente poltroneria.

A casa de' Maestri di color, che sanno, io non azzarderò consiglj, e molto meno precetti. Chi sà la manovra soltanto de' Cottimi, e de' Cottimandi ha bisogno di consiglj di economia, e sopra tutto quando si tratta di certi non volgari lavori. Mai dunque cottimi, proibiti assolutamente, affine di non dover più sentire colle proprie orecchie, che una perizia di ristauri innalzata dall'Ingegnere fino a mille scudi, era poi stata eseguita dal cottimante colla spesa di soli scudi settanata. Dunque in quella sola operazione rubbati furono 900. e piùscudi, e Dio sà da chi. Tutto ciò per modo di discorso. Vediamo ora quello, che si dovrebbe fare.

Aprire un poco per volta questo sotterraneo foro di una larghezza, atta a voltar materiali, pestar puzzolana, farvi la calce, in somma tutto ciò che può abbreviare l'operazione, senza essere obbligati a far molte cose di fuori, e trasportarle dentro o con cariole, taglie, e a braccia con enorme fatica. Indi si cominci dall'Emissario a costruirvi dei muri laterali alla larghezza di 8. palmi, sormontati di volte ben costruite. Alla metà si porti questa larghezza a nove palmi, e da capo ove entra l'acqua del Lago nel Cunicolo fino a dieci palmi, sempre fiancheggiata da muri, e sormontata di Volte. L'altezza di essi muri sia a proporzione di dieci palmi, di nove, di otto, dall'imposta delle Volte sino a terra. Se il richiedesee il bisogno, sia anche la platea ben lastricata.

Il livello di questa platea si prenda cinque palmi almeno sotto l'imposta della soglia dell'Emissario, e finisca con altri tre palmi almeno sotto la soglia del fine verso il piano della Magione. In questa guisa si avrà un Cunicolo comodo per esser di tratto in tratto visitato, senza quel disagio, e senza quella chimerica paura tanto calcolata dagli odierni Ingegneri, che forse non l'hanno mai visitato internamente, e sarà così finito il bisogno di spendervi a mano aperta, senza poter sapere cosa vi è stato fatto.

Sarebbe forse qui stata necessaria una figura rappresentante quanto ho fin qui avanzato, penso però di essere inteso, e la risparmio. Questo Cunicolo così ridotto, e munito delle solite Cateratte, e Portoni, sarebbe abilissimo a tener le acque del Lago in un perpetuo livello, e ad assicurare per sempre le sementi, e le raccolte di tanti Possidenti, e sventurati Agricoltori, che tempo fu già, aspettavano pieni di gioja, o di amarezza, secondo le occasioni di strabocchevoli, o moderate piogge. Questa verità sarà forse resa palpabile da quanto anderemo riflettendo in appresso.

Era stato creduto, che la profondità del Lago fosse sorprendente, e specialmente in alcuni determinati siti, come fra le due Isole maggiore, e minore, fra il monte del Lago, e Passignano. A smentire questa supposizione, io fui il primo che pendenti gli anni 1778. e 1779. scandagliai il Lago a più riprese, ed in più di 500. luoghi. Quantunque fosse anche allora il Lago in istato di escrescenza, trovai la sua profondità non eccedere i piedi 18. Perugini.d Il fu Capitano Signor Giuseppe Colonnesi, il quale non credeva sì poca profondità del Lago, ebbe la compiacenza di voler esser meco socio di un giro fatto a bella posta per il Lago, ed assistere ocularmente ai scandaglj, che vi feci.e In generale può osservarsi, che la sua profondità è maggiore in quella  parte, che è più vicina a monti più alti, cioè dalla parte di Tramontana, e Greco, di quello sia dalla parte di mezzogiorno, e ciò sembra concordare con quanto dice il Sig. de Buffon che le vallate sono sempre più basse dalla parte dei monti più alti, di quello siano dalla parte de' colli, o dei monti più bassi.f



Contro la comune opinione il fondo del Lago, incominciando anche dalle porzioni di lido il più sassoso, è stato da me trovato ricoperto di belletta,g e non è altrimenti vero, che dalla parte di Ponente si estenda la qualità arenosa del terreno del Marchesato di Castiglione molto indentro al Lago. Ragionando a tavolino, sarebbe facile tirarne la conseguenza. Osservando peraltro, che gli due grossi Influenti, il Paganico cioè, e la Pescia, seppelliscono continuamente nel seno del lago da quella parte il fiore del suolo del Marchesato di Castiglione, e che il basso fondo di quel littorale dà adito ad una prodigiosa moltiplicazione di Vegetabili palustri, de' quali se ne infradeia in ogni anno centinaja di migliaja di piedi cubi, converrà credere, che anche da quella parte il fondo del Lago è uguale in qualità a tutto il rimanente.h

E qui cadrebbe in acconcio esaminare se tornasse conto di asciugar questo Lago, giacché vedesi evidentemente esservi una facile via di sgorgarne le acque, e di ridurlo ad una vasta, bella, e fertilissima pianura. Ma perché io toccherei un tasto troppo delicato, in vista di sapere, che a Perugia è ammirata più una libra di Lasca pesce vilissimo, che un Rubbio di Grano, e che un bel Luccio, ed una bella Regina che sorpassino il peso di 30 libre, vestono il carattere di una rarità degna di qualunque Gabinetto di Storia naturale, mi ridurrò a poche riflessioni,  tralasciando il modo di esecuzione, per non essere oggetto da trattarne sù questo breve dettaglio.

Rende il Lago attualmente circa li 40000. Scudi annui, calcolato il valore della totalità del pesce, della Gabella, e dei Vegetabili palustri inservienti a più usi. Ponghiamo, che soli sei mila Rubbia di pianura potessero rendersi coltivabili dopo sgorgate le acque, inalveati gl'influenti, e condotte le strade di communicazione, e contiamone soli tre mila Rubbia annui fruttiferi, secondo il costume del Paese. Questi soli tre mila Rubbia potrebbero in una scarsa annata rendere almeno cento mila scudi in granaglie, ma in un'annata fertile potrebbero sorpassare facilmente cento cinquanta mila scudi. Dagli altri tre mila rubbia si potrebbero avere Formentoni, di cui si fa molto uso nel Paese, Fave, Fagiuoli, Foraggj per i Bestiami, così che col solo nudo terreno si avrebbe assai più che quintuplicata la rendita attuale del Lago. Non conto il Bestiame, ed i suoi preziosi prodotti; dico che in quella Valle egli sarebbe meglio che in qualunque altro luogo dell'Umbria, e del Perugino una sorgente inesauribile, di ricchezze.

Potrebbe per avventura dire qualcuno esser difficile il trovar tante braccia per coltivare questo terreno. Ma che l'Italia, e lo Stato Pontificio stesso è forse scarso di miserabili, e di scioperati? Centinaja, e centinaja d'Italiani coltivano ai dì nostri le sponde del Wolga, del Nieper, del Niester, in un clima niente conforme al dolce clima d'Italia, ed in un Paese già scorso da più, e più orde di Tartari. Perché dunque non se ne potrebbero tirare tanti, quanti ne abbisognassero in un Paese il più temperato, ed il più delizioso dell'Umbria? Di più, e che forse D’Olarida trasse tutte dal seno della Spagna le braccia per ridurre a cultura porzione della Selvaggia Sierra Morena?i Nò. Anzi fra gl'individui delle diverse Nazioni, che intervennero a quel lavoro, il minor numero fu quello della Spagna medesima.

Ma lasciamo l'Economico, e vediamo quel che può dirsi sull’economia animale. Certa cosa è, che I’Atmosfera che sovrasta al Lago non è pericolosa, come credevasi, per la salute degli abitanti. Essa non è altrimenti pregna di quel pernicioso gas idrogeno, che credevasi derivare dalla prodigiosa quantità  di Vegetabili, che in ogni anno s'infradiciano nel suo Circondario. Le ostruzioni, che vi regnano in qualche anno, e le ostinate febbri terzane, e quartane, che ne sono le conseguenze, non sono che l'effetto delle annate piovose anche nell'Estate, capacissime di arrestare il traspiro, cha è la sorgente di questi mali, specialmente in luoghi di sua natura umidi, e di Atmosfera ristretta . Non è né anche vero, che i decrescimenti momentanei, che accadono quasi in ogni Estate, produchino delle esalazioni nocive, poiché ho fatta osservazione a varie annate, e specialmente al sorprendente, ed istantaneo decrescimento del 1792. ed ho notato, che dagli abitanti non fu risentito il menomo endemico accidente.l

È fuori di dubbio, che la profondità del Lago in paragone della sua estensione è molto piccola, e che la inconsiderata usanza di coltivare poco, e male il sempre inghiottito, e sempre minacciato terreno del piano, per mettere a leva il terreno de' monti contigui, farà sì, che il fondo del Lago s'innalzerà a gran passi, che il piano finirà di essere inondato, e che col lasso del tempo dovrà divenire un pestifero, e micidiale pantano.m

Non è certamente per accadere in breve tempo questo fatele accidente, ma deve accadere, ed i nostri tardi nepoti vedranno aggiungersi alla Maremma Ecclesiastica un brano del Territorio Perugino.n
Il supposto é più che dimostrato. Tutti gl'infIuenti, che sono cinquanta, e più portano continuamente nel Lago delle Torbe. Non avendo sortita, esse Torbe rimaranno nel Lago. Sarà dunque verissimo, che il fondo si va continuamente rialzando.

L'alimento maggiore all'escrescenza del Lago vien dato da quelle acque pluviali, che vi cadono immediatamente, e dalle altre che cadendo ne' monti che lo circondano, vi si diriggono, come si disse, per la via di più di cinquanta influenti fra piccoli, e grandi, i più considerabili de' quali sono la Spina, il Paganico, l'Anguillara, il Bordellaccio, il Lombardo, i due  Arginoni, detto l'uno il fosso del Tronco, e l'altro il fosso del Perna,  il Monte Gieri, il Rio, la Navaccia, il Macerone. Non vi sono polle esteriori al piede de' monti, e molto meno ve ne sono nascoste sotto le acque.o

Si gode nei contorni del Lago Trasimeno di un Clima molto dolce, e temperato più sensibile anche nelle Isole. Non ostante si è dato il caso più, e replicate volte che egli siasi interamente gelato, e che il gelo sia giunto ad una solidità sorprendente. Nel 1775. egli gelò interamente, come ancora nel 1789. Ma il gelo che si formò nel 1767. giunse alla solidità di un piede, ed un oncia, (circa 15. pollici Parigini) e durò per lo spazio di trentanove giorni, e trentanove notti continue. Allorché egli si ruppe si sentì per una giornata intiera il fragore, e lo strepito fino a quindici miglia lontano dalle sue sponde. Nonostante queste enormi gelate gli alberi de' contorni non hanno mai risentito danno notabile, ed è sorprendente, che il Gelso pianta così delicata, e sensibile ai rigori del Verno, non abbia mai d'intorno al Lago sofferto alcun detrimento. E quanto alle piante di Olivi, delle quali all'intorno del Lago ve ne è quantità sorprendente, e di un volume rispettabile, pochissime sono state quelle che abbiano patito, e queste al ritorno di Primavera hanno ripreso il loro primiero vigore.

Quando il gelo è rotto o viene radunato dai venti alle rive, come accadde nel 1755. o pure và vagando a gran tavoloni per il Lago finché siasi liquefatto. In questo stato è cosa pericolosissima il navigare, mentre la così detta corrente trasporta questi immensi tavoloni con una velocità, e furia così granide, che essi fracasserebbero, e manderebbero a picco la più grande, più forte, e stabile barca del Lago al primo urto. Tale fu l'effetto, che provarono due pescatori di S. Feliciano, i quali volendo andare all'opposta riva per alcune loro faccende, uno di questi tavoloni gli troncò di netto la barca al primo urto. Uno di loro vi perì, l’altro fu balzato dall'urto sul tavolone medesimo, d'onde qualche ora dopo da sei altri coraggiosi pescatori staccati a bella posta fu ripreso, con gravissimo pericolo però di naufragare anch'essi.

Ed in proposito di correnti è da osservarsi, che nel Trasimeno esistono queste similissime alle marine, Egli è vero, che non sono simili alle correnti naturali, e generali, ma bensì accidentali, e particolari, ed è anche vero che non sono così sensibili, ma pure vestono il medesimo carattere. Esse sono incostanti, cioè ora diriggonsi in un senso, ora nell'altro, ed ora sono più forti, ed ora meno. Può dirsi in generale, che allorquando esse sono più forti, sono in certa maniera le foriere dei venti. Mi è stato fatto osservare, che si diriggono per lo più contro la parte donde deve sorgere il vento, e che dopo che questo ha preso piede, esse durano ancora in senso contrario al vento medesimo. I Pescatori in questo caso se ne avvedono, poiché invece che la barca sia spinta dal vento, ne è piuttosto attratta, lo che chiamano essi vi é corrente, il vento tira a se ec.

Siccome non sono a noi per anche note le cause delle correnti, necessario sarebbe, che alcun geniale si applicase a conscerle. Le osservazioni potrebbero farsi aggiatamente nell'estate, allorché‘ il Lago non è agitato da alcun vento. In quella stagione si percepiscono facilmente medianti le spume, ed i galleggiamenti, i quali si vedono correre ora in un senso, ora in un altro,p e specialmente in vicinanza del lido.

Il Trasimeno è soggetto, benché di rado, ad essere occupato dalle nebbie. Dalla parte de' monti peraltro accade di rado che vi comparischino, ma si tengono dalla parte di Ponente, e Mezzogiorno, alimentate dai bassi fondi della vicina Val di Chiana. Non ostante in quelle rare volte, che rimane esso intieramente occupato, la nebbia vi fa un'ostinata permanenza. In simili casi i pescatori non azzardano molto di commettersi al pieno Lago, poiché si è dato il caso, che alcuni di loro si siano perduti di direzione, e non abbiano riguadagnnto il lido, che a stento, ed a forza di suono di Campane.q
La fisica situazione del Trasimeno, che è quella di essere circondato da monti, e da alti colli da tre lati, fa sì che i venti v'infurino non quanti nei lunghi, e stretti Laghi della Lombardia, ma poco meno. Ho veduto le sue onde alzarsi fino a sei piedi, e specialmente verso quella parte, ove egli è un poco più profondo. Pio Secondo ne' suoi Commentarj (lib. II. pag. 75) ed il Campano Monsig. Gianantonio Viperani le ha descritte con una estro Poetico così elegante, che merita che io ne riporti il passo.
At dum rex clauso ventos premit Æolus antro
Stant placidus, canumque comis caput exerit undis.
Sed dum ventorum furiis agitatur, et Euri
Horrescit tumidis Zephyrce Austrive procellis,
Aut fremit a Supera Boreas violentior Arce,
Tunc totus fundo, ut pelagus, turbatur ab imo,
Turbinibus indignans undique saevis.....
Jactari immeritos, et quae spiramina tentant
.....; haec cadem perfert Trasimenus et iras
Colligit, undarumque retorquet ad aethera montes.

I venti che regnano nel Lago non sono costanti, ma vi dominano a seconda che spirano nelle regioni vicine. Quelli che più v'infuriano sono la Tramontana, il Ponente, il Libeccio, l'Austro, e lo Scirocco con i loro laterali. La furia di Ponente rare volte è di lunga durata. Il più delle volte però i primi soffi, che sono violentissimi, formano una vera burrasca, la quale non manca di essere pericolosa. Dopo un quarto d'ora, o mezza o al più cessano i primi impeti, benché il vento seguiti, e duri le intere giornate, Anche il Maestro, e Maestro Tramontana sono burrascosi ma vi spirano rarissime volte, anzi scorrono gli anni senza che questi vi comparischino. I Pescatori chiamano i venti non col nome proprio, ma con nomi particolari, e sono i seguenti.
  • Tramontana - Tramontana
  • Greco Tramontana - Traversone
  • Greco - Greco
  • Greco Levante - Greco Levante
  • Levante - Bojone
  • Scirocco Levante - Bojoncello
  • Scirocco - Sirocco
  • Ostro Scirocco - Siroccale
  • Ostro a Austro - Certano
  • Ostro Libeccio - Certanello
  • Libeccio - Bufolese
  • Libeccio Ponente - Pelagajo
  • Ponente - Fagogno, forse dal Latino Favonius
  • Maestro Ponente - Fagognolo
  • Maestro - Aquilone, dal Latino Aquilo
  • Maestro Tramontana - Traversino
Questi venti, i quali non di rado increspano sulla superficie del Lago combinati colla poca profondità delle acque, mantengono queste in uno stato quando più, quando meno torbido a seconda della violenza, di cui si rivestono. Nel grande estate però, quando per molte giornate di seguito l'aria rimane tranquilla, vedonsi le sue acque chiare, le quali nulladimeno tendono ad un color verdastro, più tosto che cristallino.

Il nostro Lago ha sempre esistito? È forse uno dei Laghi primitivi, o pure si è formato da qualcuno degli accidenti, che hanno a più riprese sconvolta la superficie del nostro Pianeta la terra? Importerebbe il saperlo. Ma pochi sono i naturali avanzi, che noi abbiamo per provare, che egli siasi formato per opera del fuoco, o pure che sia un resto delle acque, le quali una volta vagarono, ove noi attualmente abitiamo. In tutto il suo Circondario non trovasi che una vena di Peperino fra la Pieve confini, ed il Borghetto, e sonovi inoltre delle Calcarie, e delle Focaje in abbondanza presso il Castello di S. Savino, ed inoltre una cava di Rapillo eccellente nel contiguo piano della Magione sotto la Petrella, cose tutte che proverebbero l'esistenza di questo Vulcano. Attesa però l'uguaglianza del suo fondo non si saprebbe indovinare, dove egli avesse il suo Cratere, se pure non volesse credersi, che egli esistesse in quella parte, ove è maggior profondità di acque, cioè fra il Monte del Lago, e l’lsola Maggiore, sito non ancora eguagliato dalle Torbe dei nominati Influenti. ll fu Sig. Canonico Pio Fantoni meco discorrendo sù di questo punto, fu di questa opinione. È vero che altri Laghi vi sono, i quali senza dubbio si formano sopra Vulcani già consunti, e poscia avvallatir, ma noi non abbiamo testimonianze naturali per assicurarcene. Taccio perciò su questo articolo, lasciando ad altr'occhio più perspicace, e più osservatore del mio la materia ad essere discussa.

Caderebbe ora in acconcio l'esaminare d'onde il nostro del Lago trasse il nome di Trasimeno. Ma perché ripescare sì fatte materie nelle oscurissime tenebre di una ben remota antichità? Pur non ostante mi giova quì di riportare il sentimento del Poeta Silio Italico, oltre un altro parere, il quale non mi sembra affatto lontano dal verisimile.

Dice egli pertanto, che poco dopo l'arrivo de' Lidj in Italia la Ninfa Agilla invaghitasi alla follia di Trasimeno figlio di Tirreno Conduttore de' Lidj, lo volle assolutamente disporre ad essere suo amante, ed ecco come egli poeticamente si esprimes
At parte e laeva restagnans gurgite vasto
Effigiem in pelagi lacus umectabat inerti,
Et late multo foedabat proxima limo:
Quae vada Faunigena regna antiquitus Auno
Nunc volvente die Thrasimeni nemina servant.
Lydius huic genitor, Tmoli decus; aequore longo
Meoniam quondam in Latias advexerat oras
Tyrrenus pubem dederatque vocabula terris.
Natum ad maiora fovebat.
Verum ardens puero, castumque exuta pudorem
(Nam forma certare Deis, Thrasimenne, valeres)
Litore correptum stagnis demisit Agillae,
Flore capi juvenum, primaevo lubrica mentem
Nympha, nec Idalia lenta incaluisse sagitta
Solliciti viridi poenitus fovere sub antro
Najades, amplexus undosaque regna trementem.
Huic dotale Lacus nomen, lateque hymenaeo
Conscia lascivo Thrasimenus dicitur, unda.

Da questi sventurati amori dunque iI nome di Trasimeno. Potrebbesi per altro, lasciate le idee Poetiche, venire ad un altro raziocinio. È cosa certa che i Tirreni non furono in sostanza, che porzione degli abitanti dell'antica Lidia, e forse quella porzione di Moabiti, che si salvarono nell'invasione di Giosuè, che di là si partirono spinti dall'indigenza, e che finalmente dopo lungo giro approdarono in Italia, si mescolassero con gli Umbri, e Tirreni abitatori allora delle nostre contradet. Questi dovettero portare dall'Asia il loro linguaggio, la loro maniera di scrivere, i loro costumi, ed usanze, e dovettero adattare ai luoghi di fresco occupatiu i nomi de' luoghi da loro abbandonati. Non è dunque cosa fuor di proposito il credere, che al primo arrivo de' Lidj avesse desunto il nome di Trasimeno. Di fatti nel Paese da loro, cioè nella Lidia, abbandonato eravi anche  al dire di Vibio Sequestro un fiume, il quale chiamavi Trasimeno. (Vib. Sequest. ad Virgilium filium) fluminum, montinum lacuum, fontium, nomina quorum etc.

Questo Lago è molto abondante di Pesce. Se ne prende in ogni anno almeno un mlione di libre di diversa specie. Egli è sottoposto alla Gabella, che è tariffata secondo la qualità del Pesce, e secondo le stagioni.

Il Gambero comune Cammarus non è soggetto a Gabella. L'insolenza però ora sotto un pretesto, era sotto un'altro ne impedisce la pesca. Questo Gambero non è né marino, né fluviale. Esso è piccolissimo, e non è del genere dei Crostacei, ma é rivestito di una corteccia sottile cartillaginosa, che fritto è molto gustoso benché pungente al palato. La sua lunghezza non eccede il pollice.
Il pesce più abondante è la Lasca. Non ho trovato alcuno, non omesso LaCepedé, che ne abbia trattato, se pure non ne hanno parlato i Naturalisti Oltramontani sotto il nome di Vandoise. Se ne prende almeno più di cinquecento mila libre l'anno . Esso è piccolo, e di poco valore, e stima. Si pesca in diverse maniere, ma la pesca più abondante si fa nell'inverno nei così detti porti, i quali non sono che palizzate in doppio ordine, entro le quali si pongono delle frasche di Querce, ove si riduce la Lasca per mettersi al coperto del freddo. La sua lunghezza non oltrepassa li tre o quattro pollici. Il Sig. LaCepedé dice che giunge a sei decimetri, ma il vero è che la più lunga non oltrepassa i sei pollici.

Appresso la Lasca ne viene la Scarpata (pronunziata breve) che è quella stessa, che dai Francesi viene chiamata Boueuse. È un pesce vilissimo, e ambisce più tosto a luoghi paludosi e fangosi.

L'Albo in Latino Leuciscus paragonabile, e forse lo stesso, che la Lasca di Fiume. Non è buono se non se nel colmo dell'Inverno. In altri tempi è sciocco; Cesce fino alle cinque, e sei libre.

Fra i Pesci di buona qualità è la prima a riconoscersi la Tinca in Latino Tinca. Quantunque nei Laghi di Bolseno, e di Piè di Luco questo pesce ingrossa fino al peso di nove, e dieci libre, nel Trasimeno sono rarissime quelle di due libre. Si vuole, che l'introduzione della Regina ne abbia diminuita la specie.

La Regina non è pesce indigeno di questo Lago. Esso vi fu introdotto dal fu Barone Ancajani conduttore del Lago, e mio Nonno fu quello, che dal Lago di Bracciano (se non erro) ne portò ivi ventisei di numero nell'anno 1710. Questa memoria stampata era incollata in una chiudenda di credenza a muro nella camera, ove io nacqui. Il fu Sig. Filippo Travaglini Tesoriere dell'Umbria, Conduttore del Lago volle questa chiudenda, e la riportò seco a Spoleto. Questo pesce passa per eccellente, e specialmente quando è un poco grasso. Il migliore è però la femina, rimanendo al maschio la carne più fiacca, tigliosa, ed insipida. Il fu mio padre ne prese una in faccia al Monte del Lago di quaranta due libre, ed un'altra ne ammazzò ivi ugualmente di libre quaranta con una fucilata. Di questo peso non se ne sono più vedute che io sappia, ma di libre trentacinque, e trentasei sono ovvie. I Naturalisti hanno chiamata la Regina Carpa, e Carpena dal Francese Carpe.

Tutti i sopranominati Pesci, eccetto il Gambero, sono del genere de' Ciprini.

Del genere degli Esoci vi è il Luccio, Lucius. Egli viene ad una sufficiente grossezza. Se ne è trovato del peso di trentasei libre. È pesce stimato, ma con perdono de' suoi ammiratori, è di un gusto più gradevole quello del Lago di Bolseno.

Finalmente del genere delle Murene vi è l'Anguilla, la quale vi cresce fine alle dieci libre. La più stimata non deve oltrepassare le tre, e quattro libre, ve ne è di due specie; Quelle che hanno il dorso fino a quasi tutto il ventre di uno scuro color di fango non sono molto buone; quelle che hanno una sola striscia colore di fango sul dorso, ed il resto della corporatura bianco, sono delle migliori.
Tutto questo pesce è soggetto alla Gabella, nè alcuno può approfittarsene senza averla pagata. Il metodo rigido, col quale si procede contro i Contraventori ha mandato in rovina parecchie famiglie.
Del genere dei Crostacei non vi è nel Lago che il Granchio comune, e la Tellina detta dagl'Indigeni impropriamente Ostrica, la quale è ordinariamente della lunghezza di tre o quattro pollici, compresa la sua crosta. Questi due Crostacei non sono soggetti a Gabella.

Viene pescato dai Pescatori il Pesce in diverse maniere, con diverse reti, e fili, che da essi vengono promiscuamente chiamate Arti. Il primo metodo sono le file, che sono un migliajo più o meno di ami di Ottone appesi alla distanza di tre, o quattro piedi circa l'uno, il qual filo stende qualche volta fino a due miglia. Questo filo si stende la sera, e per ritrovarlo la mattina dopo, i pescatori lo fermano con un sasso che và al fondo del Lago, e con un sughero che resta a galla appeso a detto sasso. Indi prendono il Listro segnale per ritrovare il posto, ove hanno terminato di collocare le file. Questo Listro è la concorrenza di due linee, che passando sopra due punti visibili, vanno a riunirsi nel posto del sughero. Prendono per esempio, la Torre di Castiglione per un Campanile di Monte Pulciano da una parte, ed il Campanile di Isola Polvese per la Torre di Mont'Alera dall'altra. La concorrenza di questi due visuali è ciò, che si chiama Listro. La mattina di poi vanno ove si trova questa concordanza, e vi ritrovano appuntino il loro sughero. Gli ami sono imbeccolati con un Gambero pesce già nominato. L'uso di file è antico. Silio Italico lo riporta.

Assuetum Trasimene suos piscantibus hamis
Exhaurire Lacus, Patriaeque alimenta senectae
Ducere suspenso per stagna latentia filo.

I fili sono simili alle già descritte. S’imbeccolano gli ami con una piccola Lasca, e si stendono vicino alle rive del Lago, e servono per prendere le Anguille.

I Lucci si prendono coi Martavelli, che sono Tofi più grandi del solito. Questi Tofi sono una rete fatta a campana sostenuta da cerchietti di legno, da ciascun de’ quali parte internamente un altro piccol Tofo rivoltato, diremmo, verso il ceppo del gran Tofo, o della campana, e legato ivi con fili in maniera, che quando il pesce è entrato, resta serrato fra il grande ed il piccol Tofo, nè trova la via  di uscirne.  Per estrarlo si scioglie, e si rovescia il piccol Tofo. Di questi Tofi ve ne sono di più sorti. Gli uni si collocano lungo una steccaia di Cannucce, intersecata di tanto in tanto da caselle parimenti di canuucce, alla bocca delle quali si colloca il Tofo, e chiamasi Arella. Tanto la Steccaja, quanto la casella è confitta per lo dritto nella belletta dalla parte la più forte della cannuccia. Gli altri Tofi servono a prendere la Lasca nel folto dei Canneti, de’ quali abonda la così detta Valle di S. Savino, dove si pongono ordinariamente le Arelle. Si pongono ivi ancora i così detti Chiavaretti, che sono Arelle più corte.

Il Ghiacchio è una rete grande lunga almeno quattro in cinque piedi, e fatta egualmente a forma di campana. È guarnita da capo di un cerchietto di legno forte del diametro di tre o quattro pollici, e da piedi di una corda forte rivestita ad ogni maglia della rete di un cerchietto di piombo. Da questa corda di tratto in tratto partono dei fili, che poi uniti insieme vanno a riescire per il cerchietto di legno da capo chiamato la Galla. Con questa rete vi si prende la Lasca, ed i pescatori hanno una destrezza grande nello scagliarla, abbenché gli anelletti di piombo che la guarniscono da piedi, siano del peso di dodici a tredici libre. Scagliata che é, il piombo la tira a fondo facendo gran capanna, ed il pesce, che vi rimane sotto, vien preso tutto. Indi si tirano lentamente i nominati fili, che chiamansi Ramiglioni, i quali fanno roversciare la parte piombata verso la Galla, ed il pesce vi resta tutto. Indi si distende di nuovo la rete in una Cesta, ed il pesce é preso. Di questi Ghiacchi ve ne sono di più sorti, di piccola maglia cioè, di mezza maglia, di tutta maglia. I pescatori dicono macchia in vece di maglia. In estate è proibito quello di piccola maglia sotto pene rigorose.

Le Ciste, e le Albaje sono una specie di tramagli, che si tendono le prime ai Lucci in stradelli prattica fra i Canneti, fra quali si fa strepito per farli fuggire, ed incappar nella rete. Questa pesca vien chiamata la Cacciarella. Le altre si tendono in Lago aperto verso i Promontorj, e servono a prender glia Albi senza strepito.

Il Gorro è una gran rete, che si distende in questa maniera. Si stende prima una corda, o fune lunga un terzo di miglio circa dal lido in alto. Indi si distende la rete attaccata a detta fune rivolgendo a sinistra. La rete è ben lunga per occupare un terzo di miglio. Indi si attacca altra fune altrettanto lunga quanto la prima, e si ritorna al lido. Tre pescatori per parte tirano le funi, le quali obligano la rete a formare un semicircolo, e finalmente una forma di tasca. Giunta la rete vicina al lido, altri pescatori si alzano dal lido, e vanno in mezzo alla rete, la raccattano, e fanno dello strepito nell'acqua, affinché il pesce si riduca in una gran tasca componente il fondo, e fine della rete, ove si è ritirato tutto il pesce. Vi si prendono Lucci, e Regine. Nel mare Adriatico questa rete é chiamata Sciabica, benché tirata in diversa maniera, ed in alto mare.

L'ultima gran rete del Lago è la rete della Nave. È questa una, o due grandi ali di rete lunga sessanta, ed anche ottanta passi, alta almeno dieci, o dodici piedi. Si circonda con questa una delle sopranominate palizzate ripiene di frasche; indi si estraggono queste frasche in più barche, e si raccoglie quindi la rete a cuna roversciando il fondo verso la cima, facendo intanto qualche poco di strepito. Anche qui il pesce si raduna in una gran tasca, che si fa formare alla rete mentre si raccoglie. Da questa tasca si prende il pesce colle sopra nominate Casticciole. Io ho veduto a Passignano prendere da questa rete in una sola mezza giornata sedici mila libre di Lasca, che è il pesce contro cui si tende.

La legge, da cui sono desunti tutti i regolamenti civili, e criminali del Lago chiamasi la Cedola, detta comunemente la Cedola del Lago, o Cedola di San Pio Quinto. Quelli che pensano saviamente non credono, che questa Cedola sia veramente di San Pio Quinto.

Nei contorni del Lago non vi è cosa rimarcabile, se non se la feracità del suolo, e l'incredibile abbondanza dell'olio. Dotati di Olivi di grossa mole negli anni di raccolta doviziosa fanno agire almeno per sei mesi quarantanove macine. Si é dato ancora il caso, che quattro di queste macine frangevano le Olive vecchie in tempo, che si raccattavano le Olive nuove. Del Vino che é tutto bianco, a riserva di poca quantità, che é chiamato Vino scelto, ed é Canajolo Leatico ec. Si pesta, e s’imbotta  senza fargli perdere la sua robustezza nei tini. Il più stimato, e veramente più buono é quello raccolto nelle elevazioni dalla parte de' monti.

La celebrità di questo Lago non viene solamente dal pesce, e da suoi prodotti. Egli é ancor celebre per la disfatta de’ Romani presso le sue sponde. Sono infiniti gli Oltramontani, ed anche gl'italiani che passano ad osservare il posto, ove il General Cartaginese sconfisse il Console Flaminio. Quello che vi e di male, è che gl'indigeni opinano, che il posto preciso della sconfitta fosse il piano di Tuoro, e danno ad intendere ai forastieri, che questo fosse il sito preciso. Il falso supposto, ed il vero si ricava dai vocaboli del luogo medesimo. Sortito che uno é dal piano di Tuoro s'incontra poco dopo la posta della casa del piano il torrente Rio, passato il quale s'incontra immediatamente un distretto, che come conseguenza della fatal giornata, chiamasi ancora Valle Romana, ed il torrentello che la traversa Fosso diValle Romana. Di qui il posto della sconfitta, di qui il Colle di Monte Gieti, dietro il quale furono postati i Baleari, e gli armati alla leggiera, di qui il Vico citato da Polibio, ove si rifugiarono i sei mila, che poterono rompere le file nemiche, al quale è rimasto ancora il nome di Pietramala, detto dal Volgo Pietramara, situato nelle alture del monte vicino, e varie altre cosette, che un'intendente dell'arte militare potrebbe facilmente rintracciare, e combinare colla storia. Di là ancora i cannucceti del vicino Lago, entro i quali i fuggitivi Romani furono trucidati non già a colpi di fucile, come dava ad intendere un erudito prete di quei contorni, ma a colpi di spada, e di giavellotti. Che tale fosse ancora l'antica tradizione lo dimostra la carta nominata dell'Autor Perugino, nella quale, non nel Piano di Tuoro, ma nel piano di Vernazzano pone iscritta la Rotta dei Romani. Di questa valle, se Dio mi darà vita, e salute, darò conto nella marcia di Annibale dal Fiume Rodano sino al Lago Pelestino, che più non esiste, nominato in oggi Piano del Casone a Levante di Colfiorito.

Imprimatur Si Videbitur
Stephanus Scerra Vicarius Apostolicus
Episcop: Spoleti
Imprimatur
Fr. Joannes Dominicus Stefanelli Inquisitor Ganlis
S. Officii Spoleti

__________

Note:

a Questa posizione è stata tolta interamente dalla Carta dello Stato Pontificio del P. Boscovich; la longitudine è appoggiata alle osservazioni sul paessaggio di Mercurio del 1753. da cinque Astronomi in Roma, e dal P. Ximenes a Firenze. (Ximenes, vecchio, o nuovo Gnomone Fiorentino lib. IV. cap. IV. pag. 296.)

b Non v'è misura itueraria in Italia, che più si approssimi al minuto di grado, quanto il miglio Perugino, poiché di queste miglia non entrano in un grado più di 60. e circa 9. decimi. Per prova di ciò, un grado di Meridiano è stato valutato 57,060. Tese, costituenti 342,360. piedi Parigini, ovvero 492,998,400. parti dello stesso piede. (Le 57,060. Tese sono misura media, essendo questa più forte verso i Poli, e più breve verso l'Equatore.) Ora siccome il miglio Perugino è composto di 5000. piedi di Perugia, il qual piede è per l'appunto tredici pollici e mezzo Parigini, o 1,620. punti, lo che ritorna a 8,100,000. punti per ogni miglio, così e evidente, cha dividendo 492,998,400. per 8,100,000. ne verrà il quoziente di 60. 6,998,400/8,100,000. che ridotto a minor denominazione è eguale a 108./125. si potrà enunciare 60. miglia per ogni grado, con di più  di un rotte di 108./125. che può valutarsi approssimativamente a nove decimi. Da questo risultano si viene in cognizione della svista accaduta al celebre P. Boscovich nell'avvisarsi, che de' migli Perugini ne entrino in un grado 76. ed un quarto. Vedasi la sua carta dello Stato Pontificio alle scale. Quandoque bonus dormitat Homerus. Dovendo io da qui in avanti nominare il miglio, avviso, che debba intendersi  del miglio Perugino.

c In una piccola carta del Territorio Perugino inserita in una gran carta Scenografica della Città di Perugia vedesi il Circondario del Lago guarnito di una doppia linea. L'interiore indica lo stato ordinario del Lago, l'esteriore indica l'escrescenza del 1602. In Passignano in un angolo di casa appartenente al Marchese Florenzi, e sottoposta alla casa Parrochhiale lungo la strada Maestra evvi incassato un mattone all'altezza di cinque piedi sopra il livello della strada circa otto sopra il livello del Lago portante la seguente iscrizione. Hic Lacus fuit anno 1602.

d Diciotto piedi Perugini equivagliono a 20. 1/4 piedi di Parigi, a palmi 29. e 450/990 Romani, e a piedi 21. 789/1351 di Londra. L'attuale profondità maggiore dell'acqua non eccede li 15 piedi.

e Nell'annessa carta del Lago ho disegnato le diverse vie da me tenute nel fare questi scandaglj. Vi ho notati nei siti precisi la profondità in numeri esprimenti i piedi, omettendo i scandaglj intermedj, i quali non sarebbero stati, che una ripetizione delle medesime profondità già segnate.

f De Buffon histoire naturelle, Theorie de la terre. art, Fleuves.

g L'arena che si trova nel Marchesato di Castiglione, specialmente ne' Comunelli di S. Fatucchio, e della Panicajola è perfettamente vetrificabile. I Vetrai di Nocera, e del Piegajo ne aggiungono un terzo alle loro fritte, e ne fanno il vetro da fiaschi, che non è dell'inferior qualità. Ne faceva radunanta una volta il Sig. Alessandro Rambaldi, che poi vendeva alle sopramentovate Vetriere. Anche la già estinta Vetriera da fenestre di Camporeggiano nel Territorio dl Gubbio ne faceva uso con profitto; meschiandone il terzo ad altro terzo di Soda, ed altro di Vetraccio, coll'aggiunta di una non sò qual porzione di Manganese di Piemonte.

h Il fin quì detto in supposizione è peraltro incontrastabile, poiché in verità anche dalla parte del Littorale del Marchesato di Castiglione, ove la vicinanza di un terreno arenoso, e sterile ne ha fatto supporre una continuazione per un gran tratto dentro le acque, il fondo di esse è munito di una belletta tale, che potendone avere, e trasportare nelle vicine sabbiose pianure senza gran spesa, ed incomodo, servirebbe a quei sterili terreni di un ingrasso assai migliore del Concio comune. Ma l'inquilino non l'intende, e dice: Video meliora proboque= Deteriora sequor.

i D. Paolo D'Olarida è soggetto ben noto nella Storia attuale della Spagna, tanto per la sua prospera, quanto per la sua avversa fortuna; Chi ne desiderasse più minute notizie veda l'opera, Voyage en Espagne par un Anonyme. Vol: 3. e Mentelle Geographie moderne de l'Espagne.  Quanti sventurati sono stati colti dai colpi di avversa fortuna vibrati dalla violenza mossa dall'impostura, dall'ignoranza, e dalla superstizione!

l Nell'anno 1792. stette cinque mesi a non piovere. Si godé sempre un cielo sereno, e tranquillo. ll Lago decrescé tanto, che il pelo dell'acqua si  abbassò fino a quattro piedi. Gli abitanti non risentirono il minimo dolor di testa. Ma negli anni posteriori, nei quali tornarono le piogge estive, tornarono altresì le solite febri.

m Se qualche diligente osservatore si dasse il pensiero di esaminare ogni anno nel sito medesimo la profondità dell'acqua riportata ad un dato segnale, dopo un trentennio almeno egli verrebbe a capo di conoscere l'innalzamento del fondo del Lago, e di sapere quando il Trasimeno sarà divenuto Palude. Ma che? Non dovrebbe interessare un Governo l'ordinare queste antivedute osservazioni? Io avevo posto il mio segnale nel 1778. Ma io avevo fatto una cosa utile, ed altri si adoperò di precipitarne la buona intenzione. Gli esperimenti miei dovettero cessare, senza la speranza di poterli più riassumere.

n Si vede, che alcuni di quei Signori Perugini, li quali godono intorno al Lago delle belle, e vistose possessioni, non si danno molto pensiero per il ben essere della loro posterità. Se ciò fosse, eglino avrebbero pensato meglio, e non avrebbero trattato da pazzo quello, al quale venne in pensiero di progettare il disseccamento del Trasimeno. Ah! quanto è vero quel detto: Nemo propheta in Patria sua.

o Sarebbe molto utile avere sotto gli occhj l'esperienze, ed i calcoli del P. Castelli fatte sul crescimento delle acque, o sia del pelo delle acque del Lago, a volersi persuadere che egli non è animato da polle subacquee, ed invisibili, ma bensì dalle sole acque pluviali. Basterebbe ancora dare un'occhiata alla fisica costituzione de' monti, che lo circondano; Essi sono di tal maniera carichi di spessi rivoli, che non gli è possibile per così dire di assorbire una gocciola di acqua in tempo di piogge, che anzi tutta la tramandano al Lago per via degli influenti. Ora una fisica costituzione di tal natura non ammettendo penetrazione di acque pluviali, non suppone neppure le polle alle radici de' monti. Per convincersi ancora, che le polle non sono che alle falde de' monti ghiajosi, che assorbono le acque pluviali, e non altrove, basta fare osservazione al Monte Pitino, o sia Montagna di Trevi. Esso nella sua gran vastità non tramanda al piano il minimo Torrentuzzo, ma tutti i torrenti, che sono nelle sue vaste valli superiori alla base, vengono assorbiti dalla terra. Di quì le sorprendenti vene di Camero; di quì le più sorprendenti ancora di Pissignano, che sono le fonti del famoso Clitunno. Un monte di tal natura è il Perugino monte Tezio. Egli assorbe quantità di acque pluviali, e le tramanda a Levante dalla parte di Valenzino, ed a Ponente per una polla vicina a Petroja. La Nera stessa non é che un aggregato di sorgenti, che scaturiscono dal vicino Appennino, e dai monti laterali. Sotto Norcia, e sotto Visso vi sono delle portentose sorgenti, e più avanti la Falcignana, la vena di Monte Fiorello. Cosi il Monte di Chambrières, d'onde sorte la famosa Fontana detta delle Sorgues, vicina alla notissima Vallelusa. Le aride montagne della Dalmazia sovrastanti alla famosa Caverna, d'onde sorge la Kerka etc.

p M. d'Alembert (Dictionnaire des Matematiques de l'Encyclopedie Metodique) all'art. Courant pag. 448. dopo aver detto molto in proposito di correnti, nulla ci conclude intorno alle cause. Monsieur de Buffon (Teoria della terra, art. correnti) suppone che alcune procedono dall'ineguaglianza del fondo del mare. Ciò per altro non è combinabile col Lago Trasimeno, poiché egli ha un fondo eguale, e quasi orizzontale. Il medesimo ne ripete alcune altre dal flusso, e riflusso modificato dalle inegunglienze suddette, ma neppur questa opinione è combinabile col nostro Lago, mentre egli manca interamente di flusso, e riflusso. Io opinerei, che esse fossero cagionate dal moto della terra combinato coll'azione del Sole, e delle Luna. Me questa opinione andrebbe consolidata, o smentite colle osservazioni, e riflessioni. Quis est hic.

q Bartolomeo Lugli fu mio avo materno volendo tragittare dal Monte del Lago a Castiglione per affari relativi al suo impegno, fu assediato dalla Nebbia in alto Lago. Egli vi si perdé, e non giovarono gli sforzi, o tentativi per uscirne, onde convenne che vi rimanesse, e vi vagasse per due giorni, due notti continue. Mancava unitamente al suo compagno di commestibili, per il che convenne dalla fame a ingojarsi tutti i bottoni dell'abito (memoria trovata fra le sue carte). Vi è tradizione che altri abbiano mangiato il pesce crudo in simili quanto volute, altrettanto disgraziate circostanze. Il fu mio padre in tempo che era Ministro al Monte del Lago, e che non mancava di cognizioni, fu il primo ad impiegar la Bussola. Nel tempo che io dimorava nei contorni del Lago mi ricordo che si doveva una mattina andare da S. Feliciano all'Isola Polvese. Eravamo sei Preti, ed un Pescatore che remava. La nebbia era foltissima. Si voleva ricorrere alla solita Bussola del suono delle Campane. lo non volli assolutamente, ma accomodai la mia Bussola sulla poppa, o la prora della barca, e feci prendere la direzione, avvisando di tanto in tanto il Parroco dell'Isola, che era il timoniere, a sorgere, o a tenere secondo le occorrenze. (Sorgere significa voltar la barca a destra, tenere vuol dire voltarla a sinistra.) I Preti se ne persuasero dopo qualche timore, ma non cessò la paura del pescatore, se non quando si avvidde di noi aver guadagnato il posto, dove dovevamo sbarcare. Il dopo pranzo al ritorno, siccome il mio timoniere era un poco più allegro del solito, dopo scorsa la metà della strada cominciò a vagare a suo modo ad onta dei miei suggerimenti. Si udirono contemporaneamente delle alte voci da quattro barche che chiedevano suono di campane. Io dissi allora al mio timoniere, noi sbarcheremo al Podere se non tenete. Un momento dopo fu sonata la campana di S. Feliciano, e noi eravamo realmente nel sito da me accennato. Alcuni s'invogliarono d'imparare ad adoprar la Bussola. Ma io partii di là. Cessò pertanto il desiderio di apprende l'uso della Bussola, e dura ancora la Bussola delle campane.

r Il Lago Bolseno ne è incontrastabilmente uno.

s Silius Italicus de Bello Punico Secundo Lib. V. sub initio.

t Herodot. Lib I.

u Gl'Inglesi, gli Olandesi, i Francesi, i Spagnuoli ec. hanno fatta la stessa cosa nelle porzioni delle altre tre parti del mondo da loro occupate, Perché non poterono farlo i Lidj? Gli uomini sono stati sempre gl'istessi.


__________

Bartolomeo Borghi nacque il 5 settembre 1750 a Zocco nei pressi di Monte del Lago. Fu ordinato sacerdote nel 1774, svolse il suo incarico a Monte del Lago, poi a Magione e quindi a Sorbello (Cortona). 

Studioso di geografia, analizzò i territori a lui più familiari: nel 1770 scrisse la Descrizione geografica, fisica e naturale del Lago Trasimeno (stampata postuma nel 1821), e nel 1791 pubblicò una Dissertazione sopra l'antica geografia dell'Etruria, Umbria e Piceno.

Fu nominato membro delle Accademie Cortonese e Reale di Firenze. Pietro Leopoldo lo incaricò di delineare la carta del catasto pubblico di Cortona e del contado di Castiglione.

In una seconda fase gli orizzonti geografici della sua attività si allargarono, ne sono prova l'Atlante Novissimo (Venezia 1779-1785) e l'Atlante geografico (Siena 1798-1800).

La sua opera più importante resta l'Atlante generale dell'ab. Bartolommeo Borghi, pubblicato a Firenze nel 1819. 

Morì a Firenze il 4 maggio 1821.


__________

Grazie a Ermanno Gambini senza il quale non saremmo riusciti a recuperare l'immagine della carta del lago Trasimeno di Bartolomeo Borghi.

I colori del lago nei nuovi gadgets dell'Arbit

0
0


L'autunno è arrivato da più di un mese, spuntano i funghi e con loro i gadgets dell'associazione Arbit (Claudio perdonaci il parallelo blasfemo).

  • L'astuccio in cartoncino riciclato con matite, righello, gomma e temperamatite.
  • Il cilindretto con le matite colorate.
  • Il taccuino colorato in due varianti: copertina verde con le pagine a righe; copertina azzurra con le pagine bianche.



Lo Sbarchino al chiaro di Chiusi

0
0


Lasciamo l'automobile alle Torri, al confine tra Umbria e Toscana, percorriamo a piedi il sentiero della bonifica per circa tre chilometri.

Superato il campeggio, ci avviciniamo al pontile in legno del circolo canottieri. Poi continuiamo lungo la riva del chiaro, oltre la darsena, verso la Lenza Etrusca, la locale associazione di pesca sportiva.



Troviamo una grande varietà di piccole imbarcazioni, la maggioranza, come ovvio, sono quelle tradizionali del lago di Chiusi, ma ci sono anche barche in resina e curiose varianti in lamiera zincata.

Le barche, forse un centinaio, sono ormeggiate lungo il canale che porta al lago, all'imbocco del quale vi è una splendida distesa di ninfee. Su lato opposto c'è il prato attrezzato con i tavoli per picnic. Verso l'interno, a fianco dell'impianto di pescicoltura, c'è la zona con le barche tirate in secca e le reti stese ad asciugare.

Non ci sono motori a scoppio, vietati, ma soltanto motori elettrici; naturalmente non mancano i  remi che qui vengono usati senza l'ausilio di scalmi e, se vi è un solo vogatore, pagaiando dal capitino di prua, come si vede nella foto sotto.




Ma perché il lago di Chiusi, come quello di Montepulciano, viene chiamato chiaro? Una prima risposta può darcela l'erudito milanese Giovanni Gherardini che dedicò al "chiaro" una voce del suo Voci e maniere di dire additate a' futuri vocabolaristi, volume II, Milano, 1840, pp. 97-98.

§. XIV. CHIARO. Parlandosi di Laghi, Paduli, Mari, s'intende quella Parte più profonda di essi la quale non è ingombra né da canneti, né da piante acquatiche, né da sedimenti, né da altro, e dove per conseguenza l'acqua è chiara e libera.
  • Il lago di Bientina... è diviso in due porzioni, cioè nel chiaro e nel palude. Il chiaro, ch'è nel mezzo, deve propriamente dirsi lago; è profondo, sta sempre pieno d'acqua chiara,... e non ha piante acquatiche. [Relazioni d'alcuni Viaggi fatti in diverse parti della Toscana, ec., dal dott. Gio. Targioni Tozzetti. Edizione seconda. Firenze 1768, nella Stamp. Granducale, tomo I, pagina 304].
  • Il lago ha nel mezzo un chiaro di figura ovale; intorno poi ha vasti marazzi. [Relazioni d'alcuni Viaggi fatti in diverse parti della Toscana, ec., dal dott. Gio. Targioni Tozzetti. Edizione seconda. Firenze 1768, nella Stamp. Granducale, tomo I, pagina 451].
  • Il chiaro del mare non si può trovare se non che nel mezzo agli oceani: i piccoli mari, tra' quali si può comprendere il Mediterraneo, sono troppo rinterrati dai sedimenti de' fiumi, e verisimilmente non hanno alcuna porzione del loro fondo che conservi l'antica faccia nativa [Relazioni d'alcuni Viaggi fatti in diverse parti della Toscana, ec., dal dott. Gio. Targioni Tozzetti. Edizione seconda. Firenze 1768, nella Stamp. Granducale, tomo 5, pagina 296 – tomo 8, pagina 296, e indietro tomo 1, paina 459 ].
  • Ogni lago o palude suole avere il suo chiaro ed i suoi paglieti: nel solo palude di Fucecchio oggidì non si ravvisa altro che un solo e continuato paglieto, né più si distingue dove sia il chiaro. [Ragionamento del dott. Gio. Targioni Tozzetti sopra le cause e sopra i rimedj dell'insalubrità dell'aria della Valdinievole. Firenze, 1761, Stamp. Imperiale, tomo 1, pagina 246 – tomo 2, p. 549 e altrove].
  • Si fa ancora (la caccia alle folaghe) nella Valdichiana sul chiaro di Chiusi. [Ornitologia toscana, ossia Descrizione e storia degli uccelli, ec., del dott. Paolo Savi. Pisa, dalla tipografia Nistri, 1827. tomo 3, pagina 7].
  • Due cacciatori vanno a porsi in un sito del chiaro, che non sia molto distante dai canneti. Questi uccelli (le folaghe) hanno costume d'autunno e d'inverno, quando sono uniti in branchi, di dormire nel mezzo del chiaro l'uno accanto all'altro. [Ornitologia toscana, ossia Descrizione e storia degli uccelli, ec., del dott. Paolo Savi. Pisa, dalla tipografia Nistri, 1827. tomo 3, pagine 10 e 7 – Viviani citato in Ragionamento del dott. Gio. Targioni Tozzetti sopra le cause e sopra i rimedj dell'insalubrità dell'aria della Valdinievole. Firenze, 1761, Stamp. Imperiale, tomo 2, pagina 539, 543 e altrove].




Torniamo allo Sbarchino ricordando che è davvero facile da raggiungere. In automobile seguendo le indicazioni per il lago di Chiusi o quelle per il ristorante Pesce d'oro; il parcheggio si trova a una cinquantina di metri dagli ormeggi. In bicicletta percorrendo il sentiero della bonifica del Canale Maestro della Chiana, circa sette chilometri dopo aver lasciato Chiusi Scalo.


Visualizza Associazione Arbit in una mappa di dimensioni maggiori

Quel Castiglione visto su Rai5

0
0


La puntata di venerdì 16 novembre 2012 de "I borghi più belli d'Italia" dedicata a Castiglione del Lago.

Un resoconto dal 1833. Le barche da pesca della laguna di Orbetello

0
0
di Charles Heath Wilson

Chiedo qualche minuto della vostra attenzione per descrivere il disegno che segue.



Nell'estate del 1833 feci un viaggio da Livorno a Roma, lungo la costa, terra incognita alla maggior parte dei viaggiatori, seguendo il tracciato della via Aurelia. A Orbetello, ultima città nel Granducato di Toscana, oltre a fare alcune interessanti scoperte antiquarie, ebbi modo di osservare le barche che sto per descrivervi.

Orbetello sorge su una penisola proiettata in una laguna poco profonda e abbastanza estesa; vi si utilizzano barche a fondo piatto, con prua e poppa notevolmente rialzate. La zona centrale dell'imbarcazione risulta quindi più bassa, proprio dove è fissata una trave dello spessore di circa dieci centimetri che percorre trasversalmente lo scafo e sporge all'esterno per più di settanta centimetri su ciascun lato. In ognuna delle estremità della trave è inchiodato un pezzo oblungo di tavola, da cui esce un robusto perno. In rapporto alla barca, i remi sono decisamente lunghi, con una pala veramente ampia la cui forma è visibile nel disegno. Questi remi poggiano sui pezzi di tavola alle estremità della traversa e sono fissati al perno con un pezzo di corda, con una soluzione simile a quella adottata sulle barche delle nostre coste. La pala del remo sbilancia leggermente oltre il fulcro su cui poggia; le impugnature arrivano quasi a toccarsi al centro della barca. Con questo sistema, un uomo è in grado di usare un paio di remi robusti, e può governare una barca che, apparentemente, non ha una forma adatta alla velocità, ma che si sposta sull'acqua con una rapidità sorprendente. Il pescatore può arrestare l'avanzamento della barca o virare con notevole rapidità e sicurezza ma sempre con pochissimo sforzo.



La mia conoscenza di barche e navi è decisamente scarsa, ma non potei fare a meno di notare con quanta facilità il pescatore di Orbetello manovrava la sua rudimentale imbarcazione. Ciò mi ha spinto a scrivere questa nota su una barca e sulla modalità di voga, di cui non credo qualcuno abbia mai scritto.

Tutto questo può suggerisce delle ipotesi sul modo in cui, probabilmente, gli antichi governavano le loro triremi, cosa degna d'attenzione per lo storico, soprattutto se vorrà confrontare quanto fin qui detto con le tecniche di voga in uso nelle barche sorrentine sul Golfo di Napoli che, come ho pensato esaminando alcune pitture pompeiane, risultano molto simili alle galere che in tempi antichi solcavano lo stesso mare.

  • Questo brano è tratto dal saggio: Brief Observations on the State of the Arts in Italy, with a short account of Cameo-Cutting, Mosaic Work, Pietra Dura, and also some of the Domestic Arts and Mechanical Contrivances of the Italians. By Charles H. Wilson, Esq. Architect, Edinburgh, A.R.S.A., and M.B.A. Read before the Society of Arts for Scotland, 23d November 1840. Pubblicato in:"Edinburg New Philosophical Journal, Exhibiting a View of the Progressive Discoveries and Improvement in the Sciences and the Arts". Ottobre 1840 - Aprile 1841, pp. 107-108.
  • Una cronaca del viaggio fu scritta dall'abate Pifferi e pubblicata nel 1832 (sic) nel volume "Viaggio Antiquario per la via Aurelia da Livorno a Roma dell'Ab. P. Pifferi con disegni analoghi di Carlo H. Wilson".
  • Charles Heath Wilson, figlio del pittorea Andrew Wilson, nacque a Londra nel settembre 1809. Studiò arte con il padre che nel 1826 lo accompagnò in un lungo viaggio in Italia.
    A Edimburgo, esercitò la professione di architetto e insegnò ornamento e disegno presso la scuola d'arte. Nel 1849 divenne il Preside della nuova Glasgow School of Art.
    Nel 1869 lasciò la Scozia e si stabilì a Firenze, dove animò un circolo letterario e artistico. Scrisse un celebre volume su Michelangelo. Gli fu conferita la "Corona d'Italia" da Vittorio Emanuele.
    Morì a Firenze il 3 luglio 1882.

«Le Lac de Trasimène e la carpe monstre». Dal 1860, la cronaca di una gita al Trasimeno

0
0


di Louise Colet

La principessa Marie Bonaparte torna a la Viano proponendoci di fare una passeggiata al lago Trasimeno. Partiamo in un pomeriggio caldo su una carrozza scoperta, alla quale sono stati aggiogati tre superbi buoi; non potendo i cavalli portarci sin la cima della ripida salita in cui si trova Castiglione del Lago.

Tutte le strade dello Stato della Chiesa sono così mal gestite che percorrendole ci si può imbattere d’improvviso in grandi pietre, pozze d'acqua o tronchi d'albero, dove i cavalli rischiano d’inciampare, mentre i buoi procedono sicuri con maestosa lentezza. Il nostro tiro ricorda il carro dei re franco merovingi.

Lasciamo dietro di noi la bianca villa della principessa e arriviamo al villaggio di Pozzuolo. Il lago Trasimeno ci appare all'improvviso sulla sinistra nella sua calma estensione, poi lo perdiamo di vista.

La strada è fiancheggiata da grandi querce che incorniciano ginestre e rose in fiore, i tronchi e i rami degli alberi secolari hanno quel fiero aspetto che Salvator Rosa riproduce così bene nelle sue tele. Poco ci importa che la strada sia meno comoda rispetto a quelle della Toscana, ci lasciamo rapire dagli aspetti selvaggi e imprevisti della natura. Frassini giganteschi formano qua e là radure silenziose, il terreno è tappezzato di margherite, papaveri, fiordalisi e ranuncoli.

Dopo un'ora di cammino attraverso questa campagna incantata, i lati della strada si aprono; oliveti si estendono su ogni lato; di fronte a noi c’è Castiglione del Lago coronata dal suo magnifico torrione, come in una fiabesca quinta teatrale; il Lago Trasimeno, incorniciato da bellissimi monti, si dispiega alle spalle del paese; le onde del lago cingono la rupe dove poggia Castiglione per poi spingersi nell'entroterra formando due braccia luminose.

Scendiamo dalla vettura davanti alla porta della vecchia cinta muraria, saliamo per alcune stradine strette e deserte in direzione del torrione; a sinistra, prima di raggiungere le mura del forte, troviamo un grande palazzo, già possedimento dei duchi della Cornia, ora del governo pontificio. Passiamo attraverso diverse stanze decorate con grandi affreschi mitologici dei fratelli Zuccari. Il soprintendente ci fa servire dolci e vino di Montefiascone su una bella terrazza che porta a un passaggio segreto che un tempo conduceva dal palazzo alla fortezza smantellata. Ho modo di vedere le suggestive rovine di questa fortezza di Castiglione del Lago: l'alto muro parzialmente crollato e rivestito d’edera frondosa; la grande torre di un tono dorato che s’eleva al cielo e altre quattro torri più piccole che fiancheggiano i bastioni. Tutto l’imponente edificio si trova alla sommità del colle come su di un piedistallo; il pendio roccioso scende fino alle acque ricoperto da vegetazione lussureggiante e uliveti. In uno di questi uliveti, lungo la costa, si trova una cisterna vicino alla quale pascolano buoi dalle grandi corna lucenti. Una ragazza a piedi nudi con una gonna rossa e una camicia écru, vi attinge l'acqua con un secchio di rame agganciato a una catena; un’altra ragazza è appoggiata sul bordo, occhi neri molto luminosi e capelli crespi raccolti alla greca, parla con un bel contadino che la guarda amorevolmente. Vorrei essere un pittore per riprodurre questo quadro.

Barche da pesca sono ormeggiate nel fango a pochi passi da noi. La principessa sceglie la più grande, passiamo su una tavola gettata sul melmoso e infido terreno e ci imbarchiamo; ci guidano otto rematori; una vela latina si dispiega in aria, prendiamo il largo, e presto possiamo cogliere l'intera superficie di questo bellissimo lago Trasimeno che risveglia i nostri ricordi classici, evocando l’ombra di Annibale.

Le acque azzurre e tranquille, illuminate dal sole al tramonto, descrivono un cerchio quasi perfetto, fiancheggiato da colline su cui monasteri, borghi, torrioni e ville si mettono in mostra, il loro candore spicca sul verde cupo delle querce e dei pini.

Ecco il Borghetto, dice uno dei nostri rematori, indicandoci una torre in una gola del Gualandra, sulla riva lontana, a sinistra della spiaggia dove ci siamo imbarcati. Questa torre, vicino alla strada di Cortona, domina il campo di battaglia dove Annibale sconfisse Flaminio e le legioni romane. "La furia e l’impeto dei due eserciti furono così grandi, ricorda Tito Livio, che così presi dalla battaglia, nessuno dei combattenti si rese conto del terremoto che in quel momento radeva al suolo diverse città d’Italia, cambiava il corso dei fiumi, faceva fluire il mare nei loro letti, e faceva cadere montagne molto alte”. La morte di Flaminio, ucciso dopo tre ore di eroica difesa, in questa battaglia memorabile, fu il segnale della completa sconfitta dei romani. La cavalleria cartaginese caricò i fuggiaschi; le gole, le colline, le paludi che circondano la torre del Borghetto, il lago e un piccolo ruscello, che scende dal Gualandra e da allora chiamato Sanguinetto (il ruscello sanguinante), furono coperti dai morti. Scavando la terra nei pressi del Sanguinetto, sono state trovate molte ossa umane che ancora attestano l’immane carneficina; queste funeree vestigia ne perpetuano la memoria tra i contadini: tutti qui conoscono il nome di Annibale e lo mormorano con un certo terrore passando nei pressi della torre del Borghetto.

Mentre si risvegliano questi ricordi storici, la nostra barca scivola rapida sulla calma superficie del lago.

"Forse tra un anno, dico alla principessa, dall'altra parte del lago, vicino a Perugia, l'esercito pontificio, comandato da Lamoricière, sarà a sua volta sconfitto dall'esercito dell’indipendenza.

- Lo spero, risponde la principessa; ma, aggiunge ridendo, la sconfitta sarà più facile e meno gloriosa di quella delle legioni romane, perché non credo nell’eroismo delle truppe straniere e mercenarie corrotte dalla tirannia".

Ci manca il tempo per fare tutto il giro del lago Trasimeno. Procediamo solo un po’ oltre, al largo dalla roccia ombrosa su cui sorge la cittadella. Arrivati a metà della base, vediamo il lago e tutta l’estensione delle sue rive svolgersi davanti a noi; a nord sono le due isole Maggiore e Minore, nella prima vi è un bellissimo monastero che con la sua sagoma si staglia nell'etere. Un'altra isola, l'isola Polvese, la più grande delle tre, sembra fluttuare a sud-ovest [sud-est N.d.R.] come una zattera di vegetazione; l’antico castello che la domina ci appare sospeso tra cielo e acqua.

Le tinte del sole al tramonto fanno diventare rossa una parte del lago, mentre l'altra già si oscura sotto il crepuscolo. La nostra barca supera il paese; il timoniere propone di portarci alla riserva dove sono rinchiusi i migliori pesci; ci parla di una carpa straordinaria che è stata pescata nel lago i giorni precedenti.
"Se è in vendita, la compro", risponde la principessa.

La barca entra in un dedalo di ninfee che allargano sui flutti le loro grandi foglie e le loro corolle bianche o gialle. Noi formiamo grandi mazzi di questi fiori acquatici cospargendone il fondo della barca; ci fermiamo giunti ai pali e alle reti che chiudono la riserva. I pescatori ne sorvegliano l'ingresso; subito cercano l’enorme carpa. Ecco il re del lago, dice uno di loro portandola in trionfo. L’affare si conclude rapidamente; la carpa viene posata ai nostri piedi; balza sul letto di ninfee; fiuta il suo elemento dove vorrebbe rituffarsi. Povera bestia! domani è destinata a morire in un brodo saporito.

Sbarchiamo in un oliveto e torniamo alla strada dove ci attende la carrozza; siamo accompagnati da una scorta di mendicanti, vecchi, donne e bambini cenciosi che emergono inaspettatamente dai cespugli bramando la carità.

"Ecco una delle piaghe dello Stato della Chiesa, dice la principessa, in Toscana l’accattonaggio è quasi sconosciuto, ma, quando il lavoro manca, i poveri hanno diritto alla carità". E con questa partecipe bontà, che la rende adorabile, fa distribuire bajocchi a tutti questi sfortunati.

Torniamo a la Viano in una notte stellata, la luna è sospesa sugli alti rami delle querce; vaghe luci filtrano attraverso il fogliame e gettano il loro candore sulla strada, il conducente e il valletto cantano una malinconica canzone contadina che ci culla; i buoi ci trascinano lentamente; tutto è quiete intorno a noi, un’atmosfera soave e carezzevole ci avvolge di serenità e ci versa sin nel fondo del cuore un sollievo che vorremmo durasse per sempre.


  • Il resoconto è tratto dal volume L'Italie des italiens par Mme Louise Colet. Seconde partie. Italie du Centre. Parigi 1862, pp. 209-213.[Le lac Trasimène; Castiglione del Lago; Souvenir d’Annibale; La Carpe monstre; Splendeur et calme du soir.]
  • L’autrice è la poetessa francese Louise Colet (1810 –1876). Di umili origini, si sposò con il musicista Hippolyte Colet, che la introdusse nella società parigina. Strinse amicizia con scrittori come Victor Hugo, Alfred de Vigny, Alfred de Musset e Gustave Flaubert. Divenne celebre il suo salotto letterario a Rue de Sèvres. Per alcuni fu lei a ispirare il personaggio di Madame Bovary.
  • Nel 1860 Louise Colet soggiornò in Italia, dove strinse amicizia con Alessandro Manzoni e conobbe Giuseppe Garibaldi. Nel mese di giugno raggiunse nella villa di Laviano, al confine tra Umbria e Toscana, la principessa Maria Alessandrina Bonaparte (nipote di Napoleone).
  • Version française http://www.jeanwilmotte.it/2013/03/excursion-au-bord-du-trasimene-juin-1860-1/ et http://www.jeanwilmotte.it/2013/03/excursion-au-bord-du-trasimene-juin-1860-2/

La "naue" di Posta Fibreno

0
0
Intervista a Gerardo Canini

Cos’è la naue? La naueè una caratteristica piccola imbarcazione utilizzata esclusivamente su lago e fiume Fibreno in provincia di Frosinone. È una barca di forma bislunga, ha un fondo piatto lungo un paio di metri e largo poco meno di un metro. La lunghezza totale del natante compreso le due estremità (cap), è di circa quattro metri e mezzo.



Come veniva costruita? Quali materiali si utilizzavano?

La naue veniva realizzata con tavole di quercia dello spessore di tre centimetri; tavole che venivano assemblate utilizzando uno speciale collante a base di farina e crusca di frumento prima di essere fissate con robusti chiodi quadrilateri.

C’è stata un’evoluzione nei materiali utilizzati per la realizzazione della barca?

Di evoluzione nei materiali utilizzati per la realizzaione della naue non si può parlare, tuttavia alcune di queste imbarcazioni furono ricoperte di vetroresina e solo un paio di esemplari furono costruiti in lamiera. [foto sotto]



Come veniva manovrata la barca?

La barca veniva manovrata con un unico lungo remo costituito da una pertica di castagno alla cui estremità inferiore era inchiodata una tavoletta di quercia lunga quaranta centimetri e larga venti.

Quali altri strumenti costituivano il corredo della naue?

Per cacciare l'acqua che si raccoglieva nel fondo della barca era necessario un attrezzo in legno di quercia costituito da un manico tondo lungo più di un metro terminante in una paletta con punta assai esile (palon).



Quanti esemplari sono ancora presenti?

Della naue sulle sponde del lago Fibreno sono ancora presenti quindici o venti esemplari.

Come veniva protetta la barca?

Quando non si usava, per ripararla dal gelo e dal sole, la barca veniva immersa in acque basse nei pressi delle rive.

Chi usava la naue e per fare cosa?

La naue era essenziale per svolgere qualsiasi attività lacustre e veniva usata soprattutto dai pescatori che coltivavano anche piccoli appezzamenti di terreno rivieraschi che loro stessi avevano bonificati; terreni che concimavano con un particolare humus che estraevano da fondo lago servendosi di una grossa zappa (zappa della terra) che era inchiodata ad una lunga pertica di castagno.

A servirsi della stessa imbarcazione erano anche i piccoli allevatori di bestiame che da fondo lago, con una falce legata a una pertica, in estate, mietevano un'erbetta rinfrescante per i bovini.



La naue veniva usata anche per la caccia degli uccelli acquatici e nelle epoche più recenti è stata utilizzata da troupe telivisive e cinematografiche, anche i sub sportivi se ne servono abitualmente.

Fino a quando la naue è rimasta l’unica imbarcazione disponibile?

La naueè rimasta l'unica imbarcazione disponibile fino agli anni cinquanta del secolo scorso.

Veniva usata per il trasporto di persone?

La naue che poteva essere adibita al trasporto anche di cinque o sei persone, era una grossa attrazione per i turisti e nelle sagre paesane era usata per gare agonistiche che richiamavano l'attenzione di personalità della politica e dello spettacolo da tutta Italia.




Che ruolo aveva la pesca nell’economia di Posta Fibreno?

La pesca nell'economia di Posta Fibreno aveva parecchia importanza soprattutto perché i saporiti prodotti ittici erano molto ricercati.

Quali tecniche di pesca venivano utilizzate?

Le tecniche di pesca più comuni erano quelle praticate con piccole reti o a mani nude e gli strumenti più usati dai pescatori erano la sciabica, la guada, il bertavello ad imbocco singolo o doppio, la nassa, l'amo e più recentemente l'antana.

Quali erano le specie più pescate?

Le specie più pescate erano: spinarello, trota, tinca, alborella, barbo, carpa, anguilla.
Ora il bacino del Fibreno è stato trasformato in una riserva naturale sotto il patrocinio della regione Lazio con l'ausilio del comune di Posta Fibreno.



Le rosette di pesce di Guido

0
0


Cosa serve

Filetti di persico e tinca, sfoglia di pasta fresca, olio extra vergine d’oliva, pangrattato, burro, patate, aglio, cipolla, prezzemolo, vino bianco, sale e pepe.

Prerarazione

In una pentola lessiamo le patate.
In una padella versiamo l'olio d'oliva e mettiamo a soffriggere la cipolla e l'aglio tritati.



Aggiungiamo al soffritto i filetti di pesce e il prezzemolo, sfumando con il vino bianco.
Cuociamo per qualche minuto la sfoglia di pasta fresca in acqua bollente.



In una terrina amalgamiamo patate e pesce aggiungendo sale, pepe, e un po' di burro fuso.
Stendiamo la sfoglia di pasta fresca e ci spalmiamo sopra l'impasto di pesce e patate.



Arrotoliamo il tutto e lo tagliamo a fette di circa due centimetri.
Stendiamo le sezioni di rotolo in una teglia ben imburrata.



Cospargiamo le fette con pangrattato e aggiungiamo dei fiocchi di burro.
Mettiamo in forno preriscaldato a 250° per 10-15 minuti.
Serviamo a tavola.


La pantana dell'Alto Sile

0
0
Intervista a Carlo Michieletto

Cos’è la pantana? La pantana è una piccola imbarcazione tradizionale in legno che veniva utilizzata per navigare sull'alto corso del fiume Sile, nella zona tra le sorgenti e Quinto di Treviso. Il nome deriva dallo strusciare nel pantano di queste barche in legno a fondo piatto negli acquitrini dell’Alto Sile, dove solo mezzi di navigazione di modeste misure e senza chiglia potevano solcare queste acque stagnanti.



Per quali lavori veniva utilizzata e da chi?

Nell'alto corso del Sile si effettuava una navigazione "domestica" perché si trattava di una navigazione di breve raggio; la pantana veniva quindi utilizzata da contadini e mugnai che integravano le attività fluviali a quelle contadine.

La pesca risultava essere un'attività molto praticata grazie alla fitta rete acquea presente. I rivieraschi si addentravano con la propria barca nei ghèbi, corridoi fluviali molto stretti, nelle paludi ma anche in zone facilmente raggiungibili a piedi per raccogliere le erbe palustri che consistevano la base per creare una sorta di "artigianato della palude", dalle scope alle sedie impagliate.

La mancanza di ponti nell’alto corso ha permesso di sviluppare la navigazione di breve raggio anche per quel che riguarda il trasporto di persone e animali, i quali per la carenza di collegamenti dovevano venir condotti in barca anche per brevi distanze.

La barca era anche utilizzata per l'attività di caccia: i cacciatori si facevano anche condurre all'interno della palude da abili barcaioli, i quali recepivano un compenso per il servizio prestato.

La pantana era molto utile per il carico di materiale, come nel caso del trasporto del grano al mulino per la macinazione o per il trasporto di legna. Veniva poi utilizzata anche per fini ricreativi, per momenti festivi e anche per cerimonie nuziali.



Come viene manovrata la pantana?

La pantana viene manovrata con propulsione a palina, puntando una lunga pertica di quattro metri con un terminale in ferro sul fondo. I bassi fondali consentono al conducente di poter spingere l’imbarcazione con l’uso della pertica facendo leva sul terreno. Questa tecnica di conduzione permette di entrare in canali molto stretti senza particolari problemi.

Perché e quando è caduta in disuso, quali le cause del declino?

Cade in disuso a partire dagli anni Cinquanta del secolo scorso, quando il Veneto conosce il boom economico. L’individuo percepisce la voglia di cambiare, di avanzare, di superare la vita dura che offriva il lavoro campestre, palustre e fluviale. Le campagne si svuotano con il passare del tempo e l’agricoltura si meccanicizza, necessitando di minor manodopera. Attività di fiume collegate al mondo contadino considerate prima necessarie ora non lo sono più. Viene gradualmente abbandonata la vita di fiume e le piccole barche in legno vengono presto dimenticate. I natanti in legno vengono poi sostituiti in tempi recenti da barchini costruiti con altri materiali quali la vetroresina e il ferro.



Quali sono le caratteristiche tecniche dell’imbarcazione?

La pantana è un mezzo di navigazione della lunghezza di circa quattro metri e con una larghezza compresa tra 110 e 125 centimetri circa. E' utile sottolineare che il costruttore poteva apportare leggeri cambiamenti alle misure della barca secondo le proprie esigenze: per un maggior carico serviva una struttura un po’ più allargata, per chi voleva un mezzo più veloce e agile, bastava
restringerne la larghezza o accorciare leggermente la lunghezza.

Il fondo piatto della barca consente una linea di galleggiamento molto bassa, ideale per la navigazione in plaghe paludose alimentate da polle sorgive, chiamate in dialetto locale fontanassi, e in stretti canali, chiamati ghèbi. Le fiancate laterali sono basse. La poppa e la prua sono di forma quadrangolare; nella parte posteriore la testata della barca è un po' più larga rispetto a quella anteriore per permettere al conducente di manovrarla in maniera più efficace. La curvatura longitudinale del fondo, detta cavallino, non è molto arcuata ma di pochi centimetri: in luoghi paludosi e con acque ferme è adatto difatti un fondo lineare.



Quali sono i materiali utilizzati per la costruzione?

La scelta del legno è fondamentale per la creazione di una barca. Nelle ultime pantane ricostruite da un maestro d'ascia (dagli anni Novanta fino al 2005) è stato scelto unicamente il legno di larice stagionato, che ha come caratteristiche l'elasticità e la resistenza all'umidità ma anche la durezza e la compattezza. Originariamente venivano impiegati anche altri tipi di legno: abete, gelso e rovere.
La pertica è ricavata da legno di salice.

Chi si occupava della costruzione? 

Falegnami e contadini si dedicavano a questa cantieristica minore visto che per queste costruzioni non esisteva uno squero di riferimento: i più abili erano sicuramente i falegnami, a cui venivano commissionate la maggior parte delle barche da realizzare, mentre i contadini si arrangiavano come meglio potevano, seguendo anche i consigli di amici falegnami e copiando le tecniche costruttive.



Qual è attualmente la diffusione di questa barca?

Purtroppo non è più possibile trovare una pantana originale. E’ interessante notare, però, che un artigiano locale ha ricostruito, dal 1996 al 2005, una decina di pantane che sono state acquistate da privati che abitano nelle zone rivierasche del fiume. Altre quattro pantane sono state prodotte in uno squero veneziano e sono di proprietà dell’Oasi Cervara srl. Si trovano all’interno del parco Naturale del Fiume Sile, nell’Oasi Cervara, una riserva naturale che tutela l’ambiente palustre dell’Alto Sile.



Chi ha il merito della rinascita e della valorizzazione di questa imbarcazione tipica? 

Gran parte del merito va all’Associazione Cultura e Tradizione Contadina sita a S. Cristina, una frazione nel comune di Quinto di Treviso. L’associazione si è fatta promotrice nel 2005 di un seminario universitario, con la collaborazione dell’Università Cà Foscari di Venezia, all’interno del quale sono state costruite quattro pantane da un artigiano locale con l’ausilio di cinque studenti. Questo ha poi portato alla realizzazione di un DVD multimediale "La "Pantana" dell'Alto Sile".

Anche l’Oasi Cervara srl sta valorizzando questo tipo di imbarcazione: nell’Oasi, oltre a percorsi didattici, è possibile, tramite una prenotazione, compiere un’escursione in barca di circa un’ora con un barcaiolo esperto.

Nel 2010 è poi stata organizzata la prima edizione del Palio delle pantane, una risalita del fiume aperta a tutti gli amanti del Sile, a bordo di una pantana o di qualsiasi imbarcazione a remi, a pagaia o a pertica.



Una ultima curiosità, come si è avvicinato a questa imbarcazione e come ha deciso di studiarla?

Sono stato uno dei cinque studenti che ha partecipato nel 2005 al seminario dell’Università Ca' Foscari, che prima citavo. Sono rimasto subito affascinato dal mondo fluviale e dalle antiche maestranze collegate al fiume, che ormai stanno scomparendo. Seguito dal prof. Francesco Vallerani, docente di Geografia, ho deciso che quello sarebbe stato l’argomento ideale per la mia tesi di laurea. Il mio augurio è che anche il mio elaborato sia un aiuto in più per poter valorizzare la nautica tradizionale e magari diventare un valore aggiunto per l’incentivazione di un turismo fluviale sostenibile.






  • Gugliemo Ciardi, Mattino di maggio (particolare), 1869, olio su tela, cm. 57 x 78, Ca’ Pesaro, Venezia.
  • Gugliemo Ciardi, Mulino sul Sile (particolare), 1875, olio su tela, cm. 50 x 98 cm, collezione privata Milano.

Quale fu l'uso di dirlindane e spaderne sul lago di Como

0
0
di Giovanni Cetti

Chiamasi dirlindana o tirlindana, ed in alcuni paesi del lago anche molegna, una lunghissima lenza, la quale si adopera stando in una barchetta e tirandosela dietro nel lago. Lunghesso il filo si attaccano varii pezzetti di piombo, acciò cali al fondo. ll saper ben coprir la lenza di piombi, e distribuirli convenientemente sulla sua lunghezza, è cosa della massima importanza, e dalla quale dipende sovente la maggiore o minor presa di pesci. Dal pesce cui è destinata a prendere, riceve dessa il nome, e sul nostro lago si usano dirlindane di pesce-persico, di trota e di luccio.



I. Dirlindana di pesce-persico

Questa può essere di seta, di filo, di setale e d'altro; ma qualunque ne sia la materia è bene sia intrecciata, perché più difficilmente si attorciglia nell’usarla. Si adopera pure il filo di rame o di ottone, il quale se dall'una parte presenta molta fortezza, dall’altra richiede troppo cura nel pescare, poiché se si torce troppo rigidamente, di leggieri si spezza.

La sua lunghezza varia dai 20 ai 40 metri. I pezzetti di piombo devono essere giudiziosamente ripartiti lungo la funicella, in modo che né troppo galleggi, né vada troppo rasente il fondo. Un po’ di pratica ti ammaestrerà meglio di qualsiasi teorico insegnamento. All’estremo che porta l’amo, vi si attaccano varii peli di setale, forti e bene annodati, l'altro si lega ad un arnese sul quale si avvolge il filo della lenza.

Questo arnese è una specie di arcolaio, e consta di due listicelle di legno, le quali alle due estremità e nel mezzo sono forate (fig. 31 a); nei due fori estremi s’intromettono due bacchette cilindriche e fisse in guisa di formarne un quadrato, e nel foro di mezzo si fa passare un’altra bacchettina di legno o di ferro, con attaccatovi un piccolo manico, la quale serve di perno intorno a cui può girare l’istrumento (fig. 31 b). Questo arnese ha il vantaggio di lasciar asciugare prontamente il filo, poiché l'umidità produce una fermentazione, i cui effetti, benché non visibili aIl’occhio, sono di grave danno alla durata della lenza.

Per avvolgere la dirlindana si ponno usare anche due assicelle, unite fra loro da quattro o più cilindretti di legno (fig. 32); oppure una grossa canna, lunga un 25 centimetri, tagliata concava alle due estremità (fig. 33).

Per innescar l’amo della dirlindana o melegna, si usa un’alborella od altro pesciolino vivo; ma non avendolo, serve egualmente bene un pescetto di argento o di madreperla (fig. 34), un pesciolinoartificiale di stoffa o di guttaperca (fig. 35), ovvero un pezzettino di pelle bianca, che tu taglierai a foggia di pesce (fig 36). Si usa pure un piccolo arnese in forma di conchiglia, o più propriamente, come la metà di un uovo di piccione, detto da noi scudellino, il quale è di rame inargentato internamente, ed annerito nll’esterno. Fra esso ed il setale della lenza si pone una macchinetta girevole o smeriglione, e all’altra parte della conchiglia si attacca un amo doppio o triplo (fig. 37). È tanta la voracità dei pesci che basta per prenderli legare all'amo due piumicine bianche. Con queste o colla pelle se ne prendono facilmente, ma sono quasi tutti piccoli.

Per attaccare all’amo il pesciolino vivo, si fa passare l'amo due volte nelle sue labbra, e traendo quasi tanto filo quanto è lungo il pesce, lo si infilza verso l’estremità della coda; ovvero si attaccano alla dirlindana due ami, lontani circa un cinque centimetri l’uno dall’altro, ed il primo s’infilza nelle labbra, ed il secondo nella coda del pesce. Se al pesciolino si taglia una delle alette che stanno dopo le branchie, esso nuotando solo da una parte continua a girare intorno a se stesso; il che serve a viemeglio allettare i pesci, e tien luogo delle macchinette girevoli.

Il tutto apparecchiato, ora altro non ti rimane, che salito sopra un burchiello, porre in opera la dirlindana. Mentre il barcaiuolo spinge innanzi la barchetta, tenendola a poca distanza dalla riva, tu seduto vicino alla poppa, getterai l’amo inescafo nelle acqua, e dipannando la funnicella a poco a poco, la lascerai cadere nel lago, e tenendola fra i polpastrelli del pollice e dell’indice, di continuo la tirerai innanzi e indietro. Fatte poche regate, tu sentirai il filo dare una piccola scossa; è il pesce che per telegrafo ti avviene; che vittima della propria ingordigia rimase tuo prigione; Fa soffermare tosto il battello, e lieve lieve tira a te la cordicella, inaspandola sull’istrumento, o deponendola in circolo sulla poppa, e tosto tu vedrai di lontano a fior d’acqua guizzare il pesce. Lo avvicinerai alla barca, poscia destramente sollevandolo, o meglio con un piccolo sibiello, lo trarrai in barca. Avverti che nel tirare il pesce vicin vicino, non si deve mai rallentare il filo, altrimenti il pesce potrebbe rigettar l’amo e fuggirsene. lnescherai di bel nuovo l’amo, sene è privo, lo getterai nelle acque ed in breve farai buona preda di pesci-persici.

Talora sentendo tirare, potrebbe non essere il pesce, ma bensì l'amo attaccatosi a qualche erba o scoglio. Non ponendosi arrestare sull’istante la barca, se tu tiri forte, corri rischio di rompere e perdere parte della lenza. A ciò prevenire, si deve Avere l’avvertenza di non dipanare tutta la cordicella. Non appena ti accorgi essere l’amo attaccato al fondo, lascerai scorrere nel lago la lenza finché la barca si fermi e ritorni indietro, che se il filo non bastasse, getterai nel lago l’arnese a cui è attaccata, il quale perciò deve essere galleggiante.

Con un po’ di tempo e di pazienza facilmente ti riescirà a staccarnelo. Che se la lenza si rompesse, e lungo tratto di filo rimanesse nel lago, si può pescarlo con una cordicella, a cui sono attaccati ad intervalli degli uncini di ferro, o dei chiodi ricurvi, od anche solo dei ciottoletti. Colla barca fa di spingerti verso l'alto del lago al di là della lenza perduta; cala la corda armata di uncini; poi voga perpendicolarmente alla sponda sino alla riva facendo sì che gli uncini striscino sempre rasente il suolo. Replicando più volte questa manovra, è raro che la lenza perduta non venga ritrovata.

Questa pesca è assai comoda e dilettevole. La stagione migliore per usarne è dopo la frègola dei pesci persici, alla mattina per tempo, e la sera posto il sole. Le giornate piovose, e minaccianti temporale sono favorevoli a tal pesca. La più parte dei pesci, che si prendono, sono persici; però vi si attaccano sovente cavedani, ed altri pesci, e raramente anche qualche grosso agone.

II. Dirlindana di trota

Questa deve esser lunga più di 100 metri, e deve essere assai forte; e perciò si fa generalmente di seta a più doppi, intrecciata. È bene sia resa impermeabile all'acqua, ossia inverniciata, perciò bagnandosi sovente, né potendo asciugare prontamente, essendo i fili gli uni sovraposti agli altri, potrebbe facilmente guastarsi. Tale inverniciatura si usa anche per le cordicelle delle altre dirlindane.

Per questa dirlindana sono necessarie alcune macchinette o smeriglioni, i quali si possono usare con vantaggio anche per le altre. Questi smeriglioni constano di un pezzetto di ferro oblungo con una apertura pure oblunga nel mezzo, e forato alle due estremità. Nei due fori s'introducono due fili di ferro, di cui l'estremo, che volge nell'interno, si ribadisce in guisa però che possa girare, e l'esterno si piega a formare un piccolo anello, e lo si attorciglia intorno al gambo (fig. 38). Questa macchinetta è usata da lungo tempo presso gli Inglesi: da noi si conosce da pochi anni, poiché dapprima solo alcuni ne usavano come un segreto e con grande vantaggio alla pesca della trota. Essa serve a far sì che l'esca giri continuamente, e meglio possa allettare la trota, e che il filo non possa attorcigliarsi; il che facilmente avverrebbe nel bagnarsi, essendo molto lunga. Ve ne sono di varie grandezze, e nelle dirlindane se ne applicano due o tre, ma tutte verso l'estremità che porta l'amo. La funicella si attacca agli anelli della macchinetta con un nodo.

Questa lenza è armata di molti ami, attaccati a due a due, a tre a tre, circa quattro o cinque centimetri gli uni distanti dagli altri. Se tu li attaccassi al setale, essendo la trota assai forte e ben munita di denti, si correrebbe rischio ch'essa lo rompesse e se la svignasse, per cui si suole attaccar gli ami a delle budella di agnello, su cui è attorcigliato un filo di rame, e propriamente simili alle corde di chitarra (fig. 39). Di queste corde raminate, fornite di ami, se ne tengono varie, nel caso di doverle rinnovare. Dopo queste nella lenza viene il setale, il quale dovrà essere molto forte, ed è meglio che siano due o tre peli uniti. I piombi, devono essere convenientemente distribuiti sulla sua lunghezza, e piuttosto grossi.

Vi attaccherai per esca un agone od un altro pesce, facendo sì che uno degli ami estremi s’inflizi nella coda, indi un altro di quelli che seguono, nel ventre, ed uno degli ultimi si attacchi alle labbra. E sarà bene che quest’ultimo tu ve lo cucisca con refe, turando la bocca del pesce, acciò non possa facilmente staccarsi. Nell’interno del pesce poi s’introduce un pezzetto di ferro lungo poco più di un ago, ¡l quale, curvato alquanto ad arco, terrà ripiegato il pesce, onde questo, opponendo maggior resistenza all’acqua, meglio possa girare ed ingannare il pesce.

Per pescare con questa lenza non si deve andar terra terra, ma attraverso il lago dall’una all’altra sponda. Non di sovente ti verrà fatto di far presa di trote, e forse per più giorni pescherai indarno; ma quando ne prenderai qualcuna, verrai ricompensato nella sua grossezza delle giornate e delle ore inutilmente perdute, e bella occasione ti fornirà ad un buon pranzo da godere in brigata d’amici; che se tu vorrai farne commercio, potrai ritrarne de’ bei quattrini.

Quando ti accorgerai che la trota ha abboccato l’esca, e che vi è attacca, con accortezza la trarrai vicino alla barca, talora lasciandole correr dietro un po’ di cordicella, qualora, essa troppo tirando, si corra pericolo di rompere il filo. Io sono d’avviso che male facciano coloro che senza necessità molto tempo la lasciano girovagare nel lago attaccata all’amo cercando di stancarla; poiché la trota è assai forte, ed alle volte potrebbe, con improvviso sforzo, troncare la lenza e svignarsela. Avvicinata la trota alla barca, o trattala presso la riva, lesto, con un apposito uncino (fig. 40) tenendo teso il filo, la prenderai sotto il ventre e la trarrai in barca. La potrai levare dal lago anche col mezzo di un piccolo sibiello.

Alcuni senza tener fra le mani il filo della dirlindana, hanno trovato modo di essere avvertiti quando ¡l pesce vi si attacca. A tal uopo si tirano varie macchinette o molinelli, su cui si avvolge la cordicella, e quando il pesce abbocca l’esca scocca una molla, che ne rende avvertito il pescatore (fig. 41, 42).

III. Dirlindana di luccio

È simile alla precedente, ma più corta. Il filo deve essere fortissimo e fornito di grossi piombi, acciò non galleggi Gli ami devono essere attaccati a delle budella raminate, poiché altrimenti il luccio, avendo la bocca armata tutta quanta di piccoli ed acuti denti, potrebbe di leggieri rodere il setale.

Si usano pure le macchinette girevoli, come nelle altre dirlindane, per far girare l’esca, la quale consiste in un agone od in un’alborella.

Per pescare con questa dirlindana non si va colla barca presso la sponda, ma a molta distanza dalla riva. Si usano pure i molinelli, e quando il luccio avrà abboccato, si deve avere molta. precauzione e prontezza nel trarlo in barca con un sibielletto, essendo esso molto pesante ed assai forte.

Questa pesca, come quella dalla trota, si fa principalmente nell’inverno ed ¡n principio di primavera.

Spaderna

La spaderna, che in Toscana chiamasi spaderno, in alcuni paesi del lago dicesi anche legnola o sperna. È una lunghissima lenza che porta molti ami detti di spaderna. Comunemente ciascuna porta dai 50 ai 100 ami, distanti l’un l’altro da due a tre metri, e attaccati al filo principale con un bracciuolo di filo lungo un 25 centimetri. La lenza consiste in una cordicella di lino poco torto, e non vi si adopera setale.

Questa lenza serve principlmente a prendere le anguille. Si pongono per esca sull’amo o dei lombrici di terra, o gamberi, o ranuzze, pesciolini, pezzetti di agone ecc. Alla fine di settembre e in principio d’ottobre si carica con pezzetti di fico, ed allora si prendono facilmente grossi cavedani. La spaderna si sciorina sopra pezzi di canna, e se ne uniscono varie fra loro.

Si getta la sera nel lago a zig zag (met gio i spaderna – andare a schimbescio) a qualche distanza da riva, ed i pescatori usano caricarla d’esca mano mano la calano in acqua. Prima di gettarvela è bene inaffiare la cordicella, perché così affonda subito e meglio. I due estremi si pongono vicino alla riva, e vi si attacca un asasso che facilmente si possa ritrovare. Alla mattina susseguente od il giorno dopo si estrae dalle acque.

Si prendono principalmente anguille, e coi lombrici se ne prendono molte, ma piuttosto piccole. Si prendono pure bottatrici e cavedani. Ponendovi per esca gli animali detti molluschi acquatici dei generi Unio e Anadonia, nel mese di settembre si pescano le tinche.

_______________
  • Questo brano è tratto dal volume dell’Ing. Giovanni Cetti, Il pescatore del Lario, descrizione delle reti e dei vari generi di pesca in uso sul lago di Como, pubblicato a Como nel 1862, dagli editori Carlo e Felice Ostinelli, pp. 62-73.

L'assemblea 2013 dell'Arbit

0
0


Anche quest'anno l'assemblea dell'associazione Arbit e il pranzo sociale si svolgeranno presso il (non più ex) ristorante la Capannina a Castiglione del Lago in via Lungolago 20. Il giorno? Domenica prossima, il 10 febbraio.

Per informazioni guidonautica@libero.it - cell. +393395456987.

From 1833. Fishing boats used on the lake of Orbetello

0
0
Charles Heath Wilson

I now beg your attention for a few minutes, whilst I describe the next drawing.



In the summer of 1833 I made a journey from Leghorn to Rome along the coast, a terra incognita to most travellers, my object being to trace the Via Aurelia. At Orbetello, the last town in the Tuscan States, besides making some interesting antiquarian discoveries, I observed the boats which I am about to describe.

Orbetello stands upon a peninsula, projecting into a shallow lagoon of some extent; the boats which are used upon it, are flat-bottomed, rise considerably at the bow and stern, being lowest at midships, across which part of the vessel a beam is fastened, about four inches thick each way, and which projects about two feet six inches over each side. On each of the ends of this beam an oblong piece of plank is nailed, the longest sides being horizontal, and a stout pin rises from each of these. The oars are of considerable length in proportion to the boat, and of great breadth in the blade, which is of the form shewn in the drawing. These oars rest upon the pieces of board at the ends of the cross-beam, being attached to the pin by means of a piece of cord, in this last respect resembling a mode adopted in boats on our own coasts. The blade of the oar slightly overbalances the portion within the fulcrum on which it rests, the handles nearly touch each other, meeting a-midship. By this contrivance, one man can manage a pair of very powerful oars, and can drive a boat, which is apparently but ill adapted from its form for speed, with surprising rapidity through the water; he can arrest its progress, or turn it with equal rapidity and certainty, and with very little exertion.



My knowledge of boats and ships is indeed very trifling, but l could not help seeing how easily the fisher of Orbetello manouvred his rude boat; and therefore I have been induced to bring forward this notice of a vessel and mode of rowing which I am not aware has been described. Besides, it suggests ideas as to the probable mode in which the ancients managed their triremes, well worthy the attention of the antiquary, especially if he will combine the hint thus obtained with the modes of rowing followed in the Bay of Naples on board the Sorrentine boats, which, I have been led to imagine from an examination of pictures in Pompeii, are much the same in every respect as the galleys which in old times navigated the same sea.

_____

  • Extracted from the article: Brief Observations on the State of the Arts in Italy, with a short account of Cameo-Cutting, Mosaic Work, Pietra Dura, and also some of the Domestic Arts and Mechanical Contrivances of the Italians. By Charles H. Wilson, Esq. Architect, Edinburgh, A.R.S.A., and M.B.A. Read before the Society of Arts for Scotland, 23d November 1840. Published in: "Edinburg New Philosophical Journal, Exhibiting a View of the Progressive Discoveries and Improvement in the Sciences and the Arts". October 1840 - April 1841, pp. 107-108.
  • Charles Heath Wilson, art teacher and author, son of Andrew Wilson, the landscape-painter, was born in London in 1809. He studied art under his father, and in 1826 accompanied him to Italy. After seven years, he returned to Edinburgh, where he practised as an architect, and was for some time teacher of ornament and design in the school of art.
    In 1849 he accepted the headmastership of the new Glasgow school of design.
    In 1869 he left Scotland and settled at Florence, where he became the life and centre of a large literary and artistic circle. He published a life of Michaelangelo. Victor Emmanuel conferred upon him the cross of the "Corona d'Italia". He died at Florence on 3 July 1882.

Queste erano le scese del Trasimeno trent'anni fa

0
0


Quella che segue è la trascrizione del dattiloscritto, con alcune annotazione autografe, dell'elenco delle scese fatto compilare dalla Provincia di Perugia nella prima metà degli anni '80 del '900.
Il titolo dei paragrafi indica le zone in cui venne suddiviso il perimetro del lago. Al nome dell'accesso al Trasimeno segue, a volte, una breve descrizione riguardante l'uso tradizionale  della scesa (qui riportata in corsivo) e altre indicazioni utili a individuarla (qui tra parentesi quadra).

Zona di San Feliciano verso San Savino 
  1. Fosso e strada del Morone, macerina, [punto di riferimento la casa del signor Annibale Dolciami]
  2. Abbeveratoio Monte Oliveto, [in direzione del camping “Porto Cervo” di Alceo Coni]
  3. Fosso e strada della Capanna, [in direzione della casa dei signori Memmo e Domenico Zoppitelli]
  4. Fosso e strada del Sorbo, abbeveratoio e macerina, [punto di riferimento la casa dei fratelli Sestilio e Lorenzo Momi]
Zona di San Savino
  1. Porto di San Savino, abbeveratoio e macerina, [punto di riferimento la casa dei fratelli Pietro e Antonio Zoppitelli]
  2. Fosso del Sasso grosso, [vicino alla casa di Silvio Locchi]
  3. Fosso e strada della Carpina, abbeveratoio e macerina, [è a circa 100 metri verso Monte Buono dalla casa di Silvio Locchi]
  4. Strada delle Macchiaie o Gabina, [circa 50 metri prima del seccatoio Lombardo]
  5. Fosso e strada del Lombardo, abbeveratoio, [si trova di fronte al seccatoio del Lombardo]
  6. Strada di Ripa, abbeveratoio, [vicino al canale dell'Enel]



Zona di Sant'Arcangelo
  1. Scesa della Casella, abbeveratoio, [zona Ripa, di fronte al ristorante Faliero Baldoni]
  2. Scesa dell'Ancaelle, abbeveratoio, [punto di riferimento di fronte alla casa e chiesa di Santa Maria dell'Ancaelle]
  3. Scenditoio - Scesa pubblica per la Gabella, [località Frusta, si trova in direzione del vivaio delle piante]
  4. Sasso Serpaio, abbeveratoio, tirata del gorro e macerina, [vecchio pontile di Sant'Arcangelo]
  5. Fosso Calcinaio, tirata del gorro, [punto di riferimento, pontile nuovo]
  6. Fosso Olmo lungo, tirata del gorro, [si trova oltre la piscina e il camping]
  7. Viale della Palazzetta, abbeveratoio, [attuale strada di accesso al condominio la Palazzetta]
  8. Fosso Nuovo o Arginone, abbeveratoio e tirata del gorro, [punto di riferimento la cosiddetta zona dell'Arginone ]
  9. Fosso Pochini, scesa e tirata del gorro, [punto di riferimento il camping Polvese]



Panicale dalla zona Poggio di Braccio verso Casalini e Panicarola
  1. Scesa Poggio di Braccio, abbeveratoio, [punto di riferimento Poggio di Braccio, proprio sulla curva in direzione del pioppo]
  2. Il Viale, abbeveratoio, [punto di riferimento circa 100 metri oltre il Poggio di Braccio, è la scesa dei pescatori Alberto Rossi e Fernando Bocchetta]
  3. Fosso e strada Giardino, abbeveratoio, macerina, gorro, [punto di riferimento i due pini prima della colonnetta, scesa dei pescatori Giovanni Cittadini e Alfeo Gosti]
  4. Tiratino del Ceppo, (fosso Rogio), [si trova tra le scese del pescatore Giovanni Cittadini e la Colonna o Colonnetta di Montalera]
  5. Strada della Colonna o Colonnetta, abbeveratoio, macerina, gorro, [punto di riferimento in direzione dell'incrocio della strada per Casalini e Montalera]
  6. Via Cacina, abbeveratoio, macerina e tirata del gorro, [punto di riferimento 50 metri circa prima dell'incrocio con la strada Romea che porta a Castiglione del Lago]



Castiglione del Lago
  1. Via delle Parti, abbeveratoio, macerina e tirata del gorro, [punto di riferimento attuale la cooperativa dei pescatori "Stella del lago" di Panicarola, confine tra il comune di Panicale e Castiglione del Lago]
  2. Via del Lino, abbeveratoio, macerina e tirata del gorro, [punto di riferimento 100 metri prima dell'Anguillaia]
  3. Anguillaia
  4. Scesa pubblica della via Prata, [si trova a circa 100 metri in avanti dopo la Lucciola]
  5. Via Frasca, abbeveratoio, macerina e tirata del gorro, [si trova in località Carraia, scesa del pescatore Ivo Sepiacci]
  6. Violetta del Peraio, abbeveratoio e tirata del gorro, [si trova in località Carraia, scesa del pescatore Delfo Pelosi]
  7. Via Cappanne, macerina e tirata del gorro, [località Macchia Tonda, oltre la Carraia e prima di arrivare ai Funghi del Trasimeno]
  8. Via Bagnaia, [località Macchia Tonda, come sopra]
  9. Abbeveratoio, [punto di riferimento, appena passata la casa del signor Giuseppe Vinerba]
  10. Fosso e strada del Vione, [punto di riferimento località Lacaioli, appena passato lo stabilimento dei Funghi del Trasimeno]
  11. Fosso della Pescia, [vedi località Pescia]
  12. Fosso e strada del Buzzone, [punto di riferimento tra i due recinti del signor Reattelli]
  13. Fosso del Cimitero, [in direzione del cimitero di Castiglione del Lago]
  14. Fosso e strada della Gora, [tra il mattatoio comunale di castiglione del Lago e il recinto dei fagiani]
  15. Via della Macerina, abbeveratoio e macerina, [nei pressi della cooperativa dei pescatori di Castiglione del Lago]
  16. Via o viottolo del Pescatore, [in direzione della spiaggia Lido Comunale]
  17. Pontile di Castiglione del Lago
  18. Strada dell'Olivo torto, [tra la darsena di Piastrelli e la darsena Sgrelli]
  19. Via del Nocio, [tra la darsena di Remo Materazzi e la darsena di Rossoni]
  20. Via del Pozzo, tirata del gorro, [punto di riferimento il vecchio acquedotto di Castiglione del Lago]



Dal confine dell'aeroporto militare di Castiglione del Lago verso Borghetto
  1. Via della Piana, strada pubblica, [sulla curva appena terminato l'aeroporto di Castiglione del Lago]
  2. Via Mezzetti, [punto di riferimento in direzione dell'abitazione e della trattoria di Maria Mezzetti]
  3. Via Trasimeno, [punto di riferimento il casello ferroviario “Il Trasimeno”]
  4. Scesa delle Sette strade
  5. Sesta pedata Baldoni, [in direzione del laghetto artificiale di Ugo Migliacci]
  6. Via delle Macerine, solo macerina, [in direzione del nuovo campeggio la Badiaccia, prima di Borghetto]
  7. Abbeveratorio, [100 metri più avanti del campeggio la Badiaccia]



Tuoro
  1. Strada della Venella, abbeveratoio, [si trova 50 metri circa, prima di arrivare al pontile di Borghetto]
  2. Pontile di Borghetto
  3. Via della Torre, abbeveratorio, [punto di riferimento la Torre di Borghetto, a sinistra della torre stessa guardando il lago]
  4. Via della Macerina, abbeveratoio, [punto di riferimento l'abitazione del signor Gino Capecchi]
  5. Fosso e strada Giuannelli, [circa 200 metri prima di arrivare alla strada del Pero, sottopassaggio superstrada e casello ferroviario]
  6. Strada del Pero, tirata del gorro, [in direzione del sottopassaggio della superstrada e del casello ferroviario, scesa del pescatore Settimio Banella]
  7. Strada Ponte Grande, tirata del gorro, [100 metri circa prima di arrivare all'abitazione del colonnello Posta]



Dall'abitazione del colonnello Posta verso Tuoro fino a Passignano
  1. Via della Pieve, [punto di riferimento, passato il colonnello Posta ed in direzione del residence La Dogana]
  2. Via Riscovello, [località Riscovello]
  3. Strada della Pioppeta, [in corrispondenza della Gabina, prima del campeggio Punta Navaccia]
  4. Via di Tuoro, [in direzione del campeggio Punta Navaccia]
  5. Pontile Punta Navaccia, abbeveratorio e tirata del gorro, [vedi pontile]
  6. Strada della casa del Piano, [appena passata la stazione ferroviaria di Tuoro e in direzione dell'abitazione del pescatore Mario Cecchini]
  7. Fosso e strada del Rio, abbeveratoio e macerina, [località Punta del Rio]
  8. Strada di Santa Lucia, abbeveratoio, [in direzione dell'incrocio della strada che va al paese di Vernazzano e della casa dei signori Cecconata]
  9. Strada di Valle Romana, [in direzione dell'abitazione del signor Bruno Alunno]
  10. Via Bondì, abbeveratoio, [punto di riferimento l'abitazione del signor Luchini]
  11. Fosso e strada San Martino, abbeveratoio, [punto di riferimento il confine tra Tuoro e Passignano, abitazione del signor Giuliano Giudizio]



Passignano
  1. Strada di San Martino, [in direzione della casa colonica del signor Nazzareno Terradura]
  2. Fosso e strada dello Scaporno, [di fronte allo stradone Pischieli]
  3. Strada della Punta, [appena passata l'abitazione del signor Pignatta]
  4. Via dell'oliveto, abbeveratoio e macerina, [in direzione della chiesa dell'Oliveto, scesa del pescatore Duilio Pierella]
  5. Scesa della vigna, abbeveratoio e macerina, [prima di arrivare al muro di cinta della Sai, scesa del pescatore Pietro Sciurpi]
  6. Scesa ..., [si trova appena passata la Sai, non se ne conosce il nome]
  7. Pontile di Passignano sul Trasimeno
  8. Scesa delle Masse, abbeveratoio e macerina, [in corrispondenza della darsena delle vele e del ponte ferroviario]
  9. Scesa della macerina, [si trova in corrispondenza del passaggio a livello prima di San Donato, scesa dei pescatori Giuseppe Sebastiani e Adelio Mariotti]



Dal confine del camping Europa fino a Torricella e Monte del Lago
  1. Strada dell'Arginone, [si trova proprio di fianco al camping Europa]
  2. Strada della Reglia, [si trova di fronte al Casello ferroviario in corrispondenza dell'ingresso al camping Europa]
  3. Strada del Ponte Tocci, [in corrispondenza dell'incrocio della strada per Castel Rigone]
  4. Strada del Luccio, [di fronte al casello ferroviario prima della bottega di San Vito]
  5. Strada delle Pietre, [davanti alla bottega di San Vito]
  6. Strada Carbone, [di fronte al castello Borgia]
  7. Stradoncino, [casello ferroviario prima del ristorante il Gabbiano]



Magione
  1. Strada del Ciambello, [si trova vicino alla casa del signor Pietrella]
  2. Strada Comunale, abbeveratoio, [si trova prima di arrivare all'abitazione del signor Palmari]
  3. Strada Comunale, [si trova appena passata l'abitazione del signor Palmari]
  4. Pontile di Torricella, [vedi pontile]
  5. Scesa Antonio Caloni
  6. Abbeveratoio, [300 metri oltre la spiaggia Caloni in direzione del Pino grosso]
  7. Strada e fosso dell'Argine delle donne, [si trova di fronte al "seccatoio" 100 metri circa prima della curva del Macchione]
  8. Scesa pubblica la Macerina, [si trova proprio di fronte alla curva del Macchione]
  9. Strada del Portino, [in corrispondenza del ponticello sulla strada, circa 100 metri oltre la curva del Macchione]



Da Monte del Lago e verso San Feliciano
  1. Strada e fosso della Castagneta, [si trova prima della spiaggia comunale gestita da Fazi in corrispondenza della villetta lungo il lago del Dottor Saullini]
  2. Abbeveratoio del Malanchino, [si trova oltre la spiaggia di Santino]
  3. Pontile di Monte del Lago
  4. Abbeveratoio, [di fronte alla gabina elettrica, oltre il pontile di Monte del Lago]
  5. Strada San Pietro, [Vicino al depuratore di Monte del Lago]
  6. Strada del Roncone, [di fronte alla strada che conduce al podere Orazi]
  7. Strada di Zocco, [punto di riferimento in direzione del castello di Zocco]
  8. Strada della Madonnuccia, abbeveratoio e macerina, [punto di riferimento la Madonna della Neve]
  9. Stradone della Rocca, [punto di riferimento lo stradone della Rocca di Monte del Lago]
  10. Abbeveratoio il Poderone, [davanti alla casa di Dario Lillini]
  11. Porto Cesaroni, attuale cabina e darsena dei pescatori, [punto di riferimento la casa del signor Natale Carloncelli]

Quando i sandali solcavano le acque delle paludi pontine

0
0
Gaspard de Prony

"Le barche utilizzate nelle paludi pontine sono chiamate sandali: ce ne sono di diverse dimensioni. Le divideremo in due classi, quelle più comunemente usate.



Le barche più grandi, quelli della classe prima, sono chiamate sandaloni, hanno una lunghezza di m. 13,10 e una larghezza di m. 3,18. Hanno una portata, discendendo la corrente, di 11.000 kg, si immergono per cm. 78, hanno quindi il bordo superiore 22 cm. sopra l'acqua, risalendo la corrente il loro carico è di 6.500 kg.

Le barche della seconda classe, che sono più piccole, sono chiamate semplicemente sandali sono lunghe m. 7,36 e larghe m. 1,34: la portata discendendo la corrente è di 2.200 kg, si immergono per 48 cm. in acqua, e quindi hanno il bordo superiore 10 cm. sopra il livello dell'acqua, risalendo la corrente la portata è di 1.300 kg.

L'alaggio di solito è fatto da uomini."

    - Il brano qui sopra è tratto da Description Hydrographique et Historique des Marais Pontins par M. De Prony (Gaspard Clair François Marie Riche, baron de Prony), Paris, 1818, de l'lmprimerie Royale, p. 270. 

    - Nelle foto sopra a sinistra sandaloni usati per il trasporto della legna; nella foto sopra a destra sandali spingono i bufali per lo "spurgo" dei canali. Entrambe le foto furono pubblicate da "Le vie d'Italia" del Touring club italiano negli anni '20 del secolo scorso.
     

    - Sotto a sinistra Horace Vernet, Hunting in the Pontine Marshes, 1833, olio su tela, cm. 100  x  137, National gallery of art, Washington. Sotto a destra il particolare del sandalo usato per la caccia in palude.



    Ferdinand Gregorovius

    "Salimmo allora su un sandalo, una specie di barca assai antica, di cui ho trovato menzione in vecchi documenti riguardanti le paludi pontine.

    Nel 1223 fu concesso il diritto all'abbazia di Grottaferrata di tenere duos sandalos ad piscandum in Lacu Folianensi.

    Il sandalo è il battello della palude, quadrato e piatto; le dimensioni variano secondo il bisogno. È barca di carico e di tragitto insieme. Il suo nome ed il suo uso si son mantenuti dai tempi più antichi, e son dovuti certamente alla sua forma. In sandalo andavano i viaggiatori romani quando dal Forum Appii solevano fare una gita sul canale Decemnovius. I vivai si trovano in vicinanza delle sponde e formano una serie di camere circondate da un reticolato."
      - Il brano è tratto da Wanderjahre in Italien, Das Kap der Circe (1873), di Ferdinand Gregorovius, [Pellegrinaggi in Italia] 1856 - 1877.


          - Sopra l'incisione Marais-Pontins, vue prise dela route de Terracine, "Le monde illustré. Journal hebdomadaire", 12° année, n. 567. 22 février 1868, p. 125.
            Sandali e sandaloni venivano manovrati dal sandalaro che, in piedi a poppa o a prua, spingeva l’imbarcazione puntando una pertica sul fondale.

            Se l’argine del canale lo permetteva, le imbarcazioni di grandi dimensioni potevano essere trainate da animali come buoi o cavalli.


              - Sopra a sinistra un sandalone trainato da un cavallo nel quadro di Dante Ricci, Sul canale Mortaccino, 1927. Sopra a destra due sandali pontini nell'opera di Giuseppe Raggio, Lo spurgo dei canali a Terracina, che fu esposto nel 1889 alla Mostra degli Amatori e Cultori.


                  - Sopra due sandali nel quadro di Giulio Aristide Sartorio, Lo spurgo dei canali, 1913. Sotto un sandalone in una celebre opera sempre di Sartorio, Malaria, dipinta intorno al 1905, olio su tela, cm. 60 x 131, Galleria nazionale d’arte moderna, Roma.


                      - Sotto un sandalo spinto da un "bufalaro" nell'opera di Giuseppe Raggio, Maccarese, 1902, olio su tela, cm 75 × 125.

                        Il barchino di Fucecchio e le barche tradizionali dell’Arno

                        0
                        0
                        di Marco Bonino

                        Quando mi sono recato sul Padule di Fucecchio per esaminare i barchìni stavo preparando una relazione che nel giro di un mese avrei presentato al Convegno dell’Atlante Linguistico dei Laghi Italiani a Cerreto Guidi. I tempi erano piuttosto stretti e la cosa mi dava un po’ di disagio: avrei trovato materiale sufficiente? vi sarebbero stati ancora esemplari da esaminare? Ma poi pensavo che in fondo le ricerche in Toscana mi avevano sempre dato soddisfazione: nel 1976 con i navicelli, nel 1982 e poi nel 1985 con la navi arcaiche ed etrusche; ho visto scomparire con preoccupante rapidità la nave di Rovezzano o quel navicello che fino al 1980 vidi vicino al Ponte Vecchio a Firenze e questo non era una buona premessa, ma forse anche questa volta quell’ambiente straordinario mi avrebbe potuto fornire motivi di ricerca interessanti. E così fu, grazie all’aiuto prestatomi dai colleghi dell’Atlante Linguistico ed alla disponibilità delle persone intervistate ad Anchione e ad Empoli 1.



                        - Figura a. Distribuzione dei barchìni nelle tradizioni toscane. 1) alto e medio Arno; 2) dalla veduta della Catena di Firenze 1470; 3) barchìno della zona di Empoli; 4) tipo tra Pontedera e Pisa.

                        Nelle zone lacustri interne e costiere della Toscana che gravitano attorno ai bacini dell’Arno e del Serchio si è sviluppato un tipo semplice d’imbarcazione tradizionale: il barchino, che, pur con alcune varianti locali, mostra concetti di forma e di metodo di costruzione simili. Così lo troviamo sui paduli di Fucecchio e di Bientina, sui Lago di Massaciuccoli, tra gli stagni e canali tra la foce del Serchio e Livorno e su lunghi tratti dei fiumi principali. Nelle zone maremmane il barchìnoè un po’ diverso e si fonde in alcuni casi con la bufala della Maremma meridionale e laziale, mentre ad Orbetello troviamo un altro barchìno con forme più adattate a quell’ambiente lagunare. Questa molteplicità è dipesa dalla natura degli specchi e dei corsi d’acqua su cui questa barca era usata ed anche dalle attività a cui era adibita: caccia, pesca, raccolta di materiali palustri, piccoli trasporti di persone e di cose, come si sono sviluppate ed evolute nel corso dei secoli, in un ambiente che si è conservato abbastanza integro fino alla metà del XVIII secolo. In quell’epoca fu iniziato il prosciugamento definitivo del Padule di Fucecchio, che terminò tra la fine del secolo scorso e l’inizio dei nostro, quando scomparvero anche il Lago di Bientina e gli Stagni di Livorno; solo nel Lago di Massaciuccoli rimase il ricordo della situazione idrologica dei secoli precedenti.

                        Accanto all’attività locale espletata con i barchìni, vi era quella legata ai trasporti che si svolgevano lungo i canali navigabili ed i fiumi. I nostri laghi e paduli erano attraversati e lambiti da canali navigabili che conducevano ai collettori ed agli emissari che sfociavano in Arno o nel mare. Per il Padule di Fucecchio, oltre ad un Fosso dei navicelli ricordato in una carta del 1768 e poi dimenticato, vi sono i Canali del Terzo, Maestro e del Capannone, che nel secolo scorso erano classificati di seconda categoria e che sfociano nell’Usciana, classificato di prima categoria. Lungo questi canali vi erano i porti (dei Morelli, di Burello, di Cavallaia lungo il Canale Maestro e delle Morette lungo l’Usciana), di cui è utile riportare una descrizione del 1889 pubblicata dalla Commissione del Consorzio degli Emissari del Padule di Fucecchio:
                        I così detti porti non erano che fossi destinati o alla riunione dei pescatori o a dar modo ai navicelli ed alle barche di sbarcare le merci e le persone nei punti dove le strade erano scoperte dalle acque, le quali crescevano e calavano secondo le piogge. Tali fossi o porti furono consegnati alle rispettive comunità, ma di poi ne furono soppressi parecchi: Nella comunità di Fucecchio esistono sempre quelli di Burello e di Cavallaia, dove sono le barche traiettizie postevi da privati. 2
                        Situazioni analoghe esistevano a Bientina, Massaciuccoli e sugli stagni tra Pisa e Livorno, con traffici maggiori o minori a seconda delle località. Usciti dagli emissari (Usciana, Serezza, Burlamacca e fossi attorno al Canale dei Navicelli di Livorno) iniziava la navigazione fluviale, o ci si immetteva direttamente nei porti di Viareggio o di Livorno. Queste diverse esigenze di navigazione hanno portato ad una specializzazione delle imbarcazioni, che in tempi recenti, almeno da due secoli in qua, possono essere classificate nel modo seguente 3.

                        Barchino, barchina
                        Piccola barca a fondo piatto, poppa a specchio e fiancate basse e dritte, capace di portare 2 o 3 persone od un carico non superiore ai 2 quintali e mezzo; era mossa con una stanga di spinta o da due remi (Fig. a, c, f, g, h, i, l).

                        Nave
                        Barca a fondo piatto e molto larga, con estremità rilevate e tronche, adattata alle funzioni di traghetto (Fig. b); era presente nei tratti dei fiumi da traghettare; molti di quei luoghi sono ricordati oggi dalla toponomastica con il nome di Nave (Nave a Brozzi, Nave a Rovezzano); lo stesso tipo di imbarcazione nella Toscana meridionale ed in Umbria era chiamata barca e barcaccia, mentre in Lazio ed in Campania si chiamava scafa. La Barca di Lucca era invece un traghetto fatto con un barchétto.


                        - Figura b. Nave da traghetto e particolare delle strutture.

                        Navicello
                        Era la barca da trasporto media e grande, con poche varianti per le diverse attività (vi era il navicello da renaioli, quello da legna, ecc.) o le vie d’acqua percorse. Aveva fondo piatto, fiancate tonde, estremità piuttosto alte, un gran timone, albero con vela tarchia e polaccone, due remi ed una stanga per spingerlo. Il navicello ebbe in età recenti forme piuttosto uniformi lungo il corso navigabile dell’Arno, cioè a valle di Arezzo, e le vie d’acqua tra la Versilia e Livorno (Fig. m). Il centro di costruzione fu Limite sull’Arno, da cui si muovevano anche calafati itineranti per le manutenzioni 4.


                        - Figura m. Navicello tradizionale dell'Arno.

                        Barchétto
                        Era un piccolo navicèllo, lungo dai 7 ai 10 m al massimo, con la prua più sottile, due remi, un timone, un alberetto per la vela tarchia o per l’alaggio ed una stanga per la spinta (Fig. d).

                        In passato si sono usate zattere, oltre ai foderi che servivano per fluitare il legname (Fig. e), per esempio dal Casentino, o dai boschi soprastanti il Valdarno medio-inferiore, e che veniva recuperato nelle pescaie fiorentine o lungo l’ansa di Limite 5, ma sono state dimenticate dalla tradizione.


                        - Figura e. Zattere e fodero di legname (*).

                        In tempi più remoti sono stati impiegati anche altri tipi di imbarcazioni. I burchi sono ricordati da Dante (Inf. XVII, 21-22), ne abbiamo rare raffigurazioni dei Trecento (Nardo di Cione in S. Maria Novella) e del Quattrocento 6 ed il ricordo nel nome della località Burchio poco a valle di Incisa. Mulini galleggianti erano usati sull’Arno a Firenze prima dell’alluvione del 1348 7; poi, tra il Settecento e l’Ottocento, troviamo un becolino anch’esso scomparso a causa delle mutate condizioni della economia delle acque.

                        Dunque l’imbarcazione tipica del Padule di Fucecchio è il barchino8. Di questo si riconoscono due varianti: il tipo ora più diffuso di forma molto lanceolata, lo specchio di poppa molto inclinato (Fig. f) e quello più arcaico con lo specchio rettangolare più largo, il dritto di prua meno inclinato, forme più tendenti al rettangolare e tavole del fondo racchiuse da quelle delle fiancate (Fig. g). Anche sul Lago di Massaciuccoli si trovano queste due varietà (Fig. c e l), con un certo travaso di forme tra di loro.


                        - Figura f. Barchino tradizionale del Padule di Fucecchio, tipo più recente.

                        Il barchìno viene costruito nel modo seguente: si predispone una tavola longitudinale della stessa lunghezza della barca e con la curvatura voluta del fondo, su di essa vengono inchiodati trasversalmente i matèi in modo da tenerli verso l’alto (cioè a barca capovolta), se ne regola la lunghezza e li si completano con la loro parte verticale. Poi vengono inchiodate le sponde, insieme alla punta interna (dritto di prua) ed alla culàtta (specchio di poppa); fatto questo si riveste il fondo, lasciandolo sporgere di poco meno di un centimetro da sotto le sponde e la culatta. Il fondo è fatto normalmente da due tavole non sempre regolari ed in questa fase vengono tolti i chiodi che originariamente fissavano i matèi alla tavola longitudinale interna, che ora viene staccata. Fatto questo, si inchioda la punta esterna, su cui si appoggiano le fiancate ed il fondo; poi si rovescia il barchìno e si inchioda la pontigiàna (mezzo ponte di prua), il culaccìno (sedile di poppa), il barganèllo per sostenere la panca mobile e poi il sostegno per il fucile. A questo punto il barchìnoè finito e manca solo la calafatatura con stoppa e pece, o soltanto una mano di pece dentro e fuori.


                        - Figura g. Barchino tradizionale del Padule di Fucecchio, tipo più arcaico.

                        Le tavole delle sponde e del fondo sono di pino e vengono piegate aiutandosi con il fuoco di fascine, i matèi possono essere di pino, ma è preferibile il gelso, che è più robusto. La pontigianaè fatta spesso con tavole trasversali inchiodate sulla sponda, con un listello rilevato; in altri casi queste tavole sono longitudinali ed inchiodate all’interno della parte superiore delle sponde. Ora si usano chiodi zincati di produzione industriale, ma fino a pochi anni dopo l’ultima guerra venivano usati chiodi forgiati a sezione quadrata prodotti a mano nelle botteghe di Empoli.

                        Il costruttore realizzava il barchìno avendo in mente i criteri seguenti per definirne le caratteristiche: lunghezza e larghezza del fondo, numero di matèi, l’alzata delle estremità, la curvatura longitudinale dei fondo, la svasatura delle fiancate e l’inclinazione della punta e della culàtta. Egli definisce la grandezza del barchìno con le espressioni: barchìno da sei matèi o barchìna da otto; il sistema metrico decimale entrò nell’uso solo dopo la prima guerra mondiale, ma ancora qualche decennio fa si parlava di braccia (0,58 m), palmi e dita.

                        Il risultato di questa costruzione è una barca leggerissima e ben manovrabile con il forcìno.

                        Se ne costruisce anche una versione di dimensioni leggermente maggiori che si chiama barchìna (Fig. b, scheda 2); è interessante notare come anche sul Padule di Fucecchio e nell’area tradizionale circostante il corrispondente femminile indichi una barca di dimensioni maggiori, più adatta al carico. Anche in altre tradizioni si trovano coppie di nomi maschili e femminili e la scelta dei genere è piuttosto caratteristica, un po’ maschilista, come ad esempio lungo il medio corso del Po:
                        • batlèn - batlèna
                        • magàn - magàna
                        • burcèl - burcèla.
                        Ma esempi simili si possono trovare anche nella tradizione veneta.

                        Anche in questi casi il maschile si riferisce ad un’imbarcazione piccola, spesso da passeggeri, mentre il femminile definisce una barca grande, da carico e non aggraziata.

                        Tornando al nostro Padule di Fucecchio, a S. Maria a Monte si costruisce ancora il barchìno più arcaico, con un modo diverso di montare il fondo: lo si esegue prima dell’applicazione delle fiancate, cosicché alla fine viene racchiuso da queste e non sporge da sotto, come avveniva invece nel primo caso. Questo particolare è confrontabile direttamente con le costruzioni derivate dalle zattere, come la maggior parte delle barche a fondo piatto usate nell’Italia centrale 8. Fotografie dei primo Novecento mostrano sul Lago di Sibolla ed a Ponte a Cappiano barchìni con la culàtta più larga, i fianchi poco svasati e la punta meno inclinata 9: si tratta appunto della forma vista a S. Maria in Monte.


                        - Figura l. Barchino del lago di Massaciuccoli, tipo più arcaico.

                        Anche sul Lago di Massaciuccoli era presente il barchìno di forma più arcaica 10, come mostrato dalle Fig. c, l; oltre alla propulsione con il forcìno, con la stanga ed i remi, a Massaciuccoli si è usato un albero corto con una vela tarchia, di evidente derivazione marittima o dai tipi più evoluti dell’Arno. L’esemplare della Fig. c mostra altri apporti dalla navigazione dell’Arno e, alla lontana, di derivazione marittima: il barganèllo completo, la coperta a prua, con il trastùccio ed il pagliolato (ponticèllo). La posizione delle tavole del fondo e delle fiancate aveva lo stesso rapporto che abbiamo notato sul Padule di Fucecchio: esterna per il tipo più evoluto ed interna per quello più arcaico (Fig. c). In quest’ultimo si trovano altri ricordi delle zattere originarie: i matìli sono raccolti, in alcuni esemplari, nella parte centrale dello scafo, quella che in origine era costruita come una zattera, attorno a cui si costruiva l’intera barca.


                        - Figura c. Barchìno del Lago di Massaciuccoli, tipo più evoluto.

                        Un tipo intermedio, dal punto di vista strutturale, ma più sviluppato in lunghezza, a causa dell’ambiente fluviale, si trova a Pontedera 11, mentre sul medio ed alto corso dell’Arno si trovano forme analoghe a quella più arcaica di Fucecchio, con le sponde leggermente più alte (Fig. a). Fin qui i confronti con i barchìni toscani appartenenti alla stessa famiglia, ma per apprezzarne meglio la natura è necessario estendere l’orizzonte alla laguna di Orbetello ed agli stagni costieri maremmani, ove le forme sono un po’ diverse. Ad Orbetello 12 si usa un barchìno più pesante del nostro di Fucecchio: ha forme tendenti al quadrangolare, è attrezzato con un buttafuori per manovrare i lunghi remi (trigantìno) ed ha una vela latina un po’ semplificata (Fig. h). Sugli stagni costieri (dal Tombolo dell’Arno, a quello dell’Ombrone, fino al Burano) vi è una forma simile e spesso ancor più tendente al rettangolare, con le sponde più alte e manovrata con la stanga ed il forcìno; la loro struttura è semplificata al massimo.


                        - Figura h. Barchino di Orbetello.

                        Tornando al nostro barchìno di Fucecchio, alla luce dei confronti visti prima, la sua forma più recente ne fa certo il più perfezionato della famiglia dei barchìni toscani, ma non mancano ricordi circostanziati dei caratteri arcaici originari: ad esempio il primo matéro di poppa è sensibilmente spostato verso il centro e questa discontinuità ricorda la lontana origine dalle zattere: in quel punto non occorreva mettere una struttura trasversale, data la presenza dello spigolo; l’eccessiva distanza del primo matéroè solo in parte compensata dalla presenza del culaccìno inferiore.

                        In questa sua forma così raffinata, la sua leggerezza e manovrabilità sono tali da reggere il confronto con imbarcazioni appartenenti a civiltà delle acque ben più articolate, come ad esempio i battèlli delle Valli di Comacchio. Analogamente a questi, che peraltro appartengono a tradizioni costruttive molto diverse 13, per mantenere le commessure in pressione vengono immersi completamente sott’acqua, finché la stagione non è ancora calda; quando l’acqua del padule è relativamente calda, il barchìno viene tirato in secco per evitare che l’eccessiva umidità, ad alta temperatura, ne faciliti il decadimento.

                        Ogni uno o due anni è necessario comunque calafatare le commessure e rifare il rivestimento di pece; data la leggerezza del materiale, spesso è necessario sostituire parte del fasciame ed anche dei matèi.


                        - Barchini del Padule di Fucecchio del tipo piu recente. Foto sx di Marco B e dx di Marco B via Panoramio.

                        Il barchìno, come risulta anche da molti documenti scritti sia di Fucecchio che di Bientina 14, è ed era utilizzato per la caccia, la pesca, il trasporto delle persone e la raccolta dei materiali palustri e per queste attività ha attrezzature apposite, come lo scomparto di poppa per tenere i pesci in acqua od il gancio a prua per il fucile. Quando dovevano stare a bordo più di due persone, si appoggiava una tavola trasversalmente al bordo a mo’ di panca. Una catena sotto la pontigiàna serve per ormeggiare il barchìno ad un palo ed assicurare anche il forcìno chiudendolo con un lucchetto.

                        Il substrato arcaico ricordato per la famiglia dei barchìni tra l’Arno e Massaciuccoli ha influenzato anche alcune caratteristiche delle barche dell’Arno: un barchétto costruito a Limite circa 80 anni fa ha i matìli e la culàtta tipici del barchìno, ma le dimensioni e le caratteristiche generali di quest’imbarcazione sono della famiglia dei navicèlli. Vi è stato quindi un travaso di tecniche tra i due filoni costruttivi, che tuttavia appaiono abbastanza separati, come verrà confermato dall’indagine linguistica. Le navi da traghetto invece mantenevano un carattere arcaico ancor maggiore di quello dei barchìni, perché la struttura interna orizzontale era solo giustapposta a quella verticale, senza un vero coordinamento, come se le due parti fossero indipendenti l’una dall’altra, e concettualmente lo erano (Fig. b).

                        Un breve cenno storico sull’evoluzione delle barche dell’Arno consentirà di ricercare le origini della nostra imbarcazione e di introdurre l’analisi linguistica dei termini tipici del barchìno di Fucecchio, in confronto con le barche tradizionali dell’Arno.

                        Barche a fondo piatto sono note sul litorale tirrenico fin dall’età villanoviana ed appaiono già molto progredite tecnicamente 15, avevano forma lanceolata ed estremità simmetriche, spesso con sporgenze simili a quelle delle speronare, per poterle sollevare. La loro origine è da collocarsi tra il fiume e le lagune costiere, luoghi privilegiati d’approdo in età etrusca 16. Dell’età romana abbiamo una figura schematica su di un marmo al Museo Archeologico di Arezzo e la scultura del Battistero di Firenze che mostra una grossa nave marittima, ma i confronti con il Tevere possono fare ipotizzare l’uso di barche a fondo tondo come i lenunculi 17. Dal Medioevo abbiamo una maggiore documentazione: le monòssili di Bientina, una delle quali è al Museo Archeologico di Firenze 18, mostrano una forma comune alle tradizioni dell’Italia centrale interna: fondo piatto, fiancate rettilinee ed estremità rilevate come quelle delle navi. Esse indicano anche un rapporto di reciproca influenza tecnica con le barche semplici a fondo piatto derivate dalle zattere che venivano usate negli stessi ambienti 19, come le nostre navi; è questa l’epoca in cui per navicula si intendeva la barca da traghetto. Con Ambrogio Lorenzetti troviamo barche ad estremità simmetriche derivate dalle zattere, forse del lago di Chiusi, e poi barche marittime con la poppa a specchio, riprese anche dal Beato Angelico, ma occorrerà arrivare alla Veduta della Catena di Firenze (1470-1488) per avere la prima immagine circostanziata dei barchìno e della nave. Documenti di Fucecchio dei XIII secolo ricordano anche un noccolello usato per la pesca: potrebbe essere un antenato dei barchìno o la monòssile come quelle di Bientina 20; la sua etimologia dovrà essere definita, ma s’intuisce una comunanza con navicula, in varie versioni, il genere maschile conferma che si tratta di un’imbarcazione piccola per la pesca, la raccolta dei materiali palustri o per il piccolo trasporto di persone.



                        Di un secolo successive sono le prime immagini di barche a scafo tondo riconducibili a quelle tradizionali: sulla formella con il castello di Rondine del monumento funebre del vescovo Guido Tarlati nel Duomo di Arezzo (1330 Giovanni o Angiolo da Siena) è raffigurato con chiarezza un barchétto, con la poppa rialzata 21 e del 1357 è l’affresco di Nardo di Cione in S. Maria Novella a Firenze, con la rappresentazione di un grosso navicello o di un burchio.



                        Da allora i documenti sono abbastanza continui, fino ai dipinti dei Van Wittel (che mette però un’immaginaria galea sull’Arno), dei Bellotto o le stampe dello Zocchi 22 ed insieme a quelli scritti ci consentono di meglio comprendere questa storia navale. Apprendiamo che verso il XV secolo esisteva la figura professionale dei navicellaio-scafaiolo, cioè del barcaiolo che era in grado di riparare, e fors’anche di costruire, la sua imbarcazione 23. Ma anche l’architettura colta era interessata alla costruzione delle imbarcazioni, come ci mostra l’opera del Brunelleschi 24. I documenti scritti dal Cinquecento in poi ci confermano l’importanza delle vie d’acqua nell’economia toscana: intorno al 1550 compaiono anche i calafati autori delle imbarcazioni protagoniste dei grandi trasporti di grano, materiali ferrosi (dalla “Vena del Ferro”), materiali da costruzione, argilla per la ceramica, e passeggeri. E del 1603 l’apertura del Canale dei Navicelli da Pisa a Livorno e la tradizione costruttiva di Limite si configura come focale per tutto l’Arno, tanto che nel Settecento si parla dei suoi cinque cantieri come di arsenali... ove si costruiscono navicelli atti alla navigazione dell’Arno ed ancora per andarsi in mare25. Di questo periodo è una fusta dei Duchi di Lorena, che forse dà ragione della presenza di navi a remi sull’Arno nelle vedute del Van Wittel 26, ma è chiaro che l’imbarcazione più tipica per i trasporti fu, già allora, il navicèllo, e proprio perché così caratterizzante una civiltà materiale delle acque diversa da quella veneziana, fu ricordato dal Goldoni nella Locandiera: (1753 Atto I, scena X VIII).
                        ORTENSIA: Per oggi non possono arrivare a Firenze. Da Pisa a qui in navicello ci vogliono almeno tre giorni.
                        DEJANIRA: Guardate che bestialità! Venire in navicello!
                        ORTENSIA: Per mancanza di lugagni. E assai che siamo venute noi in calesse.
                        In questo succedersi di epoche e di evoluzioni economiche, rimase sempre la distinzione tra i trasporti piccoli, la caccia e la pesca, e quelli a distanze e portate maggiori. I primi erano svolti da imbarcazioni piccole a fondo piatto, appunto come i barchìni, che, anche se semplici od arcaici, svolgevano la loro funzione in modo economicamente accettabile. Essi acquisirono lo specchio a poppa in seguito ad un processo di semplificazione avvenuto forse prima del XV secolo 27. Per i secondi divennero esclusivi i barchétti ed i navicèlli, con momenti alterni, a causa del regime di navigazione dell’Arno e poi per gli apporti della cultura navale che potevano provenire, ad esempio, dall’arsenale pisano, oltre che dall’effetto di omologazione dei tipi esercitato dai cantieri di Limite, almeno a partire dal Settecento 28.

                        In questo quadro, se da una parte vi fu un’influenza delle imbarcazioni marittime su quelle interne, dall’altra ci fu un processo opposto, come l’impiego, nell’antichità, delle forme piatte villanoviane e, ben più recentemente, l’adattamento del navicello alla navigazione marittima 29, con innalzamento dello scafo, la trasformazione della vela tarchia in vela da navicèllo, avvenuto tra il XVII e l’inizio del XIX secolo. Lo straordinario sviluppo delle costruzioni navali di Viareggio nel secolo scorso è legato a questo travaso di esperienze.

                        Di queste vicende sono testimoni i termini usati dai costruttori e dagli utilizzatori delle nostre barche sui paduli e sul fiume (Fig. i, d).


                        - Figura i. Barchino del Padule di Fucecchio, termini dialettali.

                        Per il barchìno di Fucecchio si nota una certa genericità ed una comunanza con le tradizioni centrali interne; sono ben presenti i criteri di conformazione dello scafo, che ha la sua alzata, svasatura e rilevata, ma questi termini non sono riconducibili a misure esatte, a parte l’alzata, ma piuttosto all’angolo che le fiancate o lo specchio formano con l’orizzonte, seguono di più l’andamento dello sguardo, o il gesto di chi disegna nell’aria la forma o la segue con la mano, che non misure precise. Del resto ben raramente nei nostri dialetti si trovano riferimenti precisi a concetti astratti come lunghezza, larghezza, spessore, raggio di curvatura od altri; al massimo si diceva l’equivalente di: è lungo così, è largo, è alto, indicando con la mimica il particolare.

                        I matèi sono parte importante della struttura ed il loro no me si riferisce all’intera struttura trasversale formata da tre pezzi, come sul Lago di Massaciuccoli, in alcuni casi di Bolsena e ad Orbetello (matèi, matìvi) 30. Sui barchétti e sui navicèlli i matìli sono solo una parte della struttura trasversale: le traverse del fondo, mentre le parti verticali a forma tonda o variamente rastremata si chiamano palacàrme, che mi pare adombrare parascalmo (vicino, o facente le funzioni dello scalmo, ossia la parte più alta dell’ordinata) di probabile origine greca. Per il barchìno non abbiamo questa distinzione, per una genericità di termini dovuta anche al fatto che la costruzione di questa barca non era sempre appannaggio di costruttori professionali: il dritto di prua è punta, come a Bolsena ed a Vico, lo specchio di poppa è culàtta come in tutta la tradizione centrale interna, ma poi per il fondo, le sponde e l’identificazione delle forme i termini sono piuttosto generali; più caratteristica è la pontigiana, o ponticello.

                        Le barche dell’Arno, siano esse barchétti con le caratteristiche dei barchini o di quelle dei navicèlli, hanno un vocabolario più ampio (Fig. d). Vi sono influssi dalla navigazione marittima di antica data, come quelli derivati dal greco 31, introdotti probabilmente in età bizantina (paracarma, tràppice dal bizantino τραπεζα, base dell’albero). Tra questi, sul Lago di Massaciuccoli, nella fascia interna immediatamente a ridosso del mare e lungo la costa è presente il termine giàcchio con alcune varianti locali, che indica la barra del timone, che in greco era ed è οιαξ e che sul Tirreno meridionale è diventato iascio, o iasciu. Dalla navigazione marittima abbiamo anche l’antico trastuccio, la prua (e non prora, come avrebbero voluto i puristi) e poi fasciame, arbero, ròta (in altre tradizioni asta e italianizzato in dritto), forcàccio, timone, vela, skarmo. Termini fluviali più antichi mi paiono nave, navicèllo, parchetta (palchetto), palcuccio, fattorino (anziché giàcchio o simile). Più generiche o generalizzate sono le parole: alberatoia, corda, stanga, sponda; per il barganèllo si può ipotizzare un trasferimento dal vocabolo simile usato sul Tirreno per indicare il capodibanda o il trincarino 32.


                        - Figura d. Barchétto a vela di Limite sull'Arno.

                        La costruzione dei navicèlli appare molto evoluta, se la confrontiamo con il substrato arcaico della cultura materiale dei fiumi e laghi della Italia centrale, e la conformazione delle fiancate tonde suggerisce una parentela con costruzioni navali “colte”, la cui origine è ipotizzabile in ambienti marittimi, o fluviali che abbiano avuto una storia navale “evoluta” precedente. Un ricordo di questa storia può essere ipotizzato nella denominazione di quadrato di prua, quadrato di poppa data alla parte di scafo compresa tra il trastuccio e l’estremità; in questa vi è l’accenno della suddivisione dello scafo nelle tre parti principali tenute presenti dal costruttore: quella centrale e le estremità che si restringevano. Le sezioni trasversali che delimitavano queste parti si chiamavano, in varie tradizioni italiane delle acque interne, sesti e quarti33. Si notano quindi tracce di un modo di disegnare gli scafi, che doveva essere la base culturale dei costruttori di Limite, sulla quale essi appresero i metodi più moderni, basati sulle sezioni perpendicolari o sui modelli sezionati, da cui ricavare le forme definitive. Il compasso, la squadra, il cordino od i quartabuoni (che stabiliscono l’inclinazione del taglio delle paracarme) sono attrezzi abbastanza comuni, ma i criteri principali alla base della conformazione dei barchetti e dei navicèlli erano ancora le dime, o forme delle sezioni trasversali, che venivano conservate per utilizzarle nella costruzione di imbarcazioni dalle misure e prestazioni analoghe.

                        In questo modo ritengo sia inquadrabile il discorso sui barchìni di Fucecchio nell’ambito delle tradizioni costruttive navali toscane. La Toscana appartiene alla vasta area culturale centrale interna che accomuna le valli dell’Arno, del Tevere, del Garigliano e del Volturno, con i laghi contigui, per cui i confronti possono essere ancora ampliati e per il Tevere vi sono particolari motivi di comunanza con l’Arno, come si è potuto notare in qualche cenno, ma all’interno di questa tradizione i barchìni di Fucecchio e quelli immediatamente paragonabili costituiscono una famiglia ben individuata e circoscritta (Fig. f, g, c, l, a, i).

                        Scheda N. 1

                        Tipo di imbarcazioneBarchino
                        LocalitàAnchione (PT)
                        Lunghezzam. 3,95
                        Larghezzam. 0,915
                        Altezza a prua m. 0,38
                        Altezza a poppam. 0,38
                        Altezza al centrom. 0,29
                        Sporgenza della pruam. 0,49
                        Sporgenza della poppam. 0,42
                        Cavallino a pruacm. 7
                        Cavallino a poppacm. 6,5
                        Larghezza del fondo piattom. 0,61
                        Numero ordinate6
                        Distanza tra le ordinatecm. 40
                        Spessore delle ordinatecm. 3
                        Numero delle traverse6
                        Spessore del fasciamecm. 1,5
                        Manovreforcìno con stanga da m. 3,5 (fino a 4,5) a spinta
                        Legnamipino
                        ColoreNero di pece dentro e fuori
                        Portata2,5 quintali, o due persone
                        Impegnocaccia e pesca
                        Data di costruzione1960
                        ProprietarioLamberto Magrini
                        LocalitàPonticelli
                        Riferimentinumero dei matèi, sezione maestra, culàtta (cm. 35 x 47 x 24), inversione dell'ordine di montaggio delle parti di matèi (3 verso prua e 3 verso poppa)
                        DisegniN° 1, Fig. f
                        Data del rilevamento25 aprile 1993

                        Scheda N. 2

                        Tipo di imbarcazioneBarchina
                        LocalitàAnchione (PT)
                        Lunghezzam. 4,22
                        Larghezzam. 1
                        Altezza a prua m. 0,51
                        Altezza a poppam. 0,38
                        Altezza al centrom. 0,28
                        Sporgenza della pruam. 0,64
                        Sporgenza della poppam. 0,48
                        Cavallino a pruacm. 7
                        Cavallino a poppacm. 5
                        Larghezza del fondo piattom. 0,68
                        Numero ordinate8
                        Distanza tra le ordinatecm. 32
                        Spessore delle ordinatecm. 3
                        Numero delle traverse8
                        Spessore del fasciamecm. 1,5
                        ManovreForcìno con stanga da m. 4 a spinta
                        AncoraggioCatena sotto la pontigiana collegata al forcìno piantato sul fondo del canale
                        Legnamipino
                        ColoreNero di pece dentro e fuori
                        PesoCirca 45 kg
                        Portata3 quintali, e/o due persone
                        Impegnocaccia e pesca
                        Data di costruzione1970
                        CostruttoreBozzi di Massarella
                        ProprietarioVittorio del Rosso di Pieve a Nievole
                        LocalitàPonticelli
                        Riferimentinumero dei matèi, sezione maestra, culàtta (cm. 32 x 56 x 19,5), inversione dell'ordine di montaggio delle parti di matèi (4 verso prua e 4 verso poppa)
                        DisegniN° 1, Fig. g
                        Data del rilevamento25 aprile 1993
                        _______
                        Note:

                        1 Questo testo è la rielaborazione degli appunti, finora inediti, presentati al Convegno nazionale Cultura delle acqueinterne organizzato dall’Atlante Linguistico dei Laghi Italiani (Università di Perugia) a Cerreto Guidi dal 28 al 30 maggio 1993 ed alla Mostra Per correre migliori acque organizzata da A.R. Deli a Limite sull’Arno presso la Biblioteca Comunale dal 28 maggio al 10 giugno 1993. Ringrazio i collaboratori dell’ALLI Daniela Dani, Annarosa Deli e Fabrizio Franceschini per l’organizzazione di sopralluoghi ed i Sigg. Alvaro Cecchi ad Anchione e Giuseppe Bagnoli di Marcignana (Empoli) per le interviste del 25.4.1993. Il testo è stato pubblicato con il medesimo titolo nella rivista "Erba d'Arno", n. 66, 1996, pp. 28-47.

                        2 Consorzio degli emissari del Padule di Fucecchio, Il Padule di Fucecchio ed i suoi regolamenti speciali di pubblica salute, Firenze 1889, nota a p. 37; S. Feroni, Osservazioni intorno alla Palude di Fucecchio, Lucca 1721.

                        3 F. Franceschini, Il lago e il Padule: pesca e caccia nel Bientina dai Secc. XVI-XVIII all’epoca recente, in Lingua, storia e Vita dei laghi d’italia, Atti del i Convegno dell’ALLI, Lago Trasimeno, sett. 1982, Università degli Studi di Perugia, Ed Maggioli, 1984, pp. 451- 467; P. L. Cervellati, G. Maffei Cardellini, Il Parco di Migliarino, San Rossore, Massaciuccoli, in Progetto Toscana N. 5, Giunta Regionale Toscana, Ed. Marsilio, Venezia 1988; V. Di Baccio, Origine e sviluppo del Canale dei Navicelli, in “Rassegna dei Comune di Pisa” N. 7, 1968, pp. 26 segg.; M. Bonino, Barche tradizionali delle acque interne nell’Italia centrale: quadro di riferimento e risultati della ricerca, “Quaderni dell’Atlante Linguistico dei Laghi italiani”, N. 1, Nuova Guaraldi, Firenze 1982, con bibliografia.

                        4 M. Busoni, Ciclo del legno e maestri d’ascia, carpentieri e tradizione navale a Limite sull’Arno a cura del Comune di Capraia e Limite, Vinci 1985; R. Peruzzi, La terra e il fiume, arti e mestieri a Limite sull’Arno, a cura dei Comune di Capraia e Limite, Vinci 1987.

                        5 G. Ciampi, Firenze-Vallombrosa e ritorno, in “Capire l’Italia”, IV, campagna e industria, itinerari, T.C.I. Milano 1981, pp. 40-45; A. Gabrielli, F. Settesoldi, La storia della foresta casentinese nelle carte dell’Archivio dell’Opera del Duomo di Firenze dal secolo XIV al XIX, Roma 1977; R. Peruzzi, La terra e il fiume, cit., p. 18.

                        6 Dipinto conservato presso il Palazzo d’Accursio di Bologna, che mostra un burchio con timone laterale in un paesaggio toscano, Dittico dei Duchi di Urbino di Piero della Francesca agli Uffizi con il paesaggio dell’alta valle del Tevere attorno a Sansepolcro.

                        7 Tra le molte fonti: A. Malvolti, Le risorse del Padule di Fucecchio nel Basso Medioevo, in Il Padule di Fucecchio, la lunga storia di un ambiente naturale, a cura di A. Prosperi, Ed. di Storia e Letteratura, Roma 1995, pp. 45-46; nelle Cronache del Villani sono ricordate le gualchiere che peggiorarono la situazione dell’inondazione dell’Arno a Firenze nel novembre del 1348, da allora furono bandite tutte le costruzioni che potevano creare ostacoli sia alla navigazione che al deflusso delle acque.

                        8 M. Bonino, Tecniche e forme di costruzione delle imbarcazioni dei laghi italiani, in Lingua, storia e vita dei laghi d’Italia, cit., pp. 151-178, Fig. 9; M. Bonino, Barche tradizionali della acque interne, cit.

                        9 Foto Alinari in Toscana, “Le regioni d’Italia” N. 8, UTET, Torino 1964, p. 253.

                        10 P.L. Cervellati, G. Maffei Cardellini, Il parco, cit; oltre ad appunti sparsi, alcune inquadrature del film Puccini del 1953.

                        11 AA.VV, Toscana, II, in Tuttitalia, Sansoni, Firenze 1965, pp. 389, 404, 563, 601, 616.

                        12 A. Nesi, La pesca nella Laguna di Orbetello, “Monografie dell’Atlante linguistico dei Laghi Italiani” N. 4, Ed. Casa Usher, Firenze 1989.

                        13 M. Bonino, Archeologia e tradizione navale tra la Romagna e il Po, Ed. Longo, Ravenna 1978, pp. 117-132, 143.

                        14 F. Franceschini, Il lago e il padule: pesca e caccia nel Bientina, cit., pp. 451-467.

                        15 M. Bonino, Sardinian, Villanovian and Etruscan crafts between the X and the VIII Cent. B.C. from bronze and clay models, in “Tropis 3, 3rd International Symposium on Ship Construction in Antiquity, Athens 1989”, Hellenic Institute for the Preservation of Nautical Tradition, Athens 1995, pp. 83-98.

                        16 M. Crisrofani, Gli Etruschi del mare, Longanesi, Milano 1983 Fig. 18-22.

                        17 M. Bonino, Barche, navi e simboli navali nel cimicero di Priscilla, in “Rivista di Archeologia Cristiana”, a. LIX, 1983, n. 3-4, pp. 277-311, Fig. 12.

                        18 M. Bonino, Rafts and dugouts in Central Italy, the primitive phase of inland boatbuilding, in “The Mariner’s Mirror”, Vol. 67, London 1981, pp. 125-148; M. Bonino, Le monòssili in Italia, in “Bollettino del Museo Civico”, a. LXXII, Padova 1983, pp. 51-77.

                        19 M. Bonino, Tecniche e forme di costruzione delle imbarcazioni dei laghi italiani, cit.

                        20 A. Malvolti, Le risorse del Padule di Fucecchio, cit., p. 45.

                        21 V. Alinari, A. Beltramelli, L’Arno, cit., p. 59.

                        22 Materiale illustrativo noto e riprodotto in molte delle opere citate, presentato in parte nella Mostra: Per correre migliori acque, cit, inoltre, tra l’altro, G. Briganti, Gaspar van Wittel, Ed. Bozzi, Roma 1966, NN. 119, 166, 216.

                        23 R. Peruzzi, La terra e il fiume, cit. p. 10.

                        24 G. Rodella, Imbarcazioni da trasporto fluviale e ingegneri-costruttori a Mantova nel XV secolo, indagine documentaria, in il Po mantovano, “Studi di cultura materiale dei Museo Civico Polironiano”, N° 3, S. Bendetto Po 1986/87, pp. 51-63.

                        25 R. Peruzzi, La terra e il fiume, cit., p. 19.

                        26 Modello inedito del compianto Lorino Lascialfari, Firenze 1978.

                        27 M. Bonino, Tecniche e forme di costruzione, cit.

                        28 M. Busoni, Ciclo del legno, cit., pp. 54-55 e iconografia ricordata alla nota 23.

                        29 M. Bonino, Notes sur les navicelli italiens, in “Le petit perroquet” N. 20, Grenoble hiver 1976-77, pp. 46-57; N. Picchiotti, S. Scuderi, Colloquio con il mio tempo, Viareggio, cantiere Picchiorti 1979; disegni modellistici di A. Matteucci, Firenze 1967-1970.

                        30 M. Cortellazzo, Terminologia marittima bizantina e italiana, in La navigazione mediterranea nell’Alto Medioevo, XXV Settimnana di studi sull’Alto Medioevo, Spoleto, aprile 1977, Spoleto 1979, pp. 759- 773; M. Bonino, Archeologia navale, in Storia di Ravenna, Vol. II, tomo 1, Marsilio, Venezia 1991, in particolare pp. 47-52.

                        31 M. Casaccia, I pesci del Lago di Bolsena, Quaderni ALLI, N.3, La Casa Usher, Firenze 1988; M. Silvestrini, Esperienze con il questionario ALLLI presso il Lago di Vico, in Lingua, Storia e vita, cit., pp. 589-605.

                        32 A. Guglielmotti, Vocabolario marino militare, Roma 1889, rist. Mursia, Milano 1967.

                        33 In Piemonte e nel Medio Po: quarti, nel Veneto: sesti; per gli influssi colti locali: AA.VV, Livorno e Pisa: due città e un territorio nella politica dei Medici, Catalogo della Mostra, Pisa 1980 ed il contributo di P. Angiolini, La politica marittima dei Medici e le vicende dell’Arsenale di Pisa, pp. 176-190.

                        Tegamaccio sì ma dei Binami

                        0
                        0


                        Per cucinare il tegamaccio è fondamentale il coccio, da cui prende nome il piatto.

                        Gli ingredienti necessari sono quelli di sempre: la cipolla, l’olio d’oliva, la conserva di pomodoro, il sale, il pepe, i pomodori pelati, e, naturalmente, tutti i tipi di pesce del lago: tinca, luccio, anguilla, persico e, quando c’è, anche il boccalone.



                        Mettiamo la cipolla nel coccio e aggiungiamo abbondante olio d’oliva.

                        Poniamo il coccio sulla brace e facciamo dorare la cipolla, quindi aggiungiamo la conserva di pomodoro e poi il pepe e il sale. Su questa base adagiamo il pesce che abbiamo preparato in precedenza. In seguito mettiamo i pelati schiacciati.

                        La cottura del pesce avviene lentamente sulla brace. Per non farlo attaccare al fondo scuotiamo il tegame.

                        Dopo una quarantina di minuti giriamo delicatamente i singoli pezzi di pesce; questa operazione viene fatta una sola volta durante la preparazione.

                        Dopo oltre 3 ore di cottura il tegamaccio dovrebbe essere pronto.

                        Per rendere il piatto ancora più gustoso, si può servire su delle fette di pane abbrustolito e passato con l’aglio.


                        • La dimostrazione di questa ricetta è stata possibile grazie alla disponibilità e alla mestria di Maria Grazia Giannini
                        • Le riprese, il montaggio e la regia sono di Silvia Bistacchia

                        1928. La pesca nello stagno salso di Orbetello

                        0
                        0
                        di Giacomo Melillo

                        Lo stagno salso di Orbetello che misura 26 chilometri quadrati di superficie ed profondo m. 1,50, è limitato a Nord-Ovest dal Tombolo della Giannella che unisce l'Argentario alla foce dei fiume Albegna, a Sud dal Tómbolo di Feniglia che lo collega al Colle di Cosa.1



                        Lo stagno comunica col fiume Albegna per mezzo dei canali di Fibbia e delle Saline, col mare per mezzo di quelli di Nussa e di Ansedonia.2 La pesca che vi si fa è molto caratteristica: nel bacino di Ponente dello stagno è libera a tutti; il bacino di Levante è invece proprietà del Comune che vi ha costruito speciali labirinti da pesca in cemento detti boadanoni (vedi fig. 7b). Sono queste le peschiere che vanno sotto il nome di 'Peschiere di Nassa'.

                        È noto che, durante la primavera e durante l'estate, alcune specie di pesci, muggini, orate, spigole, aguglie, ecc. attratti da ma fauna più abbondante e da una percentuale di sali minore, passano dal mare nei fiumi, nei laghi, per poi ridiscendere al mare, venuto l'inverno.

                        I pescatori di Orbetello, messe in completo assetto le apposite peschiere, vigilano sia sulla 'montata' che sulla 'discesa' del pesce.



                        Dal mare, múggini, orate, ecc., entrano in un 'canale emissario' (vedi fig. 7a) che, nella parte terminale, porta un primo inganno, la passarella o ramata s. f. 3 , che gli consente di entrare in una zona chiusa, denominata paratia s. f.4 (da parare; Rew. 6229), dalla quale non potrà poi più uscire (vedi fig. 8). Formata di kannićći (vedi fig. 1), tenuti insieme da pali piantati nel fondo dello stagno, essa comunica dal lato di sud-est con i bokkini d'entrata dei 'bondanoni' ed ha lo scopo di avviare il pesce, attraverso i 'bocchini', nei bacini dei 'bondanoni'.



                        Imboccati i bacini, il pesce va in parte a finire nelle cosiddette kasse da morto (vedi fig. 7c) dove vien preso dai pescatori coi koppi5 (vedi fig. 2); la parte che rimane nei bacini viene pescata con le rezzole (Rew. 7264)6 . Speciali ostacoli di ferro, detti cancelli di sicurezza, sbarrano al pesce la via oltre le kasse da morto.

                        Nel mese di Dicembre si sogliono fare due o tre grandi 'battute di pesce', dette cinte s. f. pl. (da 'cingere').

                        I pescatori, su venti o trenta barchini (vedi figg. 5 e 6), si dispongono in cerchio nel bacino di Ponente. Ogni barchino dispone di una fiòcina s. f. (vedi fig. 5a) e di una rete che ha da un lato maglie larghe e dall'altro maglie strette. Le reti vengono unite insieme e gettate nello stagno, ed il pesce vien costretto ad entrarvi. Mentre una parte dei pescatori tirano su le reti, gli altri con i barchini si portano nel mezzo della cinta e infilano colle fiòcine il pesce più grosso che tenta di sfuggire all'agguato.
                        Talvolta, specialmente se lo stagno è un po' mosso, i pescatori gettano nell'acqua dell'olio che permette loro di vedere più chiaramente il fondo.



                        La imbarcazione in uso nello stagno di Orbetello è il barchino s. m., una specie di barchetta a fondo piatto con vela (vedi figg. 5 e 6), che può dirsi la compagnia indivisibile del pescatore. Sul barchino questi attraversa in lungo od in largo lo stagno, fermandosi a pescare vicino a speciali ripari di cannicci, detti tesi s. m. pl. (vedi Rew. 8651).

                        Parti del barchino, oltre al fondo, sono:
                        • la vanna s. f. 'banda' «il fianco»7
                        • il posticco s. m. «pezzo di tavola con scalmiera» 8
                        • il mativo s. m. o korba (da korbis; Rew. 2224) «rinforzo di legno della. sponda»9
                        • la palella s. f. remo di cui si serve il pescatore stando a poppa» (cfr. nap. palelle s. f.);
                        • aggiungi ancora una lunga pertica di legno, detta struzza s. f.10 (vedi la fig. 5c), di cui, dove l'acqua è poca, il pescatore si serve per muovere il barchino, facendo forza con essa sul fondo.



                        Le principali reti da pesca sono:
                        • La retina s. f., sorta di rete che nella parte superiore è costituita da una cordicella, l'armatura s. f., nella quale, di tratto in tratto, sono infilati piccoli pezzi di sughero chiamati kuortici (cortex; Rew. 2263)11. La parte inferiore è formata da un'altra armatura provvista di piombi.
                        • Il tramallo s. m. (vedi ItDl. I, 257). Il tramallo privo di piombi ha nome saltatoia s. f. (da 'saltare').
                        • Il martavello s. m, 'bertovello' (vedi ItDl. I, 258), fornato: di un cerco di legno (vedi la fig. 3a), tenuto fermo da due cannelli di sambuco, detti búvoli o búbboli12 (fig. 3b); da quattro altri cerci (degradanti, anch'essi con búvoli (fig, 3c); da bertovelli minori interni, posti in senso contrario al maggiore. le femminelle (fig. 3d); dal kodino s. m., la parte estrema del bertovello (fig. 3e): da un laccio di cotone, il poppatino (vedi. fig. 3f) che serra il kodino, e serve a fermare, il bertovello sul fondo.
                        • La rezzola s. f., costituita da due reti scempie laterali che nel mezzo formano la manika s. f., una specie di sacco. Nello stagno si pesce anche con la koffa s.f. (Rew. 4730?): più lenze con ami, dette braccali, che scendono verticalmente da una corda comune la trave s. f.
                          Per pescare di notte col barchino si adopera una lampada ad acetilene, la cetilene s. f., la quale viene fissata alla prora (vedi la fig. 5b).

                          Il pesce pescato viene raccolto in un grosso cesto senza manichi, il cestone s. m. (vedi fig. 4). Quello che si spedisce vien posto in cassette chiamate kollette s. f. pl. o spasine s. f. pl. (Rew. 3030).

                          Le principali qualità di pesci che si pescano nello stagno di Orbetello sono le seguenti:
                          • "Anguilla vulgaris" - anguilla s. f. L'anguilla immatura è chiamata torta; quella che ha raggiunto la maturità sessuale e si dispone a migrare nel mare, diritta; il novellame dell'anguilla, kria s. f. (deverb. di creare; Rew. 2305).
                          • "Atherina boyeri" - kakinello s. m.
                          • "Blennius gattorugine" - vavoso s. m. (vedi ItDl. I, 263).
                          • "Chrysophrys aurata" - orata s. f. Rew. 789.
                          • "Charax puntazzo" - sárago s. m. Rew. 7605.
                          • "Conger conger" - grongo s. m. (vedi ItDl. I, 264).
                          • "Mullus barbatus" - trilla s. f.
                          • "Mustelus canis" - stellato s. m. e niccolo s. m. (cfr. gen. nisseua e vedi nisseaa e vedi Barbier in Rlr. LIV (1911), 162).
                          • "Dicentrarchus labrax" (Labr. lupus) - spigola s. f. (vedi ItDl. I, 264).
                          • "Mugil capito" - mazzone s. m. (vedi ItDl. I, 264 n. 4).
                          • "Mugil cephalus" - cefalo mazzone s. m.
                          • "Mugil saliensˮ  - múggine s. m.
                          • "Mugil auratus" - goterossa s. f.
                          • "Mugil chelo" - celeta s. f.13
                          • "Pagellus mormyrus" - marmo s. m.14
                          • "Sargus annularis" - sparallone s. m.15
                          • "Scorpaena porcus" - skorfano s. m. (vedi il nap. skorfene e ItDl. IV, 58 n. 1).
                          • "Solea vulgaris" - palaia s. f. (vedi Rew. 6370).
                            Tra i molluschi, noterò il "Cardium edule" - galletto s. m. o kassettone s. m.; tra i crostacei, il "Palaemon serratus" - gámbero s. m.

                            __________

                            - Il saggio di Giacomo Melillo (1892-1929), La pesca nello stagno salso di Orbetello, fu pubblicato nella rivista "L'Italia dialettale", vol. IV, 1928, pp. 212-219. 
                            - Nel trascrivere il testo non sempre è stato possibile mantenere i simboli fonetici utilizzati nell'originale.

                            Note:

                            1 Devo gran parte delle illustrazioni al Sig. Domenico Ulivi di Orbetello che ringrazio vivamente.

                            2 V. la Guida d'Italia del Touring Club Italiano, 'Italia Centrale', Vol. III, p. 238. Per più ampie e dettagliate notizie sulla pesca e sulla fauna ittiologica v. R. Del Rosso 'Pesche e peschiere antiche e moderne nell'Etruria Marittima' Firenze  (Poggi) 1905.

                            3 [V. il letter. ramata«graticolato di fili di rame»]. C. M.

                            4 [Cfr. il term. marinaresco paratia «separazione di tavole o di tela a poppa e a prua sotto coperta per riporvi cordami e simili arredi, o per comodo de' marinari» (Fanf.)]. C. M.

                            5 [V., in Zingarelli N. 'Voc. della lingua ital.' 2,  còppo, «recipiente rotondo che inastato serve a
                            pescare conchiglie ed altro sul fondo del mare» (term. marin.); e quando all'ò, 'Fonol. sol.', 149]. C. M.

                            6 V. più avanti il punto 4 dell'elenco numerato.

                            7 [la presenza di vocaboli schiettamente meridionali, anzi napoletani (vedi, più sotto, anche kuortici, vavoso, sparallone, ecc.) non deve sorprendere. Senza dire che Orbetello fu una delle città
                            marittime toscane riunite da Filippo II, sotto il nome di Stato dei Presidii, al regno di Napoli di cui seguirono le sorti dal 1558 al 1801, pescatori napoletani, durante molti mesi dell'anno, dalla primavera al tardo autunno, soggiornarono nelle vicinanze, specialmente a Porto S. Stefano. Per di
                            più oggi il bacino di Levante è affittato a persona di Napoli]. C. M.

                            8 [Non fa parte dell'ossatura della barca, ma viene adattato da ultimo. Cfr. il term. marin. posticcia«la parte superiore del naviglio»]. C. M.

                            9 [V. ItDl. I 256, n. 1].

                            10 [V. struzza s. f. «perticone che sostiene la tarchia o altre vele volanti, specialmente dei bastimenti latini» (term. marin.) in Zingarelli o. c. ]. C. M.

                            11 [V. nap. cortece«disco di sughero di men di un decimentro di diametro» nel 'Voc. del dial. napol.'  del prof. E. Rocco, Napoli (Chiurazzi) 1891]. C. M.

                            12 [Cfr. Il lett. bubbolo«pezzo di canna che a un'estremità ha il nodo e all'altra è aperta» in Zingarelli o. c.; e v. Rew. 1354]. C. M.

                            13 Nap. cerina, gen. ciautta e muzao neigro.

                            14 Nap. marmone (e luvaro, lutrinu).

                            15 Nap. sparallone, gen. sparlo.

                            1925. La pesca nel lago di Varano in quel di Foggia

                            0
                            0
                            di Giacomo Melillo

                            Introduzione. Strabone1, Plinio2, Tolomeo3, ed altri antichi scrittori ricordano Hyria (Uria), città della Puglia nei pressi del Gargano ma senza dirci con precisione dov'era situata. Anche gli storici dell'evo antico che se ne sono occupati, si mostrano in questo discordi.



                            Il Cluvier4, basandosi specialmente su un passo di Pomponio Mela5, pose Uria tra Sipontium e il Gargano, presso la odierna Manfredonia. Il Cellario6 la volle non lontana dal portus Garnae, dove è ora Rodi Garganico. Al Mommsen7 parve di doverla identificare con l'attuale Vice Garganico. Fu primo il Manicone8 ad affermare, movendo da tradizioni popolari, che quell'antica città si sarebbe inabissata in epoca remota dando origine alla laguna; e più di uno scrittore lo seguì ciecamente. Secondo studi recenti, Uria (Hyria) sarebbe stata edificata là dove la costa adriatica si protende nel mare a formare il prontorio del Gargano, e la odierna laguna di Varano  non sarebbe che una trasformazione geologica dell'antico sinun uranius (hyrianus)9. La fonetica non vi si oppone, Varano potendo essere ricondotto facilmente a urianus10.

                            Anche le vicende di Uria attraverso i secoli sono oscure. Si ha notizia di un castello medio-evale chiamato Bayrano e Barano11. In una bolla del pontefice  Alessandro IV del 22 aprile 1256 ricorre per la prima volta lacus Bayrano. L'Alberti12 scrive Varrano; e così il Mazzella13, il quale afferma che Garnae fu il nome più antico. Dall'inizio del secolo scorso compare negli atti ufficiali l'attuale denominazione.

                            In questi ultimi anni, in seguito a lavori per una diversa sistemazione, la laguna di Varano è quasi scomparsa. La sua fauna ittiològica, da qualche tempo per varie ragioni già notevolmente ridotta, si può dire che oggi non esiste più. L'opera dell'uomo viene trasformando e distruggendo quel che la natura aveva creato.

                            Il presente studio è frutto di indagini personali. Per la parte scientifica ho avuto grande aiuto da uno scritto del prof. E. F. Cannaviello14, cui rendo vive grazie.

                            Sobbene i Comuni interessati alla pesca nella laguna di Varano siano tre: Cagnano, Carpino e Ischitella, non ho tenuto distinte le singole voci dialettali, non presentando foneticamente differenze degne di rilievo.



                            Presso la foce del lago di Varano si incontrano delle capanne tutte di paglia, di forma tondeggiante, col tetto conico: sono i paggare 'pagliai', le abitazioni dei pescatori (vedi fig. 4).

                            Per la pesca e per traghettare da una sponda all'altra i passeggeri essi si servono di una specie di barca a fondo piatto e senza vela, che chiamano sánnere15 perché ricorda da vicino un 'sandalo' «gr. σάνδαλον, lat. sandalum, la calzatura formata di una suola di legno o di cuoio fermata al piede con piccole corregge (vedi fig. 1 e 5 )». Caratteristiche del sánnere, oltre il fondo piatto, sono le spátele s. m. *spatulu, un remo più corto che adoperano da solo (vedi fig. 6f e 5f), e la katene s. f. catena, una trave fissata trasversalmente alle sponde dal lato di poppa16 e sporgente d'ambo i lati per un terzo della sua lunghezza (vedi fig. 6 e fig. 5g), a ciascuna estremità della quale è adattato uno skarme scalmus Rew § 764017 (vedi fig. 6a e 5a) pei remi maggiori (rime, plur. e sing.). Parti dell'ossatura sono il korve s. m.18, che poggia sul fondo e sul fianco del sánnere dal lato  interno e ha forma di gomito (vedi fig. 6e e fig. 5e); la kastannole s. f.19 (vedi fig. 6d e fig. 5d), che abbraccia il korve e fa da sostegno alla tire s.f., una specie di scalmo maggiore che, adattato alla sponda (vedi fig. 6b e fig. 5b), serve per lo spátele, il remo minore. L'assicella trasversale, dove siedono le persone che si fan traghettare (vedi fig. 5i), si chiama segge s. f. «sedile».



                            Le principali reti da pesca usate a Varano sono:
                            1. a sabbeke s. f., sorta di rete a strascico (cfr. it. I. sciabica, ecc. schabaka (ar.) Rew. § 7667, e agg.: nap. sciáveca col dim. sciavechella)20;
                            2. u tramagge s. m., sorta di rete fatta a tre file di reti parallele, la mediana con maglie assai strette, le due esterne con maglie lunghe, quadrate (vedi Rew § 8875 *tremaculum e agg.: tar.; tramagghia)21.
                            3. a reta fisse s. f.22, formata anch'essa di tre reti parallele, la mediana di refe, le esterne di spago e con maglie uguali;
                            4. a rete kuatre s. f., rete di forma quadrata rinchiusa fra quattro funi marginali;
                            5. u resacce s. m., rete di forma conica, con un cerchio di ferro nella parte superiore e tanti piombi intorno nella inferiore, che, gettata nell'acqua, s'apre e, avvicinandosi al fondo, si riserra rinchiudendo i pesci, il giacchio dei Toscani (cfr. manfr. res., tar. rus., e v. Ascoli in Aglit. IX, 105-6, D'Ovidio in Aglit. XIII, 423 e Rew. § 7257 retiaculum)23;
                            6. n martaviidde s. m., rete a forma conica con più ritrosi, tenuta aperta da cerchi di legno concentrici che vanno gradualmente decrescendo, il bertovello o bertuello dei Toscani (vedi la fig. 2).



                            L'it. mer. martavello, notevolmente diffuso, risale a. *vertavello da *vertabellu con v-v dissimilati n m-v (vedi Meyer-Luenke in Einfuhr., 161, dove è da aggiungere il berg. bertaèl')24. I pescatori di Varano chiamano cerce il cerchio più grande posto alla bocca del bertovello (vedi fig. 2b); cercetedde, i cerchi minori (vedi fig. 2c); femmenedde 'femminelle', i ritrosi, i bertovelli minori, interni, messi  in senso inverso al maggiore, che li contiene tutti (vedi fig. 2f)korpe 'corpo', la parte larga anteriore (vedi fig. 2d); kudacce (da coda), la parte stretta posteriore (vedi fig. 2e); mazze s.f. mattea Rew. § 5425 il bastone che, esteriormente, va da una estremità all'altra del bertovello e lo tiene teso (vedi fig. 2a); kapezze s. f. 'capezza' Rew. § 1637, la corda che va dal cerce alle mazze e la tien ferma (vedi fig. 2g); mázzere s. m., parimente da mattea, la pietra bucata che tiene immerso, sul fondo, il bertovello (vedi fig. 2h)25.

                            Questo, che ho descritto, è il tipo più comune di bertovello e, secondo la grandezza, prende i nomi di martavidde (mezzano), -aveddone (grande), -aveddine (piccolo). Ma vi è uno speciale bertovello, adoperato per la pesca delle aterine, chiamato lampe s. f. (cfr., a Orbetello, lampana s. f.) e ve ne ha uno piccolo, cieco, chiamato kudacce, come la parte estrema del martavidde.

                            Per far affondar nell'acqua i bertovelli i pescatori di Varano si servono di uno strumento di ferro a due punte, a furcine s. f., la 'forcina'26.

                            La pesca si fa anche con varie specie di palizzate e cannicci:
                            • con le nkanezzate s. f. 'incannicciata', parete di cannicci fatta per avviare il pesce in determinate direzioni (vedi fig. 7);
                            • con il naseddone s. m. (da nasu, per la forma), apertura a ritroso fatta di cannucce palustri, disposte conicamente in modo da permettere l'entrata del pesce dal mare nel lago e da ostacolarne l'uscita;
                            • con la paranze s. f. parantia, lunga palizzata a spina di pesce con frasche nel centro, chiuse da anelli di vimini detti scokke s. m.;
                            • e soprattutto con le raeole s. f.27, palizzata fatta di giunchi, canne e alberelli piantati nell'acqua (vedi fig. 8) suddivisa in più parti: u gabbature s. m. (da gabba 'gabbare'), l'apertura disposta in modo da trarre il pesce in inganno; u scuppature s. m., uno spazio circoscritto dove il pesce va a finire prima di ficcarsi in una specie di corridoio; l'andriole s. f., che sbocca in un altro spazio circoscritto e senza uscita; il mandracce s. m.28, dove viene pescato29.



                            Molto usata è anche la 'fiocina', a fessene s. f. con vocale tonica anormale come nel sic. friscina30', ricordato dal Meyer-Luebke senza dichiarazione in Rew. § 3610; nei dialetti dei dintorni di Varano un e di sillaba chiusa può continuare un e come un e di latino tardo.

                            Per levare dall'acqua il pesce prigioniero nelle reti, nei labirinti, ecc. serve la voike s. f., un  pezzo di rete in forma conica, assicurato a un cerchio di legno innestato in un bastone. Una specie di voike col bastone sostituito da una corda è la le' peke s. f., dove il pesce pescato si conserva fino al momento di porlo nella kasse s. f., una cassa. Nellale' peke si suole anche pesare il pesce sulla stadera. Invece le anguille, una volta pescate, i depositano in un grosso cesto caratteristico, u cestone s. m. (vedi fig. 3); le anguille più grosse, che si vogliono ingrassare, si mettono in una specie di cassa in forma di piccola nave, costruita con striacie di legno distanti fra di loro un centimetro circa, u purcelle31.

                            Le principali qualità di pesci che si pescano nel lago di Varano, sono le seguenti:
                            1. Anguilla vulgaris - (a)nnide s. f., termine generico. L'anguilla nata di fresco è chiamata papodde s. f.32; quella che non avendo ancora raggiunta la maturità sessuale, vive nel lago, pantanine s. f. (da 'pantano'); quella che, raggiunta la maturità sessuale, ha lasciato il lago per il mare, mareteke. L'anguilla di dimensioni maggiori, se maschio, chiamasi la kapemazze s. m.; se femmina, kapetone s. m. Altre varietà d'anguille sono: u mussidde s. m. (da musse muso) Ang. Acutirostris, dal rostro aguzzo33; e u angarone Ang. Latirostris, dal rostro ottuso.
                            2. Atherina boyeri - grunnalette s. f. (da 'grugno')34.
                            3. Atherina rissoi lacustris - lice s. f.
                            4. Belone vulgaris - agugge s. f. (cfr. tosc. aguglia, nap. auglie, manfr. agugge, regg. cal., sic. augghia, girg. uglia)35.
                            5. Blennius gattoruggine - vavose s. f. (v. Rew. § 853 e agg.: livorn. Portof. bavosa, nmessin. bavusa, sirac., Licata vavusa, gen. bausa, ecc.)36.
                            6. Box boops - vope s. f. (v. Merlo in MILomb. XXIII, 293 n. 123 e P. Barbier in RLR. LIII (1910), 56).
                            7. Box salpa - sarpe s. f. (cfr. Rew. § 7549 e agg.: nap., manfr., tar., regg. cal. sarpa, ecc.)37.
                            8. Chrysophrys aurata - lavuratelaurate s. f. (v. Rew. § 789 e agg.: nap. aurata, manfr. arate, sic. arata, regg. cal. or., livorn. dorata, Licata lauratu, ecc.).
                            9. Clupea finta - sardone s. m. (v. Rew. § 7603 e agg.: fior. sardone)38.
                            10. Clupea pilchardus - sarde s. f. (v. Rew. § 7603 e agg.: nap., cal., ecc. sarda)39.
                            11. Conger vulgaris - grunge s. m. (v. Barbier in RPhFr XXIII, 120, Merlo in Mast. LVIII, 160 e agg.: manfr. runghe, regg. cal. runcu, mess., catan., sir. rungu, [vast. vronghe] Portoferr. gronco).
                            12. Corvina nigra - korve de pandane s. m. (cfr. rom. corvo di scoglio, triest. corbèl de sasso)40
                            13. Dentex vulgaris - dentale s. m. (v. Rew. § 2561 e agg.: rom. dentale; manfr., dentate, regg. cal. -atu, mess. dintatu; catan., pal., trap. dèntici, sir. rèndici, Licata lèntici).
                            14. Dicentrarchus labrax - spinele s. f. (v. Barbier in RLR. LIV (1911), 156 e agg.: manfr., trap. spina: regg. cal., pal. spinula; catan., sir., girg. spinotta). Ha anche nome rannette s. f. (cfr. tosc. ragno) se di grandi dimensioni; pukatte s. f. se piccolo.
                            15. Engraulis encrasicholus - ancune (vedi Rew. § 520; Barbier in RLR. LIII (1910), 24; Krepinsky in RoRev. IX (1918), 96 sgg.)41.
                            16. Gasterosteus aculeatus - spenariidde s. m. (v. it. spinarello in Rew.§ 8150 e agg.: veron. spinarèl all. a pese spin, trev. spinariola, ecc.)
                            17. Gobius ophiucephalus - vavose s. f. (v. qua sopra il n. 5)42.
                            18. Mugil capito - garzalonge s. f. (v. it. garza *gargea «branchia; mascella; guancia»; Merlo in AAST. IL, 892)43.
                            19. Mugil caphalus - céfele s. m. (v. Rew. § 1819)44. I cefali di media grandezza sono chiamati mezzaniidde s. m., i piccoli, pescati nei naseddune con la voike (vedi sopra), fermatece s. m.. Una varietà che ha la testa più grossa del tronco, ha nome tupparedde s. m..
                            20. Mugil chelo - occe nire s. m. e avrute s. f.45.
                            21. Mugil salien - sprone s. m. 'sperone': ha il muso alquanto aguzzo (cfr. il rom. cèfalo musino)46. Un'altra specie dal corpo meno smilzo ha nome muiidde s. m. (v. Rew. § 5717 e agg.: tosc., march. muggello, abr. mujèlle).
                            22. Mullus barbatus - tregga-verace s. f.47.
                            23. Mullus surmuletus - tegga-de-funne s. f.48.
                            24. Pleuronectes fleusus var. italicus - pássele s. f. (dim. passelicce) passera (Rew. § 6268 e agg.: parm. pèss passra)49.
                            25. Solea vulgaris - palaie s. f. (v. Rew. § 6370) e sfullette s. f. (cfr. abr. sfojje, rmg. sfoia)50.
                            26. Tinca vulgaris - tenke s. f. (v. Rew. § 8742 e agg.: rom.51 tenca, irp., nap. tenke; sic. tenchia). Se piccola, prende il nome di tenkozze s. f.; se nata di fresco, di maiateke52.
                            27. Triglia corax - kuocce53 s. m.54.
                            28. Umbrina cirrosa - umbrate s. f. (cfr. tosc. ombrina, trap. lumbrina, ecc.)55.
                            29. Petromyzon planeri56sukapece (v. Barbier in RLRom. LVI (1931), 238).
                            Appendice

                            Aggiungo i nomi di alcuni uccelli palustri; fra i trampolieri: gaddenedde s. f. gallinula chloropus (sciábica); fulica s. f.  fulica atra (folaga); nigge de pandone s. f. 'nibbio di p.' pandion haliaetus (falco pescatore); fra i palmipedi: kapeverde s. m. o maddarde anas boschas (germano reale); kaperusse s. m. mareca penelope (fischione) terzedde s. f. nettion crecca (alzavola); tiudde de masse e tiudde suracine s. m. podiceps cristatus (tuffetto col ciuffo); rennella marine sterna hirundo, sterna cantiaca (rondine di mare); korve de pandane phalacro corax carbo (marangone). E chiudo col nome di un piccolo mammifero della famiglia mustelidae, grande divoratore di pesci, la litrie s. f. lutra vulgaris: v., quanto all'etimo, Rew. § 5187, 2 e G. Rohlfs 'Griechen u. Romanen in Unteritalien' Ginevra 1924, p. 97[57].

                            __________

                            - Il saggio di Giacomo Melillo (1892-1929), La pesca nel lago di Varano in quel di Foggia, fu pubblicato nella rivista "L'Italia dialettale", vol. I, 1925, pp. 252-266.
                            - Nel trascrivere il testo non sempre è stato possibile mantenere i simboli fonetici utilizzati nell'originale.

                            Note:

                            1 (Strab. VI, 3, 9.)

                            2 Hinc Apulia Dauniorum cognomine a duce Diomedis socero. In qua oppidum Salapia, Hannibalis meretricio amore inclytum, Sipontum, Uria: amnis Cerbalus, Dauniorum finis. (Plinio III, 16, 4).

                            3 (Tol. III, 1, 17).

                            4 'Italiae antiquae ecc.' Lugduni 1624 (II, 1212).

                            5 Dauni autem tenent Tifernum, Cliterniam, Larinum, Teanum, denique montent Garganum. Sinus est continuo littore, incinctus nomine Urias, modicus spatio, plerasque asper access. Extra Sipontum. (P. Mela II, 4, 66).

                            6 'Notitia orbis antiqui ecc.' Lipsia 1701 (II, 885)

                            7 V. Corpus Inscript. Latin. IX, 66.

                            8 P. Michel. Man. 'Fisica Appulo-garganica' I, 186, 198.

                            9 V. E. Pais, 'Ricerche storiche e geografiche sull'Italia antica', Torino, (Tip. Ed. Naz.) 1908, 218 n. 3 e 225 n. 1, e G. Del Viscio, 'Uria', Bari, (Soc. Tip. Ed.) 1921, 53 sgg. Rimando specialmente a questo lavoro quanti desiderassero conoscere nei dettagli la questione che ho riassunta qui brevemente.

                            10 V., per l'a da U. Merlo in Zrph. XXXVII, 726, in 'Fon. Del dl. Di Sora' 239/9, e qua sopra pp. 238-40. [La pròtesi di v, non ignota agli odierni dialetti garganici (v. vuliva oliva, vurlone urlone in Tancredi 'Voc. dial. garganico' 2a ed. Lucerna 1913) si manifesta per ben antica, anteriore al volgere di o proton in a.] C. M.

                            11 [Il b- si spiega facilmente da una falsa ricostruzione: siamo fra dialetti che rispondono con v- a lat. B-]. C. M.

                            12 Leandro Alb. 'Descrittione di tutta Italia' Venezia, 1571, 249.

                            13 Scip. Mazz. 'Descrittione del Regno di Napoli' Napoli 1586, 283.

                            14 'La laguna di Varano' Lucera (Frattarolo) 1914.

                            15 Se di grandi dimensioni, sannarone (pl. -uni); se di piccole, sanaredde *sann. [Cfr. it. I. sandalo «specie di barca… che… pesca poco, onde è di servizio nei bassi fondali» (Tomm. Bell.), nap. sannale id. (Andr.). È il tipo di barca adoperato anche nelle paludi Pontine]. C. M.

                            16 [Cfr. it. I. catena, bit. cataine, cal., sic.  catina «verga di ferro che si mette tra una muraglia e l'altra per sostenerle» (it. I., bit., cal.); «sbarre e arginature di legname lungo le sponde dei fiumi» (cal.); «sbarra dove si paga il pedaggio» (sic.); abr. catene «nastro, corda, tesi attraverso la strada per impedire il passaggio del corteo nunziale»; ecc.]. C. M.

                            17 A Manfredonia scarmone [E così a Taranto, di c. a nap. scarme, cal., sic. scarmu, co. scalmu, gen. scarmo, ecc. ecc. Strano l'e del pis. skermo]. C. M.

                            18 [V. manfred., tar. corve nello stesso senso, e cfr. l'it. lett., cat., ecc. corba «ciascuna delle coste accoppiate che formano l'ossatura del bastimento», cat. corbato «pezzo di rinforzo della sponda», it. I. corbame «l'insieme dell'ossatura», ecc.; da corbis Rew. § 2224]. C. M.

                            19 [V. manfred., tar. castagnòle «zoccoli, due grossi legni che poggiano sulla sala dei carri». Forse da costa Rew. § 2279 (cfr. sic. custana «travicello, corrente piana»); è propriamente un pezzo di legno lungo il fianco, la costa]. C. M.

                            20 [V. ancora co. sciabica (dim. -icotu, Ba. -igottu), tar. sciabica (dim. -ichiddo), cal. sciàbbaca (accr. -acuni), sic. -ica «sciabica»; abr. sciàbbeche s. f. «battello leggiero di pesca (fissa un capo della rete sulla riva e va in giro con l'altro)». Der.; cal. sciabbicaru, cal. sciabbacòtu, sic. -icotu «pescatore addetto alla sciabica»; cal. sciabbachiare '-eggiare' «gettar la sciabica».
                            'È la rete più usuale di che si servono i marinai del nostro littorale' (Moris.), 'prende ogni sorta di pesce anche minuto' (D'A., Acc., De Vinc.), e fa grandi prede. Di qui forse i traslati: cal. sciábbaca meretrice; nap. sciavecone (f. -ona), di chi riceve ogni sorta di donne (ogni sorta di uomini); ort. sciabbecòtte «uomo rotto alla mala vita» (a Ter., tit. spreg. Di abitante di marina); nap. sciavecaria «quisquilia, cose da nulla», cal. sciabbachiare «dirne e farne di ogni maniera» (cfr. tar. mena a sc. «raccogliere il buono e il cattivo quando torni utile»); sic. sciábbica «gozzoviglia» -abbachiari «gozzovigliare».
                            Il cal. tirare a . sciábbaca, detto per ischerzo a chi non fa nulla (Moris.) - non è pesca che possa farsi tutti i giorni e in ogni stagione - ci spiegherà l'irp. sciavechejá «far buon tempo, oziare»; e il fatto che ogni scaibica richieda l'opera di più pescatori, che vi siano addette parecchie persone, le quali fanno società insieme, ci spiegherà l'abr. di Ari è dde la sciabbeca nòstre «è dei nostri, del nostro partito» e il nome di sciaveca, dato a Napoli alla compagnia di sacerdoti ordinata da S. Gaetano Tiene, la cui missione era di predicare per le piazze più popolari della città e per i luoghi di dissipazione e di ozi popolari (D'A.)]. C. M.

                            21 [Circa alla derivazione del gen. tremagu, del ven. tramago, e in genere degli esiti italiani, dal fr. trem., tramail (vedi Rew I. c.), siano consentite le più ampie riserve Se non si vuole ammettere con l'Ascoli un filone di *-gl- da -kl-, non basta per l'Italia un imprestito genovese? Vedi più avanti la n. 23]. C. M.

                            22 'La rete fissa', detta anche retambicce s. f. [E sarà un 'rete impiccia' (=imbroglia!). 'Impicciare' per «imbrogliare, intricare» e 'impiccio' per «imbroglio, bega», 'spicciare' per «sbrogliare, sbrigare» son voci ital. Meridionali; basti ricordare i bei composti abr. mbicc-e-mrujje s. m. «rabattino», agn. mpicciacannielle (= ingombra cann.) «arruffamatasse», ecc.]. C. M.

                            23 [Contrariamente a quanto scrisse il Bartoli in 'Dalm.' II, 433, il pugl. rus., resacchie non conferma un bel nulla, il -s- essendo difficoltà ben più grave di quel che non si sia l'agghiu del cal., sic. rizzagghiu e l'-aju, -aghiurezzajuruzzaghiu. Nei dial. pugliesi a -tj risponde -zz, e non -s-; si vedano gli esiti di retia, sicuramente indigeni e tutti zz senza eccezione. Un imprestito genovese è qui più che probabile; Né suffisso sorprende ché, abituati com'erano i marinai pugliesei a risponder con cc ai gg da -cl- della Liguria, potevano trasformare in resacco il lig. resaggu.

                            24 [Una dissimil., ch'è a un tempo stesso una assimilazione, ci offre il co. bertarellu, propr. lu vertar. da *vertavellu]. C. M.

                            25 Cfr. M. Gargiullo 'La pesca nel Tirreno' Monteleone Calabro 1924, a p. 52.

                            26 [Nei dial. Pugliesi sett. (garg., bit., tar., ecc.) 'forcina' è la 'forchetta']. C. M.

                            27 [È voce notevolissima, bastando da sé sola a provare che i pescatori di Varano appresero da quei di Chioggia questo genere di pesca. È il ven. grisiola «graticcio fatto di cannucce palustri ecc.» (Boerio) (da cratis*), adattato alla fonetica locale (v. r- da gr- e -è- da sj- ); solo si può far questione se al momento dell'imprestito la voce veneziana già suonasse gri- , o grai- che non avrebbe dato esito diverso. Anche il grisòla «arnese fatto di cannucce palustri ecc.» registrato nel Tommaseo-Bellini e nel Petrocchi, proverrà dalla Venezia, alla quale la creazione sembra circoscritta: v. pad. grisola, vic. grisola, trev. grisiole s. pl., triest. grisiola, ecc. «graticcio, canniccio»** E sarà da dire lo stesso del frl. grisòle «stuoia di cannucce per soppalchi» (Pir.)]. C. M.
                            * Cfr. il pur ven. grada t. dei pesc. «ordine in forma di grata, con cui… si fanno passare i pesci più piccoli da un luogo all'altro mettendolo come porta della chiavica» (Boerio), il parm. gradara «chiusura fatta con graticcio dai pescatori nelle valli» (Malasp.), ecc.
                            ** Quanto al suffisso, v. Vidossich in 'ArchTriest.' XXIV, 73 (§ 108a).

                            28 [È 'il punto in cui il pesce, percorso intero il labirinto, s'affolla senza speranza d'uscita'; come il sic. mandracchiu (lo stesso che zaccanu) è 'il punto in cui pecore e capre si adunano e affollano onde essere munte' (Mort.); con il nap. mandracchie*, ven. mandrachio (?), triest. mandracio, gen. mandraccio, ecc. «la parte interna del porto» è 'il punto in cui le barche e navicelli si affoltano al riparo dai marosi, dalla tempesta'. In quest'ultimo senso la voce è pur del greco moderno. L'origine germanica e araba della voce, affermata da qualche lessico, non ha fondamento: quanto all'arabo, ma ne fa sicuro l'autorità di un illustre orientalista, il collega Nallino, a cui ne ho chiesto. Resta a vedere se si tratti di creazione greca o latina, romanza. Confesso che non riesco a decidermi.]
                            * Passato a indicare anche a indicare l'attiguo quartiere della grande metropoli; e lo stesso mi dicono sia avvenuto a Livorno.

                            29 Aggiungo qui, in nota, alcuni nomi di 'labirinti da pesca': Orbetello, un tempo nassaro (da nassa Rew. § 5838) oggi bondanone; Comacchio lavoriero; ven. cogolera [v. Schuchardt 'An Ad. Mussofia' Graz 1905, p. 31]; Oristano parada.

                            30 [E fiscina. Il cal. friccina accenna a una contaminazione seriore con 'freccia' – cal. friccia]. C. M.

                            31 [Deve trattarsi di un altro imprestito veneziano, del ven. burchielo specie di barca piatta, coperta. Cfr., nel Boerio, burchio da pesse «specie di barchetta, battelletto tutto coperto e traforato, dove si custodisce vivo il pesce preso»]. C. M.

                            32 Pis. Pist. cièca, it. ciccolina; berg. bisela; regg. anguila pzéina; ecc.

                            33 Orbet. anguilla gentile, sic. anghidda gentili; livorn. anguilla di rena; ecc.

                            34 Nap. capoccione, liv., Portoferraio capòzzola; sic. c(u)runedda; gen. occion; ecc.

                            35 E tar. aco; rom. agugella; [co. cucéllula]

                            36 V. ancora: fior. pretessa; Augusta (sic.) iadduffu, catan. cadduffu; palerm. patuvanu; ecc.

                            37 Pal. manciarracina (v. racina uva).

                            38 Sirac., Licata saraca, catan. saracheddu, tosc. salacchina (v. Rew. § 7521); sic. alaccia (v. 4001).

                            39 Catan. fimminedda.

                            40 Livorn. ombrina di scoglio; fior. locca (v. Barbier in RPhFr. XXIII, 128).

                            41 Rom. alice, nap., tar. -e, regg. cal. alicia, acc. (v. Rew. § 4001).

                            42 Molf. cheggiouene, tar. coggione (v. Merlo in AAST, XLII, 312); sic. urgiuni [da 'gorgia' Rew. § 3921]; nap., tar. mazzone, sic. mazzuni [da mattea Rew. § 5425].

                            43 Rom. calamita, Portoferraio ciorita.

                            44 Rom. cefalo verocefalo mattarello, cat. mattareddu [Rew. § 5402, 2]; tosc. muggine caparello [da agg. Ai nomi di pesci deriv. Dal radic. cap- registrati dal Barbier in RPhFr. XX (1906), f. 2°]; notig. lampuni [v. Merlo in MILomb. XVIII, 295 n. 145]; mess. cirinu.

                            45 Liv. muggine nero; rom. cefalo di pietra, mess., cat. cefaluni, mess. tistuni, Terranova capulatu (vedi sopra caparello); palerm. mulettu cafaluni, Augusta mulettu di fangu (v. Rew. § 5732).

                            46 E v. ancora il fior. filzetta.

                            47 Girg., Licata trigghia di fangu, Portoferraio triglia di fango; livorn. triglia di fondo; fior. triglia di rena, ecc.; rmgn. barbon (da 'barba').

                            48 Nap. trella, tar. tregge (v. Rew. § 8902); tosc. triglia di scoglio; sic. sparacalaci.

                            49 Catan., sirac. panta (=saccoccia); mess. pèttina russa.

                            50 Sic. linguata rom. linguattola (da 'lingua').

                            51 Rom. anche scuffione.

                            52 I punti sott'acqua in cui si pongono piccoli ramicelli per invogliare le tinche e le aterine a deporvi le uova, chiamansi fetature s. m. (da feta fetare Rew. § 3270 «deporre le uova»).

                            53 [È un bel continuatore di cocceus (da coccum - di colore scarlatto); v. ThLL. III 1391 e cfr., fra i nomi della «triglia» che muovono dalla stessa idea, il messin. kokkinu Rew. § 2008, 2, l'abr. rusciole s. m. Rew. § 7464, il fr. rouget s.m.]. C. M.

                            54 Rom. cappone panaricolo; sic. rinninuni (=rondone); toscano gallinella.

                            55 Rom. corvo, manfr. kuurve (dim. kurvidde), tar. kurviidde, girg. kuruveddu (da agg. agli esiti registrati in Rew. § 2269).

                            56 Le lamprede, propriamente, non sono pesci, ma ciclostomi.

                            57 [La voce di Varano, col suo i, contrasta con la recisa affermazione del Rohlfs l. c., che l'i da gr. O sia circoscritto alla zona esterna del nostro mezzogiorno]. C. M.

                            Il numero e l'unità

                            0
                            0
                            La polizia provinciale del Trasimeno ha di recente ribadito, con un utile avviso dal misurato stile burocratico, quelle che sono le "norme comportamentali in materia di pesca professionale nelle acque del lago Trasimeno".



                            Come si può leggere sotto, le sanzioni vanno dai 102 euro per chi mette le reti a meno di 200 metri dalla riva, fino ai 4.000 euro della multa che si abbatte sul pescatore che non ha il numero di matricola sull’unità. E cos'è l'unità? probabilmente la barca.
                            • Rendere facilmente identificabili con il numero di matricola, le unità utilizzate per la pesca. L’inosservanza di tale normativa prevede la sanzione amministrativa pari a euro 4.000,00.
                            • Ogni pescatore di professione deve segnalare con apposite targhette di riconoscimento tutti gli attrezzi da pesca da lui utilizzati, effettuandone una costante gestione e manutenzione. L’inosservanza di tale normativa prevede una sanzione amministrativa pari a euro 400,00 ed il successivo sequestro amministrativo degli attrezzi stessi.
                            • Si prevede l’installazione di attrezzi da pesca professionale in alcuni tratti delle zone portuali visibili sulle cartografie presso gli uffici dell’Ispettorato di porto dal 1° ottobre al 15 marzo di ogni anno. Trascorso tale periodo, tutti i pescatori di professione hanno l’obbligo di rimuovere qualsiasi apparecchio da pesca, reti e pali di sostegno utilizzati in quel periodo all’interno di tali zone. L’inosservanza di tale normativa prevede la sanzione amministrativa pari a euro 102,00.
                            • È vietato installare qualsiasi attrezzo da pesca professionale, ad una distanza inferiore a mt. 200 dalla battigia, nel periodo intercorrente dal 15 aprile al 30 settembre di ogni anno negli specchi d’acqua antistanti le spiagge ed i campeggi. L’inosservanza di tale normativa prevede la sanzione amministrativa pari a euro 102,00.
                            • È vietato stendere reti da pesca sulle rotte dei battelli dei servizio pubblico di linea, per una fascia di rispetto necessaria per il governo delle imbarcazioni e comunque non inferiore a 150 metri. L’inosservanza di tale normativa prevede la sanzione amministrativa pari a euro 102,00.
                            • È vietato stendere reti da pesca a meno di mt. 200 dalla riva nelle zone individuate dalla Provincia per la pesca notturna alla carpa. L’inosservanza di tale normativa prevede una sanzione amministrativa pari a euro 400,00 ed il successivo sequestro amministrativo degli attrezzi stessi.



                            Lo studio per realizzare un borgo dei pescatori sulle sponde del Trasimeno

                            0
                            0
                            Davide Faralli ha sviluppato per la nostra associazione uno studio per un piccolo borgo dei pescatori da realizzare sulle sponde del Trasimeno. Chi ha visitato lo stand dell’Arbit a Coloriamo i cieli ha potuto vedere in anteprima le immagini che pubblichiamo qui.



                            Al centro dell’area lavoro esterna vi è il pennone per riparare i tofi il cui profilo ricorda l’albero di una barca. 
                            Questo esile elemento verticale è anche il fulcro intorno al quale si articolano in una mirabile sequenza spaziale le tre unità in legno e canna palustre.

                            La disposizione delle capanne si serra a formare una piccola corte e nel contempo si apre sul terreno circostante e verso lo specchio d’acqua, integrandosi ottimamente con il paesaggio.




                            Faralli si è confrontato senza esitazioni con l’archetipo della capanna, traducendone i semplici elementi in forme severe che, grazie a felici accostamenti, riscattano la povertà dei materiali tradizionali.

                            Il progetto è improntato a una estetica dell’essenzialità in cui si coniuga felicemente utilità e bellezza.



                            Studio preliminare per la realizzazione di un borgo dei pescatori sul lago Trasimeno

                            Obiettivi:
                            • Sviluppare lavoro e turismo legati al lago
                            • Riqualificare e valorizzare la fascia lungolago
                            • Creare spazi rimessa e laboratori per la pesca
                            • Recuperare i sistemi costruttivi tradizionali



                            Descrizione:
                            • linea minimale che fonde tradizione ed architettura contemporanea; 
                            • il borgo è pensato per una totale integrazione nel contesto paesaggistico della fascia lungolago;
                            • tramite l’utilizzo di materiali sostenibili quali canna lacustre e legno, i corpi si alternano tra rimesse e laboratori, con ampi spazi aperti dedicati al lavoro dei pescatori.
                            • un’idea innovativa che pensa al futuro, partendo dal passato.
                            www.davidefaralli.eu

                            Viewing all 110 articles
                            Browse latest View live




                            Latest Images